
L’Italia infila i ko consecutivi numero 23 e 24 al Sei Nazioni e subito riparte (Inghilterra in prima fila) la rumba sulla nostra presenza nel torneo. In più il Daily Mail pubblica un articolo in cui si parla di trattative avanzate per un arrivo del Sudafrica dopo la RWC del 2023. E il peso tecnico, sportivo, economico e politico degli Springboks non è certo quello di georgiani e romeni, finora indicati come nostre possibili alternative.
Il Sudafrica sarebbe una aggiunta o andrebbe a sostituire qualcuno? E quello che eventualmente varrebbe per il 2024 avrebbe un valore anche l’anno successivo quando l’attuale accordo in essere (e che prevede la nostra presenza) va a decadere?
Non si sa, non si capisce bene. I nostri risultati non aiutano e alimentano la discussione. Che però va fatta attorno a qualche punto fermo, senza il quale si cade nel “vale tutto”. Eccone alcuni:
- L’Italia deve rimanere nel Sei Nazioni, lo speriamo tutti, è una tale ovvietà che davvero non andrebbe nemmeno sottolineata. Uscirne sarebbe una sconfitta. Chiaro: se mai succedesse i principali responsabili saremmo noi. Non saremmo quindi vittime di un qualche complotto di chi ci vuole male.
- L’Italia non può sperare di rimanere nel Sei Nazioni perché “Roma è bella e per francesi/gallesi/irlandesi/inglesi/scozzesi andarci a febbraio-marzo è una figata”. Perché, per quanto farsi un fine settimana nella nostra capitale è cosa che piace a a tutti, vuol dire scavarsi la fossa della mediocrità da soli. Una roba di una stupidità infinita. Eppure questa cosa viene spesso citata come la nostra arma principale per la permanenza nel torneo. Tristezza.
- Servono i risultati del campo, che non significa necessariamente vincere (che però è meglio) ma essere competitivi. Realmente competitivi. Riuscire a portare gli avversari a match punto a punto fino al minuto 80 e oltre. Con questa cosa le discussioni su “Sei Nazioni sì e Sei Nazioni no” spariscono immediatamente.
- A oggi parlare di una nostra fuoriuscita dal Sei Nazioni è una boutade o poco più, perché nonostante i nostri risultati le alternative sono peggio. Ancora meglio: le alternative non ci sono proprio, Georgia e Romania allo stato attuale non lo sono. Possono essere usate a livello mediatico, ma la cosa finisce lì. Chiaro che se invece delle due nazionali dell’Europa orientale si dovesse parlare di Sudafrica il discorso cambierebbe di parecchio.
Lo so, sostenere che stiamo nel salotto buono perché quelli che bussano alla porta stanno messi peggio di noi non è il massimo, ma cerchiamo di essere intellettualmente onesti. - Il Sei Nazioni è un torneo privato: quindi sì, il merito sportivo deve contare e conta, ma inevitabilmente non è l’unico aspetto della vicenda.
- Il nostro contratto scade nel 2024.
- Per motivi economici, logistici e organizzativi un Sudafrica dentro al Sei Nazioni è cosa che ha fondamento.
- Un Sudafrica dentro il Sei Nazioni sarebbe uno scossone istituzionale tosto. Il freno più grosso possono essere proprio gli equilibri politici che inevitabilmente verrebbero modificati. La Nuova Zelanda e l’Australia, ad esempio, come la prenderebbero? E World Rugby? Come cambierebbe (nuovamente) il calendario internazionale, modificato da poco dopo un compromesso che non è stato semplice da raggiungere?