Giugno ci consegna una Ovalia sempre più All Blacks e verde Irlanda. E molto poco Pumas

Un mese di scontri tra i due emisferi a un anno dalla RWC: Nuova Zelanda, Irlanda e Australia le migliori. Molto male i Pumas. E l’Italia…

Per le nazionali europee è stato l’ultimo atto di un’annata sportiva lunghissima, per quelle dell’emisfero sud questo mese di giugno ha segnato il debutto stagionale dopo i fuochi d’artificio del Super Rugby.Da qualunque parte la si prenda per tutti queste settimane segnano però un cerchio rosso sul calendario in vista della RWC, che nel 2019 scatterà venerdì 19 settembre a Tokyo con Giappone-Russia.
Di seguito alcune impressioni sulle squadre – in rigoroso ordine alfabetico – che prendono parte al Sei Nazioni e al Rugby Championship, più il Giappone. Lo so, rimangono fuori le tre del Pacifico, ma di Samoa, Tonga e Fiji non ho praticamente visto nulla se non il risultato, quindi mi astengo.

Argentina – Via il dente e via il dolore: la vera delusione di queste settimane. Abbiamo visto una squadra irriconoscibile in un momento non semplice e probabilmente “di passaggio” per il movimento argentino. Da una parte i Jaguares che nel Super Rugby non stanno certo sfigurando (8 vittorie in 13 gare, 34 punti in classifica che valgono la seconda posizione nella loro pool ma il 7° posto generale) e dall’altro una nazionale che ha vinto solo due partite negli ultimi 17 match. I Pumas in questo mese hanno perso contro il Galles due volte in maniera più netta di quanto non dica il risultato (10-23 e 12-30), due ko che hanno spinto il ct Daniel Hourcade a rassegnare le dimissioni: “Non ho avuto risposte, il mio messaggio non arriva più alla squadra”, ha detto in conferenza stampa. Ha pure ammesso che era stata presa in considerazione l’ipotesi di lasciare prima della finestra di giugno, segno evidente che qualcosa si era rotto da tempo. La sconfitta di sabato contro la Scozia 15-44 è stata il punto più basso, ora si riparte. Il materiale e lo spirito certo non mancano, ma il Mondiale è davvero dietro l’angolo… Forse non siamo all’Anno Zero, ma non siamo nemmeno così lontani. Sono da sempre un loro simpatizzante, lasciatemelo dire: forza Pumas!

Australia – Ha perso la serie contro l’Irlanda riuscendo a superare il XV in maglia verde solo nella prima sfida, a Brisbane. Ha messo in mostra gli alti e i bassi tipici degli ultimi anni (più i primi che non i secondi) ma l’impressione è che passi avanti siano stati fatti e che quindi alla fine il bicchiere possa essere considerato mezzo pieno. Ha affrontato a viso aperto quella che oggi è probabilmente la migliore squadra al mondo assieme agli All Blacks finendo tutte le gare a una incollatura o quasi (18-9, 21-26 e 16-20: il saldo algebrico dei tre test dà “somma zero”, con 55 punti fatti/subiti per entrambe le selezioni). I dettagli hanno premiato l’Irlanda, cosa che a questi livelli ha grande importanza e può decidere le sorti di una squadra, ma i giocatori ci sono, lo staff anche. Concretizza ancora un po’ poco rispetto a quello che produce ma i wallabies in questo momento davanti a loro hanno solo due squadre.

Francia – Aveva il compito più difficile, ovvero affrontare gli All Blacks in casa loro, e se ne torna a casa con tre sconfitte sul groppone in altrettante gare. In una i galletti ci hanno messo anche un po’ del loro giocando per quasi 70 minuti in 14 con un uomo in meno per l’espulsione di Fall, curiosamente la partita in cui il gap del punteggio è rimasto più contenuto (26-13). Molto più nette le altre due sconfitte: 52-11 e 49-14. Jacques Brunel guida una squadra dove il talento non manca ma che va troppo a intermittenza, con la luce che si accende e si spegna improvvisamente in continuazione. Tutte “caratteristiche” che i bleus avevano già messo in mostra nel corso del Sei Nazioni. Squadra tignosa, che può vincere anche giocando male, ma non se trova davanti a sé squadre organizzate e con le idee chiare. Non oggi almeno, tra un anno chissà. La strada è quella giusta: pensate a come stava messa la Francia un anno fa…

Galles – Difficile parlare del Galles di questo giugno. Prima il test-match naif (definiamolo così) contro il Sudafrica a Washington vinto 22 a 20 ma con due squadre con tanti giovani, poi le due affermazioni nette in Argentina però contro i peggiori Pumas degli ultimi anni. Ok, non è certo colpa loro e comunque i Dragoni hanno fatto quello che dovevano fare, ma diventa complicato dare un giudizio che prescinda dai risultati. La squadra di Gatland ha chiuso lo scorso Sei Nazioni al secondo posto ma a ben 11 punti di distanza dall’Irlanda, nel tour delle Americhe i dubbi e i problemi messi in mostra nelle ultime stagioni non sono stati fugati ma tre vittorie fanno comunque morale e affrontare questa squadra è sempre complicato.

Giappone – Una vittoria netta contro l’Italia, un ko per 22-25 una settimana dopo sempre contro gli azzurri e un 28 a 0 rifilato alla Georgia lo scorso sabato. I Brave Blossoms quando giocano con abnegazione, concentrazione e determinazione fisica sono un pessimo cliente per chiunque, ma sono squadra che non può permettersi cali di concentrazione di sorta. Jamie Joseph deve lavorare sull’approccio mentale e su una disciplina che a volte lascia un po’ a desiderare. Tra un anno se saprà gestire la pressione del giocare un Mondiale in casa (tanto più dopo la bellissima RWC2015) può levarsi soddisfazioni, ma se quella stessa pressione non sarà trasformata in benzina per i nipponici potrebbe diventare un problema serissimo.

Inghilterra – La grande malata del rugby mondiale di questo 2018 non sta ancora bene e il tour in Sudafrica mette in mostra una squadra che sembra troppo impegnata a cercare di capire perché le cose non stanno andando come un anno fa per riuscire davvero a risolvere. L’Inghilterra oggi è una squadra fortissima che ha perso concentrazione e soprattutto serenità, non è tranquilla. La pressione mediatica in patria non aiuta, ma quella c’è sempre stata e il gruppo dovrebbe avere spalle abbastanza grosse quantomeno per sapere incassare bene le critiche.La vittoria di questo sabato (25 a 10) dopo i ko nei primi due match degli springboks (39-42 e 12-23) è un sorriso che ci voleva ma che al momento può essere paragonato a un buon brodino, non molto di più. Gli impegni di novembre sono di quelli importanti: Sudafrica, All Blacks, Giappone e Australia ci diranno moltissimo.

Irlanda – Sa giocare benissimo e quando non lo fa (perché capita pure questo) riesce comunque a vincere quasi sempre perché ha testa, cuore, e gli uomini con le caratteristiche e il piede giusto per risolvere le partite. Oggi è la squadra che con gli All Blacks gode meritatamente del maggior credito per il Mondiale 2019, la crescita sembra essere continua e gli inevitabili inciampi diventano lezioni che vengono subito assorbite da un gruppo dove tecnica e talento abbondano. Il maggior merito di Schmidt e del suo staff è proprio quello di aver creato una mentalità solidissima. La domanda è se l’Irlanda riuscirà a mantenere questa condizione per altri 14-15 mesi. Il tempo risponderà.

Italia – Discorso simile a quello fatto con il Giappone: gli azzurri se vogliono ottenere risultati devono giocare al massimo della loro possibilità e della loro concentrazione. Del mazzo è tra le squadre con meno talento puro, determinazione e organizzazione diventano quindi fondamentali. Anche perché i nostri passaggi a vuoto diventano spesso delle cadute difficili da raddrizzare. Abbiamo problemi un po’ dappertutto ma la strada che stiamo percorrendo è l’unica opzione possibile: rispetto agli altri abbiamo l’handicap di un movimento che ha più tare, che è partito più in (colpevole) ritardo e più cose da sistemare. Aspetti questi che alla lunga non possono non riflettersi sul campo.

Nuova Zelanda – Sono i più forti e lo hanno dimostrato ancora una volta. Quella degli All Blacks è quasi una corsa su se stessi, volta alla ricerca della perfezione ovale sia per quello che si vede in campo che nella struttura di cui i tuttineri sono vertice. Una struttura permeata in maniera impeccabile su quelle che sono le loro caratteristiche, non replicabile.
La Nuova Zelanda ha dominato la serie sulla Francia dimostrando che questa è una squadra che che non si perde mai d’animo anche quando gioca al di sotto dei suoi elevatissimi standard, che si rialza in un men che non si dica e che può far male in mille modi diversi. E cosa più importante: questi All Blacks sanno soffrire, mantengono i piedi ben piantati a terra. Cosa per nulla scontata se teniamo conto che stiamo parlando di una squadra che da ormai 10 anni viaggia con una percentuale di vittorie di oltre il 90%…

Scozia – Con il Galles la squadra meno giudicabile di questo giugno. Ha battuto il Canada 48-10 per poi perdere contro gli USA per 30-29 una partita che a un certo punto il XV in maglia blu controllava per 21-6. Poi la nettissima vittoria su un’Argentina davvero irriconoscibile. Un tour in cui il ct Townsend ha potuto provare diversi giocatori e fatto tirare un po’ il fiato a un gruppo che in questi anni è cresciuto molto ma che non è molto profondo. Squadra che proprio per la sua rosa ridotta ha bisogno di una programmazione quasi perfetta, molto più delle altre.

Sudafrica – E’ un buon giugno quello dei primi springboks targati Erasmus. Squadra che è un vero cantiere aperto ma con quel bacino gli scalini si possono superare più velocemente rispetto ad altri. Ha grandissimi margini di miglioramento e le due vittorie contro gli inglesi sono carburante prezioso per la testa. Curiosissimo di vedere come si comporterà nel Rugby Championship.

Pubblicità

Italia batte Giappone: la vittoria che serviva, la svolta che non poteva esserci

A Kobe prestazione convincente dell’Italia. Si tratta della “svolta” agognata e annunciata dal presidente FIR solo qualche giorno fa? No, ma non poteva nemmeno esserlo: è però un passo che potrebbe diventare importante solo se ce ne saranno altri. Una brutta Italia U20 viene sconfitta dal Galles nella finale per il 7° posto al Mondiale Juniores vinto dalla Francia 

Una vittoria risicata nel punteggio ma più ampia di quanto non dica il tabellone al termine degli 80 minuti di gara giocati sabato a Kobe. Se a Oita il 34-17 finale a favore dei Brave Blossoms ci stava tutto, il 22-25 del secondo test-match in Giappone non dice tutta la verità sull’andamento della partita. Che è stata per quasi un’ora in mano all’Italia prima che un calo mentale e fisico rimettesse in corsa i padroni di casa.
Gli azzurri sabato hanno giocato bene, nulla di travolgente ma hanno messo in pratica uno dei ritornelli più ripetuti da Conor O’Shea da quando è arrivato dalle nostre parti: non dobbiamo pensare troppo all’avversario ma a quello che possiamo fare noi. E a farlo bene, aggiungerei io. Kobe può diventare un buon esempio di quel refrain, pur con i limiti  gli errori inevitabilmente commessi.
A Oita avevamo visto un gruppo azzurro spento, sovrastato dalla fisicità e dalla determinazione giapponese, prima ancora che dalla loro organizzazione. A Kobe i ruoli si sono invertiti, con la compagine italiana che ha preso subito in mano il pallino della gara e non lo ha mai mollato fino al 55′, con il XV in maglia biancorossa che non è quasi mai entrato nei nostri 22 metri e ha sempre subìto e inseguito la manovra avversaria. Un Giappone lontano parente di quello visto in campo solo una settimana prima, stavolta annichilito dalla grinta, dall’orgoglio e dalla determinazione italiana, una volta tanto nel formato “so cosa voglio e so come ottenerlo”.

Certo non va dimenticata anche la fase due della partita di sabato, ovvero quella dopo il 55′. L’Italia dopo aver chiuso sul 3-12 il primo tempo (risultato anche un po’ stretto rispetto a quanto visto in campo) ha iniziato la seconda frazione con la meta di Polledri e la marcatura annullata a Minozzi per un fuorigioco discusso e discutibile. Gara completamente in mano agli azzurri, poi la luce si è spenta: benzina finita o calo mentale? I nostri ragazzi hanno deciso inconsciamente che la partita era ormai finita? Non lo sapremo mai, quello che è sicuro è che in 10 minuti abbiamo preso due mete e riportato in vita un Giappone fino a quel punto quasi impalpabile.
Non siamo nuovi a questi black-out, purtroppo, ma la faccia buona di questa moneta amara è che dopo quello sbandamento ci siamo rimessi in carreggiata e non abbiamo sbracato, come invece altre volte era successo. Abbiamo sofferto, certo, ed era una sofferenza che ci potevamo tranquillamente evitare – non dimentichiamocelo – ma abbiamo anche saputo metterci una pezza. Chiaro che un black-out del genere con il Giappone lo puoi recuperare, con altre squadre contro cui giochiamo abitualmente è invece letale.

Bene i punti d’incontro, bene la velocità del gioco in ruck, così così la mischia e male la touche. C’è molto su cui lavorare, ma questo lo sanno pure i muri. C’è da far crescere di testa alcuni nostri giovani, che il giallo che si è preso Licata era tanto evitabile quanto pericoloso per come si era messa la partita. Dobbiamo concretizzare di più e migliorare lì davanti, che non possiamo vivere di glorie e tempi ormai passati. Facciamo ancora troppi errori, vedi l’ultima meta nipponica, ma se abbiamo la giusta testa, la giusta concentrazione e la giusta determinazione possiamo dire la nostra.
Poi c’è la questione svolta. L’aveva chiesta il presidente federale Alfredo Gavazzi via twitter qualche ora prima del match di Kobe: “Auspichiamo che Giappone-Italia segni la svolta che il movimento aspetta”. Una uscita discutibile nell’immediata vigilia di una gara importante che sapeva di “uomo avvisato mezzo salvato”, tanto più che il numero uno del nostro rugby non è un twittatore seriale come altri. Una dichiarazione evitabile. Anzi, che andava evitata.
La partita con il Giappone non poteva essere una svolta ma un primo segnale dell’inizio di una possibile inversione di rotta. Una frase – la mia – in cui le parole chiave sono “primo” e “possibile”. Non dimentichiamoci che i prossimi match ci vedranno affrontare l’Irlanda a Chicago (ecco un’altra cosa a cui possiamo appiccicarci la parola “evitabile”) e soprattutto la Georgia. Partita davvero insidiosa: perché battere gli est-europei non ci porterebbe quasi nulla, avremmo fatto quello che dobbiamo fare, ma perdere sarebbe un vero disastro.

ITALIA U20: A proposito di approcci mentali sbagliati alle partite… Gli azzurrini sono stati battuti dal Galles 34-17 nell’ultima gara del Mondiale U20 che si è chiuso in Francia ieri e che assegnava il 7° posto. Una squadra distratta, indisciplinata, svagata, di gran lunga la prestazione peggiore dell’Italia nella competizione. Un torneo decisamente positivo per i nostri colori ma che meritava una chiusa migliore, quantomeno nell’atteggiamento.
La Francia ha battuto in finale l’Inghilterra e si è laureata per la prima volta campione del mondo di categoria, Baby Blacks battuti anche dal Sudafrica nella finale per il 3°-4° posto.
Tutti i risultati di ieri e la classifica finale del torneo:

Francia – Inghilterra 33-25
Sudafrica – Nuova Zelanda 40-30
Australia – Argentina 41-17
Galles – Italia 34-17
Georgia – Scozia 39-31
Irlanda – Giappone 39-33

1) Francia – campione del mondo
2) Inghilterra
3) Sudafrica
4) Nuova Zelanda
5) Australia
6) Argentina
7) Galles
8) Italia
9) Georgia
10) Scozia
11) Irlanda
12) Giappone – retrocesso nel Trophy

Dopo Giappone-Italia, quei colpi da samurai caduti nell’indifferenza e nell’apatia

Da tempo scriviamo che i test-match contro i nipponici e la Georgia sono le chiavi di volta della nostro 2018 rugbistico. Il primo è andato davvero male, con una sconfitta netta e meritata che però è stata “accolta” nell’Ovalia italiana con un mix di rabbia d’ufficio e rassegnazione

“Prestazione e risultato: siamo qui per vincere”. Così giovedì mattina il sito ufficiale della FIR intitolava un articolo di avvicinamento al primo test-match degli azzurri contro il Giappone. Il virgolettato era di Conor O’Shea, con il ct azzurro che in un pugno di parole indicava gli obiettivi di quella partita: la prestazione, il risultato e la vittoria. Sappiamo tutti come è andata a finire a Oita, con i Brave Blossoms che hanno vinto in maniera netta per 34 a 17: prestazione, risultato e vittoria sayonara.
Nel dopo-gara il tecnico della nostra nazionale ha detto che “è un punteggio che brucia, inutile nasconderlo. Nei momenti in cui avremmo dovuto imprimere una svolta alla partita non ci siamo riusciti, loro sì (…) Non credo ci sia stata una squadra che ha dominato la partita per ottanta minuti, ma è vero che il Giappone ha tenuto il controllo della partita nell’ultimo quarto di gara. Noi non abbiamo saputo mettere punti sul tabellone quando ne abbiamo avuto la possibilità, sia nel primo che nel secondo tempo, e come era già capitato in passato abbiamo permesso che l’energia del match ci scivolasse dalle mani (…) noi dobbiamo, come sempre, concentrarci sulle cose che possiamo controllare e non sull’avversario. Segnando quando avremmo dovuto, la partita sarebbe stata diversa”.
Sono frasi che abbiamo più volte sentito in questi mesi, una specie di ritornello amaro che evidentemente sottolinea problemi che non riusciamo a risolvere. Una difesa verbale che ormai mostra il fianco.

Il Giappone non ha fatto certo stropicciare gli occhi ma ha dominato praticamente ogni aspetto della partita, a partire dalla determinazione e dall’aggressività fisica fino ad arrivare alla mischia e – soprattutto – alla touche. I padroni di casa hanno commesso molti errori ma i loro uomini arrivavano quasi sempre prima sul pallone ed erano sempre prontissimi a portarsi in grande velocità sul nostro portatore di palla. Non siamo stati in grado di dare un colpo di frusta alla partita quando ne abbiamo avuto la possibilità? Può essere, probabilmente è così, ma sono anni che andiamo avanti a giustificazioni che per premessa hanno un “se” o un “ma” e che ci hanno portato diritti a questo punto.
Generalmente i nostri tour di giugno hanno quasi sempre un approccio mentale molto “estivo”. Io credo che sia una cosa inconscia, un qualcosa di legato al nostro modo di essere e alla nostra cultura che ci fa percepire questo appuntamento come una via di mezzo tra il lavoro e la vacanza, una specie di impegno professionale che però si può affrontare con le infradito. Questa volta però c’erano tutte le premesse per vedere qualcosa di diverso, dalle convocazioni alle parole di giocatori e staff tecnico, fino alla formazione schierata. Non sto dicendo che i ragazzi andati in campo abbiano preso il match sottogamba o come una sorta di allenamento, ma l’approccio mentale alle gare nel mese di giugno rimane comunque problematico.

Tutto questo non basta a spiegare il ko di Oita. E’ vero che noi siamo al termine di una lunga stagione agonistica mentre i giapponesi sono nel pieno del loro calendario ma non dovremmo nemmeno dimenticare che il professionismo è anche questa roba qui e che comunque proprio il Giappone lo scorso novembre, nell’ultimo impegno del tour europeo (quindi alla fine della loro stagione agonistica) costrinse la Francia a un pareggio in quel di Parigi, un pareggio davvero stretto per la nazionale asiatica. Quindi c’è modo e modo di affrontare le cose.
Poi dovremmo anche guardare le cose un po’ in prospettiva, sul lungo periodo. Al Mondiale sudafricano del 1995 gli All Blacks asfaltavano i nipponici 145 a 17: ora, è vero che i tuttineri rifilarono 70 punti (a 6) alla nostra nazionale qualche mese dopo in quel di Bologna, ma quell’Italia alla stessa RWC batté l’Argentina e venne sconfitta dall’Inghilterra con un dignitosissimo 27-20. Un’Italia che nel mese di maggio di quell’anno superò l’Irlanda. In 23 anni è cambiato tutto per noi, è arrivato il treno del Sei Nazioni ma da quanto tempo non infiliamo risultati simili? Il nostro anno migliore è stato il 2013, stiamo parlando di 5 anni fa, ed è stato un caso isolato. Qua e là facciamo un exploit che però è appunto tale. Ci aggrappiamo a quello e ci raccontiamo che tutto va bene e che comunque abbiamo svoltato. In attesa dell’exploit isolato successivo.

A Oita però abbiamo visto in campo cose diverse. Abbiamo visto un Giappone che oggi ci è superiore, che da alcuni anni ha intrapreso un percorso di crescita che sta seguendo con costanza, nonostante qualche inevitabile stop & go. Un Giappone che è figlio del Super Rugby: 13 giocatori sui 15 titolari giocavano nella franchigia dei Sunwolves, più il 100% delle riserve. E no, il punto non è che loro giocano in una sola squadra mentre i nostri in due (Zebre e Benetton). No, il punto che questo blog mette sul tavolo da qualche tempo è un altro e cioè che forse il Pro14 non è così performante come generalmente si pensa e che vincere e soprattutto perdere nel Super Rugby (cosa quest’ultima che accade molto spesso ai Sunwolves) ti fa crescere e ti dà una consapevolezza maggiore. Intendiamoci, so benissimo che il torneo dell’emisfero australe è superiore a quello celtico ma il fatto è che oltre a questo bisogna aggiungere che probabilmente il Pro14 è pure sopravvalutato. Certo, con l’Eccellenza che è messa come tutti sappiamo la competizione ha gioco facile a vincere.

Un’ultima cosa. Nel giugno di quattro anni fa l’Italia veniva battuta di tre punti (26-23) a Tokyo dal Giappone. Jacques Brunel, allora ct della nazionale, finì sulla graticola. Io solo qualche giorno fa scrivevo circa la necessità di confermare Conor O’Shea al suo posto nel prossimo quadriennio e il ko di Oita non mi ha fatto certo cambiare idea, ma c’è comunque da sottolineare la sostanziale indifferenza o apatia depressa con cui il risultato di sabato è stato accolto da media e tifosi. Quelle che si sono lette e viste in giro sono di rito o poco più. Le critiche possono aiutare, certo non bisogna fare gli offesi, saperle accettare e non relegarle tutte sotto l’etichetta “ce l’avete con noi”. Una cosa che la dice lunga sullo stato d’animo del nostro movimento.
Domani si parla di Nazionale U20.

Giappone-Italia, il ritorno degli All Blacks e tutti gli altri: i test-match nel Tinello di Vittorio Munari

La doppia sfida tra azzurri e Brave Blossoms (dove qualcosa si muove anche sul fronte televisivo… sembra), poi le serie che mettono di fronte tuttineri e Francia, Sudafrica e Inghilterra, Australia e Irlanda. Serve altro?
Palla a Vittorio!

All Blacks, Springboks, l’Italia in Giappone e tutte le altre: quanto rugby ci aspetta a giugno!

Se Uganda-Kenya del 26 maggio prossimo non vi fa fremere dall’impazienza e Inghilterra-Barbarians del giorno dopo non vi basta dovrete attendere il 2 giugno con Sudafrica-Galles in quel di Washington… ma è dalla settimana dopo che si fa davvero sul serio

La stagione 2017/2018 è agli sgoccioli: l’Eccellenza vedrà il suo atto finale questo fine settimana, negli stessi giorni il Pro14 ha in programma le semifinali così come la Premiership inglese mentre per il Top 14 ci sono i barrage. Un bel programmino ancora, ma manca poco.
Noi appassionati italiani abbiamo già da tempo “messo nel mirino” i test-match di giugno della nazionale che sarà impegnata in Giappone, complice anche il fatto che le nostre due franchigie fanno da spettatori ai knockout stage delle competizioni a cui prendono parte (ovviamente senza imenticare il Mondiale U20 e gli impegni della Emergenti).

I match internazionali in realtà cominciano il 26 maggio, al Kyandodo Rugby Grounds di Kampala, dove si affronteranno Uganda e Kenya, che però non è esattamente la partita più attesa. Il giorno dopo a Twickenham il XV di Sua Maestà scenderà in campo contro i Barbarians mentre il 31 maggio a Tbilisi la Georgia sfida i French Barbarians, ma è con il 2 giugno che iniziano i test-match veri e propri, con quel Galles-Sudafrica a Washington di cui abbiamo parlato qualche settimana fa.
Dell’Italia che va in Giappone, abbiamo già detto, ma le serie più attese da tutta Ovalia sono quelle della Francia in Nuova Zelanda, dell’Irlanda in Australia e quella del Sudafrica con l’Inghilterra. Attenzione anche alle sfide tra Galles e Argentina mentre Fiji, Samoa, Tonga e Georgia saranno impegnate nella World Rugby Pacific Nations Cup.
Ricordiamo anche che il giugno di test-match non prevede nessun arbitro italiano
Il calendario completo:

2 giugno
Sudafrica – Galles: RFK Stadium, Washington DC, USa

9 giugno
Giappone – Italia: Oita Bank Dome, Oita
Nuova Zelanda – Francia: Eden Park, Auckland
Australia – Irlanda: Suncorp Stadium, Brisbane
Sudafrica – Inghilterra: Emirates Airline Park, Johannesburg
Argentina – Galles: Estadio San Juan del Bicentenario, San Juan
Canada – Scozia: Commonwealth Stadium, Edmonton
Fiji – Samoa: ANZ National Stadium, Suva
Tonga – Georgia: ANZ National Stadium, Suva, Fiji
USA – Russia: Dick’s Sporting Goods Park, Denver

16 giugno
Giappone – Italia: Noevir Stadium, Kobe
Nuova Zelanda – Francia: Westpac Stadium, Wellington
Australia – Irlanda: AAMI Park, Melbourne
Sudafrica – Inghilterra: Toyota Stadium, Bloemfontein
Argentina – Galles: Estadio B.G. Estanislao López, Santa Fe
Canada – Russia: Twin Elm Rugby Park, Ottawa
Fiji – Georgia: ANZ National Stadium, Suva
Tonga – Samoa: ANZ National Stadium, Suva, Fiji
USA – Scozia: BBVA Compass Stadium, Houston

23 giugno
Giappone – Georgia: Toyota Stadium, Toyota
Nuova Zelanda – France: Forsyth Barr Stadium, Dunedin
Australia – Irlanda: Allianz Stadium, Sydney
Sudafrica – Inghilterra: DHL Newlands, Cape Town
Canada – USA: Wanderers Grounds, Halifax, Nova Scotia
Argentina – Scozia: Estadio Centenario, Resistencia
Fiji – Tonga: ANZ National Stadium, Suva