La vittoria netta del Sudafrica sul Giappone, quella (molto) più sofferta del Galles sulla Francia, quelle senza appello di Inghilterra e Nuova Zelanda rispettivamente su Australia e Irlanda. Cosa lasciano i quarti di finali della RWC in corso in Giappone, cosa bisogna aspettarsi dalle semifinali?
Palla a Vittorio, che dice la sua anche su Jaco Peyper…
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Tifoni veri e samurai in campo: la prima metà del Mondiale 2019 va in archivio
Di sorprese che lo sono fino a un certo punto, di tante parole dette sull’emozione del momento che potevano essere evitate e di quelle di Alfredo Gavazzi, che invece stavolta ha tenuto un comportamento in linea con il suo ruolo
Che poi io l’ho anche scritto. Di più, l’ho messo nel titolo che il Giappone poteva fare uno scherzetto a Irlanda o Scozia. E i nipponici hanno fatto anche meglio, battendo sia i primi che i secondi, mettendo a sedere proprio gli scozzesi su un aereo per rispedirli a casa.
Direi il momento “mamma quanto sono fico che ci ho preso” si può chiudere qui, anche perché generalmente non ci azzecco quasi mai nei pronostici. Contro il cul ragion non puote.
La verità – al netto delle battute – è che il Giappone è una signora squadra, che gioca bene, che non si dà mai per vinta e che non perde la testa. Che sa soffrire quando c’è bisogno di farlo, che sa attaccare come noi ci sogniamo di fare e che paga qualcosa in difesa dove però, come però mi ha fatto saggiamente notare l’amico Vittorio Munari, non sbaglia quasi mai il primo placcaggio. Quindi squadra sorpresa sì, ma solo fino a un certo punto. Dietro al Giappone c’è uno staff preparatissimo, una dirigenza che ha investito i soldi necessari e che ha idee. Che ha il coraggio e l’onestà intellettuale di metterle in discussione: come la scelta di prendere parte al Super Rugby e poi di lasciarlo. Ottenendo i risultati attesi anche in base alle risorse investite. Cosa che invece non mi pare sia successa dalle nostre parti. I motivi saranno mille e tutti validi, per carità, mi limito a registrare il dato oggettivo.
Le altre squadre che hanno conquistato il pass per i quarti di finale sono Nuova Zelanda, Irlanda, Galles, Inghilterra, Francia, Australia, Sudafrica. E’ rimasta fuori l’Argentina, che però era inserita nella stessa pool di Inghilterra e Francia e quindi qualcuna che doveva farsi male in quel girone c’era inevitabilmente. Lo dico ora: spero nella vittoria finale di una formazione dell’emisfero nord. Il Galles sarebbe fighissimo, non sarebbe male l’Irlanda, poi l’Inghilterra. La Francia mi sembra oggettivamente avere qualcosa meno delle altre, ma metti i galletti con le spalle al muro e quelli sono capaci di tirarti fuori il proverbiale coniglio dal cilindro.
Menzione negativa per le squadre del pacifico, l’Uruguay invece non solo ha battuto le Fiji ma è uscito dal campo sempre a testa alta. Canada, Namibia, USA, Georgia, Italia hanno fatto quello che ci si attendeva/aspettava, cioè non molto.
Chiudo con l’affaire Hagibis. Nel momento in cui scrivo le notizie che arrivano dal Giappone parlano di 35 morti, 25 dispersi, quasi 200 feriti. Sette milioni le persone che avevano ricevuto un avviso di evacuazione non obbligatoria, mezzo milione le case rimaste al buio. Il tifone è stato il più forte che abbia toccato la terra ferma nipponica negli ultimi 60 anni e. giusto per fare un esempio, ad Hakone (non lontano dal Monte Fuji) in 48 ore è piovuto più di un metro di pioggia, il massimo mai registrato in Giappone in quel brevissimo arco temporale. Metropolitane bloccate, un migliaio di voli cancellati, centinaia di treni soppressi.
Questo per dare un quadro di riferimento alle decisioni del comitato organizzatore e di World Rugby di cancellare tre partite: Nuova Zelanda-Italia, Inghilterra-Francia e Namibia-Canada. La vicenda la conosciamo tutti: nessuna era decisiva per il passaggio ai quarti (sì, vabbé, se l’Italia bla bla bla bla. Ma è fantascienza, quella più sfrenata, e lo sappiamo tutti) anche se il match tra inglesi e transalpini poteva sortire un diverso posizionamento nella classifica finale del girone e quindi un diverso accoppiamento nel turno successivo.
La cancellazione delle partite ovviamente ha fatto discutere molto, in tanti si sono scandalizzati, le polemiche sono state fortissime. A mio modesto parere si è persa un attimo la dimensione reale delle cose, perché è lapalissiano che giocare sarebbe stato meglio, ma se mettiamo i piedi per terra e leggiamo e rileggiamo il numero dei morti, dei dispersi e dei feriti forse sarebbe meglio.
Un tifone si può prevedere con un certo anticipo, ma direzione e potenza possono mutare in tempi rapidissimi. Approntare l’ormai famigerato Piano B non era semplice: spostare una partita di un paio di giorni poteva non bastare, ad esempio, e due giorni di riposo in più o in meno fanno la differenza in una disciplina come il rugby. Qualcuno sosteneva che le partite potevano essere spostate in altra sede. Bene, quale? In una sicuramente fuori dalla portata del tifone: vorrei ricordare che il Giappone è lungo oltre 3mila km e far muovere potenzialmente 50/70mila persone per magari mille o duemila km in un quadro di voli e treni cancellati non è esattamente la cosa più semplice del mondo. Senza dimenticare che solo l’annullamento della gara garantiva ai tifosi il rimborso del costo del biglietto.
Significa che tutto è stato fatto a dovere e che non si poteva fare nulla di meglio? Io questo non lo so. Penso che si può fare sempre qualcosa in più, ma non ho mai organizzato un campionato mondiale e ho solo una vaghissima idea della complessità della cosa. E ad ogni modo tutte le federazioni avevano da tempo sottoscritto un regolamento preciso: avessero avuto dei dubbi anche su questi aspetti dovevano farli presente prima. Nessuno lo ha fatto. Nessuno.
Quindi sì, Alfredo Gavazzi ha detto l’unica cosa che un qualsiasi presidente federale poteva legittimamente dire in quel frangente. E capitan Parisse… beh, diciamo che capisco la frustrazione umana e sportiva, ma che mi sarei fermato lì. L’accusa ai “poteri forti” l’ho trovata molto vittimista e molto italica (sì, certo, la Nuova Zelanda ha un altro peso specifico rispetto a noi nella stanza dei bottoni. Si chiama ordine naturale delle cose: non sarà molto bello, che tutti dovremmo contare alla stessa maniera, ma non viviamo su una pianta, vero?).
Azzurri, Wallabies, Galles, Irlanda e Giappone: i colori iridati nel Tinello di Vittorio Munari
Circa metà della fase a gironi della RWC 2019 è andata in archivio: Vittorio usa la lente d’ingrandimento sulla sfida tra Australe e Galles, sulla clamorosa vittoria del Giappone sull’Irlanda e sulla Scozia. Senza dimenticare l’Italia… Palla a Vittorio!
Il primo fine settimana dei Mondiali: lo Zibaldone di Vittorio Munari
E’ andato in archivio il primo weekend della RWC 2019: abbiamo visto partite belle, bellissime, così così e una bruttina. Alcune squadre hanno (quasi) il primo posto in tasca, altre hanno messo serissime ipoteche sul secondo, ma è inutile lamentarsi perché il rugby è questo.
All Blacks e Sudafrica, Francia e Argentina, Irlanda e Scozia, l’Inghilterra, l’Australia e ovviamente l’Italia. Ecco cosa ha visto Vittorio Munari…
L’Italia e i test-match di novembre, quei numeri che svelano ogni alibi o illusione

Con il 66 a 3 dell’Olimpico per gli All Blacks si è chiuso un mese davvero molto poco positivo per i colori azzurri. Una vittoria – necessaria – e tre ko. Sconfitte che sono negative nel risultato (in due casi sono vere e proprie ripassate) ma soprattutto nei modi in cui sono arrivate. Che dite, non sarebbe ora di smettere di raccontarsela?
Quattro partite giocate: una vittoria (Georgia) e tre sconfitte (Irlanda – quella “B” – Australia e Nuova Zelanda). Abbiamo fatto in tutto 45 punti e ne abbiamo incassati 163, la media-gara è un risultato di 40,75 a 11,25. E quelli con i 40 punti nel carniere non siamo noi. Abbiamo subìto 24 mete (6 a partita di media), ne abbiamo fatte 6.
La partita con gli All Blacks ha chiuso il nostro 2018, con il magro score di 2 vittorie in 11 partite. Abbiamo battuto una volta il Giappone (25 a 22) e una la Georgia (28 a 17). Probabilmente a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno aiuta a vivere un po’ meglio (forse eh), però faccio fatica a essere ottimista e – soprattutto – gli anni passano e noi siamo sempre fermi qui. A questi numeri, più o meno.
E’ vero, abbiamo giocato contro avversari più forti: però quella che è davvero mancata è la qualità e la continuità delle e nelle prestazioni. Senza dimenticare che, come scrivevo prima, quella di Chicago era un’Irlanda lontanissima dalla sua formazione titolare, che l’Australia vista a Padova è una delle peggiori degli ultimi 10/15 anni e che gli All Blacks all’Olimpico ci hanno rifilato 10 mete giocando al piccolo trotto, senza mai mettere il piede sul gas, tanto che in molti lo hanno definito solo un allenamento per i campioni del mondo in carica. Il succo è: poteva andare anche molto peggio, difficilmente meglio.
O forse no. Forse quei nomi così altisonanti (All Blacks, Australia, Irlanda) ci basteranno a trovare per l’ennesima volta i soliti alibi e i tanti “ma”.
Non solo alibi, ma anche frasi fatte e/o ritornelli che vengono ripetuti tante di quelle volte che poi alla fine vengono presi per veri, ma a cui manca un dettaglio chiamato concretezza. Come quello della profondità, parola che per alcuni ruoli viene usata decisamente a sproposito. Contro la Nuova Zelanda, ed è solo un esempio, unica apertura di ruolo era Allan, sceso in campo con una vistosissima fasciatura, mentre Canna era stato rimandato alle Zebre (era proprio necessario?).
E poi non si spiega un’altra cosa: se abbiamo così tanta profondità perché alla fine i titolari sono sempre gli stessi? Ma sempre sempre sempre.
In questi quattro match di novembre gli atleti partiti dal primo minuto in tutto sono 26. Uno potrebbe dire o pensare che alla fine proprio pochissimi non sono, ma il dato è “drogato” dalla gara di Chicago contro l’Irlanda, fuori dalla finestra internazionale e organizzato per meri motivi economici: nelle tre gare “ufficiali” (chiamiamole così) contro Georgia, Australia e All Blacks i titolari sono stati sempre gli stessi. Sempre. Dall’uno al 15: Lovotti, Ghiraldini, Ferrari, Zanni, Budd, Negri, Polledri, Steyn, Tebaldi, Allan, Bellini, Castello, Campagnaro, Benvenuti e Hayward. L’unico cambio in un XV d’inizio è stato Sperandio che ha giocato con la Georgia al posto di Hayward infortunato mentre in un altro caso lo stesso Sperandio è stato fatto partire all’ala in sostituzione di Bellini fermo in infermeria. Malanni fisici, non scelte o variazioni tecniche, che queste sono sempre le stesse.
Poi c’è il match di Chicago, con 9 nomi diversi rispetto al filotto sopra riportato, ma si tratta di una partita anomala, appunto fuori dalla finestra dei test-match internazionali e solo 7 giorni prima della gara che assolutamente non potevamo perdere, quella con la Georgia. Profondità? Sarà, ma non la si vede.
Altri parlano di una squadra giovane, che deve crescere. Sulla seconda asserzione non ci sono dubbi, sulla prima si può discutere: l’età media del XV azzurro titolare di questo novembre è di quasi 28 anni. Sicuri che la definizione “giovani” sia la più corretta?
I giocatori danno tutto, non si risparmiano, non si può davvero dire nulla in questo senso. Conor O’Shea e il suo staff fanno quello che possono, si può magari discutere di qualche scelta ma sono dubbi marginali e che fanno parte del gioco. Nulla che possa davvero cambiare le carte in tavola.
Quello che ci servirebbe è un bagno di oggettività e di sincerità: smettere di raccontarsela. Oggi siamo questa roba qui, se in tre edizioni del Sei Nazioni non vinci nemmeno una partita un motivo ci sarà: in un paio di occasioni puoi tirare in ballo la sfortuna, forse, ma non di più, ed eventualmente quelle due gare vinte non cambiano il quadro complessivo.
Le nostre celtiche stanno migliorando? Sì, parebbe di sì, ma gli altri evidentemente lo fanno molto più di noi. Il gap dal 2010 in poi si è allargato. Lo dicono i numeri, lo dice il campo, non è una idea balzana di chi tiene questo blog. Lo sbandierare risultati che non ci sono è una coperta davvero corta, e il pubblico inizia a rendersene conto: contro gli All Blacks c’erano 53mila persone sugli spalti, molto lontani dal sold-out annunciato e ben 10mila in meno rispetto alla gara contro i neozelandesi di due anni fa. La partita con la Georgia non ha portato allo stadio nemmeno 20mila tifosi, quella con l’Australia (nella ovalissima Padova…) 18mila: 5mila in meno rispetto al 2017 quando sfidammo il Sudafrica e lo stesso numero che richiamò il match con Tonga l’anno prima.
Sul mio profilo facebook dopo la partita di sabato ho scritto: C’è una parola per definire il mese azzurro di test-match: “poco”, di tutto. Un post pubblicato a caldo, di pancia. Ma anche ragionandoci a freddo non credo di essermi poi sbagliato di molto. Purtroppo.