
Dopo una sconfitta senza possibilità di alibi a Cardiff arriva anche la numero 24 consecutiva a Parigi. Smith e giocatori sanno che devono tenere la testa bassa e lavorare (e lo faranno), chi gli sta intorno invece dovrebbe tenere ancora i violini nelle custodie. Che dalle nostre parti la storia si ripete molto spesso
In quella che è la percezione del mare in cui naviga la nostra nazionale di rugby (e a cascata, quasi inevitabilmente, un po’ tutto il nostro movimento) le partite come quelle di domenica pomeriggio a Parigi sono dannose. Parecchio. Per chiarire: il ko di una settimana fa in casa del Galles è stata peggiore sotto tutti gli aspetti, dal risultato in giù, ma è stato talmente evidente da non lasciare spazio a nessun alibi sensato. Ovviamente qualcuno che trova degli improbabili appigli c’è sempre, ma d’altronde c’è in giro gente che si dice sicura che l’uomo non è mai andato sulla Luna… diciamo che statisticamente è inevitabile.
Il 22-35 contro la Francia è invece molto più infido. Per la percezione del nostro rugby da parte del movimento tutto, sottolineo nuovamente. Perché l’Italia, a tratti ha mostrato una parvenza di gioco, una innegabile determinazione, ha marcato tre mete, nel secondo tempo a lungo sono stati gli azzurri a menare la danze.
E questo è un modo di guardare la partita. Un altro è che nel primo tempo per 20 minuti i padroni di casa hanno tenuto un ritmo per noi improponibile e hanno giocato a un altro sport. Venti minuti in cui è stato scavato il gap che si è poi trascinato fino al termine. Venti minuti per chiudere di fatto la partita. Si potrebbe dire che il buono che l’Italia ha combinato nella prima frazione è arrivato solo quando la Francia ha tirato un po’ il fiato; che nel secondo tempo i bleus hanno messo in mostra la loro faccia più altezzosa e irritante, quella di una squadra che ha di fatto rinunciato a costruire qualsiasi parvenza di gioco e a contendere la palla, tanta era la loro sicurezza di portare a casa il match.
E alla fine hanno avuto ragione loro. Nei secondi 40 minuti hanno costruito solo tre vere azioni offensive, in due sono andati in meta e nella terza hanno sfiorato la marcatura pesante di pochissimo. E alla fine l’Italia di cui sopra – quella che (a tratti) ha mostrato una parvenza di gioco, una innegabile determinazione, che ha marcato tre mete e che nel secondo tempo ha menato a lungo le danze – ha perso di 13 punti (non una enormità, ma nemmeno pochi), ha inanellato la sua sconfitta consecutiva numero 24 al Sei Nazioni, non ha mai dato l’impressione di poter davvero vincere il match.
Il tutto contro una Francia che non ha mai messo in mostra (non ne ha avuto la necessità?) la cattiveria, la determinazione vista una settimana fa contro l’Inghilterra. Una Francia molto indisciplinata e a volte un po’ pasticciona, una Francia spocchiosa come solo i francesi sanno essere quando si mettono d’impegno. Una Francia davvero giovane, potenzialmente fortissima (e una settimana fa lo ha dimostrato) ma inesperta.
“Esercizio d’applicazione” titolava ieri l’Equipe, come potete vedere dalla foto che accompagna questo articolo, ed esercizio d’applicazione è stato.
Franco Smith torna da Parigi un po’ meno scuro in volto di quanto non fosse a Cardiff, ma i problemi rimangono davvero tanti (breakdown e punti d’incontro su tutti), la coperta è quello che è e le tare del nostro movimento che si riflettono nella nostra formazione più importante sono talmente radicate e profonde che servirà davvero molto tempo per superarle.
Ora una settimana di riposo, poi a Roma arriva la Scozia, tra le nostre avversarie sicuramente la meno completa e attrezzata ma comunque capace di prestazioni che dalle nostre parti non si vedono da troppo tempo. Il ko contro il XV del cardo sarebbe il numero 25 consecutivo per noi, e cosa più grave, il preludio a una quasi inevitabile numero 26 con l’Irlanda a Dublino e alla numero 27 a Roma contro l’Inghilterra. La Scozia è un punto di svolta vero.
PS: non ho fatto nessun accenno alle donne e alla nazionale U20, lo so, ma non ho visto davvero nulla delle loro partite.
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