Il Tinello di Vittorio Munari: l’Italia, il mondo e il Sei Nazioni in mischia con il Covid19

Il periodo meno preventivabile e difficile del rugby, alle nostre latitudini e nel resto di Ovalia. Quattro chiacchiere con Vittorio, senza dimenticare l’ennesima polemica sul Sei Nazioni: ma dalle nostre parti si guarda al dito e non alla Luna…

Elezioni FIR: Giovanni Poggiali e Pronti al Cambiamento scendono in campo

Il Sei Nazioni è alle porte ma iniziano a muoversi le carte anche sul tavolo che ci porterà alle elezioni federali di fine anno (più o meno).
Marzio Innocenti ha annunciato da tempo – ma non ufficializzato – la sua candidatura, il presidente uscente Alfredo Gavazzi non ha ancora sciolto la riserva. Nel fine settimana a ufficializzare la sua discesa in campo è stato Giovanni Poggiali, appoggiato da Pronti al Cambiamento.
Duccio Fumero di R1823 lo ha intervistato. Eccone uno stralcio

(…) sino a ora tutte le ricette proposte negli anni puntavano quasi esclusivamente o sull’alto livello o sulla base, come se le due entità fossero in contrapposizione tra loro, come se non si possa costruire un rugby di base se vi è un’élite ovale, o non si può puntare sull’alto livello se ci si concentra sul basso. È veramente impossibile lavorare a 360°?
Si deve lavorare a 360°, non si può pensare diversamente. È ciò che fanno tutte le Union, dobbiamo farlo anche noi. Ma, come dicevo prima, dobbiamo ricordare la storia del rugby nel nostro Paese, bisogna assolutamente trovare un modello italiano, guardando alle esperienze all’estero, ma consci che in Italia va trovata una soluzione ad hoc, senza scimmiottare gli altri. Voglio aggiungere una cosa: spesso si dice ‘’ah ci vuole un imprenditore’’, per me l’imprenditorialità è importante, l’esperienza fondamentale, così come la capacità organizzativa, e la capacità di comprendere i bisogni e di dare le giuste risposte; tutte queste competenze possono essere applicate al sistema federale, ricordando però che una Federazione non è una impresa in senso stretto, ma ha dinamiche e peculiarità proprie;

LEGGI SU R1823 L’INTERVISTA COMPLETA A GIOVANNI POGGIALI: CLICCA QUI

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O’Shea dice addio: è la più grande sconfitta del nostro rugby degli ultimi 10 anni

ph. Fotosportit/FIR

Non è il primo ct che lascia e/o viene cacciato e non sarà l’ultimo, ma era il primo a cui era stato dato un chiaro mandato che abbracciava ambiti più larghi della sola panchina azzurra. Missione fallita. Ma non è l’unico responsabile e le sue dimissioni ci dicono tanto sulla “impermeabilità” italiana

Se uno guarda alla lunga, lunghissima, trafila di sconfitte e risultati negativi messi assieme dalla nostra nazionale più importante negli ultimi 4 anni le dimissioni di Conor O’Shea da ct azzurro non stupiscono. Perché al di là delle singole opinioni è indubbio che i risultati del campo registrano un pesantissimo segno meno e la storica vittoria sul Sudafrica per quanto bella e importante va messa nella scatola che gli compete, ovvero quella degli exploit estemporanei. Lo dicono i numeri di 4 anni.
Conor O’Shea, che uomo di campo in realtà non è mai stato, non è riuscito a incidere e a lasciare il segno che avrebbe voluto. La sua ormai celebre frase sul voler dar vita al miglior mondiale di sempre per una squadra italiana si è rivelata un boomerang, e questo poteva/doveva metterlo in conto.

Ma Conor O’Shea non lascia per quelle parole, è evidente. Lascia – in ordine sparso – perché la famiglia ha avuto problemi di ambientamento, perché la RFU gli ha offerto un ruolo decisamente adatto alle sue caratteristiche, perché i risultati non sono quelli attesi. Lascia perché con la FIR, e con il suo presidente in primis, qualcosa si è rotto da tempo ed è chiaro che il rapporto fiduciario degli inizi non c’era più. Perché se da un lato è normale e pure legittimo che una federazione si tenga informata sul futuro di alcuni dei più importanti tecnici del mondo, lo è un po’ meno che il numero uno della FIR non abbia nessun problema a confermarlo pubblicamente quando la scadenza contrattuale del ct in carica è ancora piuttosto lontana.
Chiaramente si sono subito create le due tifoserie, quella pro-Conor che la FIR è brutta e cattiva a prescindere e quella a favore della federazione che quel britannico lì non mi ha mai convinto e guarda un po’ se non doveva dimettersi due mesi prima del Sei Nazioni…
D’altronde siamo in Italia, tutto prima o poi va a finire in una scaramuccia tra ultras.

Ma al di là di tutti i singoli pensieri una cosa va detta: Conor O’ Shea era diverso. Non tanto perché fosse più preparato, o più elegante o che. No. Era diverso perché è stato il primo ct ad avere un mandato chiaro per mettere mano alla struttura del movimento assieme al connazionale Aboud. Era scritto anche nel contratto? Non lo sappiamo, ma che fosse così era chiaro e le dichiarazioni dei diretti interessati andavano in quella direzione.
Un mandato che non avevano avuto Nick Mallett (arrivato prima della rivoluzione celtica) e Jacques Brunel. Anzi, il tecnico francese venne subito bollato dal neopresidente Gavazzi con un inequivocabile “l’ho trovato, non l’ho scelto io”.
La stessa formazione e le esperienze precedenti di Conor O’Shea lo “disegnavano” più come un naturale Director of Rugby. Buona parte dell’avventura italica dell’irlandese si è giocata su questa dicotomia, o forse sarebbe meglio chiamarla ambiguità perché al di là delle dichiarazioni di turno di cui sopra non è mai stata chiarita del tutto fino in fondo nella sua pratica quotidiana.
Però un DoR ha bisogno di una certa libertà di movimento ed è inutile nascondersi dietro a un dito, Alfredo Gavazzi non è uomo che ama le libertà altrui. Sia chiaro: non sto parlando in senso assoluto, ma di chi lavora con lui. Non tiriamo in ballo i massimi sistemi, qui si parla solo di rugby.
Gavazzi è un accentratore, una persona che tende a mettere quante più cose sotto il suo controllo diretto. Non c’è nessuna forma di sarcasmo o di critica in queste mie parole, credo sia semplicemente un qualcosa di cui prendere atto, nulla di più.

Non voglio dare nessuna patente di responsabilità per l’addio di O’Shea, la verità la conoscono solo i diretti interessati e se pure fosse pubblica non cambierebbe di una virgola la situazione e la fotografia generale.
Su queste pagine non ho mai nascosto che la cosa migliore per il nostro movimento fosse una conferma di Conor, magari con un ruolo diverso e più adatto alle sue caratteristiche. Insomma, con un uomo di campo accanto a lui. Pace, è andata diversamente e non è uno scandalo.
Mi preme solo sottolineare, per l’ennesima volta, che in federazione ci sono nel settore tecnico dei dirigenti che continuano a dormire sonni tranquilli nonostante quei risultati risultati probabilmente fatali all’irlandese. Da venti anni eh, mica da quattro. Gente che ha visto passare Kirwan, Berbizier, Mallett, Brunel e ora O’Shea. Evidentemente gli unici e soli responsabili.

Per quanto mi riguarda le dimissioni del ct sono una sconfitta pesante per chi ritiene necessari dei cambiamenti di rotta, prima ancora che di persone. Però che volete, nonostante tutto abbiamo appena terminato il nostro miglior Mondiale di sempre, ha detto qualcuno solo qualche giorno fa, e forse io mi sto sbagliando su tutta la linea. Quindi ci attende un grande e luminoso futuro. Come quello negli anni passati (sarcasmo a tonnellate).
Che poi io me le ricordo bene quelle parole di O’Shea di marzo 2017, quelle che forse meglio spiegano quello che è successo. E quello che non è successo.

“Sono un positivo, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Ma non sono uno stupido, non sto qui a prendere tempo. Ho fiducia in questo gruppo, resto convinto che possiamo diventare un’ottima squadra. (…) Le decisioni che dovremo prendere faranno male a qualcuno, ma Irlanda, Galles, Scozia hanno fatto scelte difficili (…) Qualcuno dovrà mettere il proprio ego da parte. Vogliamo cambiare molte cose e ci sarà gente che ci resterà male, ma i cambiamenti non possono essere indolore. Ripeto, non si pensi al proprio ego”.

Mi sa che ha vinto l’impermeabilità. Ciao Conor, buona fortuna

Lost in italian rugby: 4 identikit di presidenti in corsa

La fine del Mondiale azzurro ha dato di fatto il via libera alla (lunghissima) campagna elettorale che porterà alla scelta del presidente FIR per il 2020-2024.
Le cose però si stanno muovendo da qualche mese e c’è chi è al lavoro già da un po’ per quell’obiettivo. Qui però non troverete nomi, ma i loro profili. Eccoli:
– un presidente uscente che vorrebbe ricandidarsi ma che forse non lo farà. O magari sì. Ma potrebbe essere che no. Forse eh
– un oppositore storico che ha già annunciato che lui si candiderà, potrebbero piovere asteroidi tra gocce di lava ma lui sarà in corsa
– uno che proprio amico del presidente uscente non è ma che sarebbe (condizionale d’obbligo) pronto a un patto di non belligeranza, che in amore e in guerra vale tutto. Una roba del tipo: tu non ti candidi e convergi i tuoi voti su di me e io in cambio… Lo so, detta così non sembra essere una cosa bellissima, ma questa roba si chiama politica. E intendiamoci: pare, si dice, si mormora
– un nome nuovo, “figlio” di una cordata davvero nuova. Un’alleanza che nel video definisco “un po’ situazionista”, ma attenzione: per me quella parola (situazionista) ha un’accezione positiva e la cordata in questione è dannatamente seria. E potrebbe portare sorprese. Tra l’altro qui candidati che si scoprono incandidabili due settimane prima del voto non li troverete, così come non ci saranno rappresentanti che rilasciano dichiarazioni/interviste a nome dell’alleanza di cui fanno parte ma che in realtà non potevano fare. Perché da queste parti è successo pure questo.
Buona visione.

Il Benetton Treviso, l’Ajax, la Champions Cup “conquistata” sul campo. E un’assenza

E’ andata come doveva andare, e come sarebbe stato un delitto non far andare: Treviso vince a Parma, batte le Zebre con il bonus e mette al sicuro il biglietto per i play-off celtici, i primi della sua storia. Intanto Zatta non dimentica e sulle tribune…

I padroni di casa riescono a creare qua e là qualche grattacapo ai biancoverdi, che soprattutto nei primi 20 minuti di gioco pagano un po’ di nervosismo, soprattutto in termini di indisciplina. Partita comunque sempre nelle mani dei veneti che segnano due mete per tempo subendone una solo nel finale, con il risultato ormai al sicuro.
Un 11-25 che riflette il gap attuale tra le due squadre, soprattutto nella fase difensiva: le Zebre ci provano, ma senza dannarsi l’anima, e non sono comunque in grado di approfittare del momento di debolezza iniziale degli ospiti, che fanno così l’en plein nei tre derby giocati in questa stagione.

Kieran Crowley, l’uomo che nelle ultime stagioni ha guidato il Benetton fuori dalle paludi con un lavoro mirato e programmato (inevitabilmente) sulla lunga distanza, a fine gara dice che che contro le Zebre “è stata dura: nel primo tempo abbiamo sofferto la loro pressione e loro hanno anche difeso bene. C’è la soddisfazione di aver contribuito a raggiungere questo traguardo, è davvero merito di tutti. Non posso che ringraziare tutto lo staff, ma anche i medici, i fisioterapisti, anche chi lavora negli uffici: tutti hanno messo il loro mattoncino”.
Poi il pensiero vola al Munster, alla sfida di sabato in Irlanda: “Ci prepareremo bene perché non abbiamo nulla da perdere, nessuno si aspettava una squadra italiana, possiamo giocare liberi da ogni condizionamento”.

Parole sagge, perché se da un lato il match di sabato appare proibitivo dall’altro invece vede tutta la pressione cadere sulle spalle della Red Army. Che le ha sicuramente larghe, ma sono gli irlandesi quelli obbligati a dover vincere la partita mentre i biancoverdi, pur consapevoli di affrontare una gara importantissima, potranno scendere in campo con la mente più sgombra. Potranno affrontare la sfida un po’ come ha fatto l’Ajax nella Champions League della palla tonda. Un vantaggio non da poco.
Sarà difficilissimo, perché il Munster che vedremo in campo sarà quello formato Champions Cup e non quello che siamo più abituati a vedere nel torneo celtico, ma provarci non costa nulla.
A proposito di Champions Cup: con la vittoria di sabato e l’accesso ai play-off il Benetton Treviso si è conquistato il diritto sul campo di giocare la prossima stagione nella più importante competizione europea. Magari mi sbaglio, ma credo sia la prima volta che una squadra italiana acceda a quel torno per meriti puramente sportivi e non per aver un posto riservato in base ad accordi tra federazioni. Soltanto un paio di anni fa le nostre formazioni erano state estromesse dalla partecipazione “di diritto” proprio per gli scarsi risultati…

Infine da segnalare la nota polemica delle parole di Amerino Zatta. Il presidente del Benetton usa il fioretto e non la sciabola, ma in una intervista a La Tribuna, dopo aver fatto i complimenti a tutti i componenti del suo club, dice “non posso dimenticare quel che fece la Fir nel 2009, scegliendo Roma e Viadana per la Celtic. Fu grazie all’incontro di Zelarino, alla rivolta del Veneto e alla sollevazione del movimento che fummo scelti in seconda battuta. E anni dopo la Fir non diede certezze sulla Celtic: metà della nostra squadra andò all’estero, dovemmo ripartire”. A Zatta viene chiesto se ha ricevuto complimenti e lui risponde così: “Dal Pro 14, da tanti club italiani, da tantissime persone che ci stanno chiamando. Dalla Fir? Non mi pare, non ancora“. E in effetti il presidente Gavazzi sabato non si è visto in tribuna a Parma, nonostante il rugby italiano si giocasse un risultato storico…