Il Tinello di Vittorio Munari: cosa resta di un Mondiale. E parliamo un po’ di “valori del rugby”

L’analisi della finale tra Sudafrica e Inghilterra, le tre figure-chiave del torneo, un po’ di Italia e una chiusa su un argomento di cui si parla forse un po’ troppo e che viene sbandierato come una diversità indiscutibile.
Palla a Vittorio!

Un palco sulla finale del Mondiale 2019: il Tinello di Vittorio Munari!

La controllata ferocia e la concentrazione maniacale con cui l’Inghilterra ha messo al tappeto gli All Blacks, l’esasperato (e pericoloso) tatticismo springboks per un Galles che ha dovuto fare di necessità virtù. E che nonostante il ko lo ha fatto al meglio.
In attesa della finalissima della RWC tra inglesi e sudafricani… palla a Vittorio!

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Quello strano e incomprensibile balletto attorno alla panchina di Conor O’Shea

ph. Fotosportit/FIR

Alfredo Gavazzi smentisce i contatti con il duo Travers/Labit ma meno di due mesi fa non aveva avuto problemi a confermare gli incontri con Eddie Jones. Davvero si vuole rimettere tutto in discussione? Certo i risultati non sono quelli sperati, ma alla fine il parco giocatori è quello…

La cronaca delle ultime ore ci dice che ieri, 23 gennaio, all’Hurlingham Club di Londra c’è stata la presentazione ufficiale del Sei Nazioni 2019 che scatta tra una settimana abbondante. La truppa azzurra era rappresentata dai capitani e dai ct della nazionale maschile (Sergio Parisse e Conor O’Shea) e femminile (Manuela Furlan e Andrea Di
Giandomenico). Cosa ha detto il tecnico irlandese alla vigilia del suo terzo torneo? “In questi primi giorni di raduno ho trovato grande entusiasmo nel gruppo, conosciamo il livello della sfida che ci aspetta ma siamo una squadra di persone competitive, puntiamo ad offrire il nostro meglio, a lasciare tutto sul campo per poter essere fieri della nostra performance. Ho molta fiducia nel nostro gioco, dobbiamo creare le condizioni per segnare e sfruttare quei momenti che possono cambiare l’energia di una partita. C’è molto talento in Italia, in questi anni stiamo creando la struttura e le condizioni adeguate per continuare a crescere: Treviso con il lavoro di Crowley e Pavanello sta ottenendo grandi risultati, con le Zebre abbiamo un progetto a lungo termine che inizia a dare riscontri concreti”.

Tutto qua? No. “Nel 2018 abbiamo battuto la Georgia e il Giappone – ha proseguito O’Shea –  le prestazioni con Scozia e Australia avrebbero potuto offrire un risultato diverso e dare vibrazioni positive a tutto il movimento, ma hanno comunque dimostrato quanto competitivi possiamo essere. La nostra sfida deve essere quella di replicare quel tipo di performance in ogni gara, a cominciare dal 2 febbraio a Murrayfield contro gli scozzesi”.
Sergio Parisse conferma la linea: “Abbiamo battuto Fiji, Giappone, Georgia ma l’anno scorso ci è mancata una vittoria contro una squadra del livello superiore, non abbiamo concretizzato per quanto lavorato e cambiare questo è quanto vogliamo fare in questo torneo. Partire bene contro la Scozia, con una performance di qualità, sara’ importante per dare il giusto tono al nostro torneo. (…) Possiamo andare a Murrayfield e vincere, stiamo lavorando per questo, per rendere quella di Edimburgo solo la prima opportunità di molte”.

Dichiarazioni abbastanza standard, in linea con quelle degli scorsi anni, sia nella sostanza che nella forma. La ciccia però è che veniamo da tre anni di sole sconfitte, con un differenziale tra punti fatti e punti incassati che sfonda quota -400 e con un solo punto racimolato in classifica. C’è da invertire l’andazzo ma – come scrivevamo da queste parti solo qualche giorno fa – la cosa sembra abbastanza complicata. Vedremo.
Intanto, giusto per non farsi mancare nulla, si stanno registrando movimenti strani attorno alla panchina di Conor O’Shea: un paio di giorni fa il presidente federale Alfredo Gavazzi ha smentito in via ufficiale i contatti con i due tecnici francesi Laurence Travers e Laurence Labit, oggi al Racing 92.

Il duo transalpino non è un’assoluta novità: si tratta di nomi che erano già stati accostati alla FIR quando questa era alla ricerca del successore di Jacques Brunel. La tempistica, va detto, non è delle migliori.
Il campo finora non sta dando i risultati sperati e attorno al tecnico irlandese – e, forse, soprattutto al suo staff – c’è qualche dubbio. Non è un mistero, d’altronde era stato lo stesso Gavazzi a fine novembre scorso a confermare pubblicamente che aveva incontrato Eddie Jones: “Non c’è mica nulla di male a guardarsi intorno – disse a Il Mattino – Si, è tutto vero. Si è proposto lui tramite alcuni amici. Ci sono stati tre incontri diretti e certo, s’è parlato anche di soldi ma ha proposto una visione e una filosofia diversa dalla nostra”.
Insomma, mettetela un po’ come vi pare, ma incontrare per tre volte un tecnico come Eddie Jones e arrivare parlare di soldi è un po’ oltre il “guardarsi attorno”. Aggiungiamoci che alcune indiscrezioni e rumors delle scorse settimane parlano anche di un abboccamento con Franco Smith (ma non c’è nessun tipo di conferma ufficiale della cosa. Almeno fino a ora). Conor O’Shea ostenta serenità, però proprio tutto a posto non è.

Capita, per carità, ma se metti una persona nel cuore di un laborioso, complicato e inevitabilmente lungo lavoro di ristrutturazione non puoi mollare il colpo e cambiare tutto dopo tre anni. Perché così butti anche il bambino assieme all’acqua sporca.
Ci sono in giro tecnici migliori di Conor O’Shea? Sì, certo, ma quello dell’irlandese rimane l’identikit che meglio si adatta sulle nostre necessità, ala nostra situazione. Cambiare sarebbe una follia. Anche perché potremmo ingaggiare e far arrivare Steve Hansen, Warren Gatland o Joe Schmidt, ma alla fine i giocatori a disposizione rimangono quelli. Fenomeni a casa non ne abbiamo lasciati.
Quindi, esattamente, di cosa staremmo parlando? Il contratto di O’Shea (che ovviamente ha commesso degli errori) scade al termine del Sei nazioni 2020. Davvero ci sono dubbi sul suo rinnovo? Non voglio crederlo.

IN AVANTI POPOLO! – Sentieri celtici, palestre che non lo sono e (troppe) parole in circolo

I momenti e i percorsi che stanno prendendo Benetton Treviso e Zebre, i tanti (troppi?) stranieri arrivati alle Zebre, i giocatori dell’U20 che trovano poco spazio, un massimo campionato nazionale che nonostante i proclami continua a non essere una palestra “vera” per atleti, allenatori, arbitri e dirigenti. E poi le dichiarazioni del presidente federale Gavazzi sul futuro di Conor O’Shea e del suo staff e l’annuncio di Marzio Innocenti sulla sua candidatura alla corsa presidenziale 2020….

Rugby e salute: infortuni e concussion in crescita, l’Inghilterra chiede l’intervento di World Rugby

Un rapporto sulla stagione 2016/2017 del rugby professionistico inglese conferma la luce rossa accesa già negli anni precedenti. Ci si infortuna tanto durante le gare e troppo negli allenamenti. La RFU chiede a World Rugby di cambiare l’altezza del placcaggio consentito dalle norme. E nell’occhio del ciclone ci finisce pure Eddie Jones

Oggi accendiamo i riflettori sulla salute dei giocatori, tema di cui non si parlerà mai abbastanza, e nello specifico su un report inglese riguardante la stagione 2016/2017 commissionato dalla RFU, dalla Premiership Rugby e dalla Rugby Players ‘Association (ah, che bello avere tutte queste istituzioni che nonostante le inevitabili frizioni lavorano comunque per un comune obiettivo. Chiusa la parentesi).
Il documento si chiama The Professional Rugby Injury Surveillance Project e, come ci dice il Times, la “revisione degli infortuni nel rugby professionistico in Inghilterra ha registrato un aumento delle concussions per il settimo anno consecutivo (…) ha riscontrato un allarmante aumento del numero e della gravità degli infortuni nelle partite e negli allenamenti”.
Poi un po’ di numeri, visto che gli infortuni sia nel corso delle gare che negli allenamenti hanno registrato dei tassi superiori a quelli considerati accettabili dagli estensori del report. Ancora il Times:C’è stata una media dell’ultima stagione di 3,8 infortuni per partita nella Aviva Premiership, con i giocatori esclusi per una media di 38 giorni. La commozione cerebrale è stata l’infortunio più segnalato, pari al 22%”.

Numeri preoccupanti che hanno spinto Simon Kemp, il responsabile medico della RFU, a chiedere l’intervento di World Rugby: l’organo che gestisce la palla ovale a livello mondiale dovrebbe – secondo le richieste del medico – cambiare l’altezza del placcaggio consentito dalle norme e al contempo applicare pene più severe per i placcaggi a testa alta: “Vorremmo che World Rugby prendesse in considerazione il pensiero di ridurre l’altezza legale del placcaggio da sotto la linea delle spalle, perché poiché il margine di errore è molto basso – si legge sul quotidiano inglese – abbiamo bisogno di un messaggio più chiaro su ciò che costituisce un approccio sicuro e non sicuro”.
Nel documento si parla di tassi di crescita tali per i quali usare parole come “inquietante” non è affatto sbagliato: il numero delle collisioni è cresciuto del 10% all’anno negli ultimi 4 anni e le previsioni per la stagione in corso parlano di una ulteriore crescita. Un numero elevatissimo di infortuni (il 36%) è stato registrato nel corso degli allenamenti e la tipologia più comune rimane sempre quella della concussion. Una curiosità, chiamiamola così: il report per la prima volta registra un numero più alto di infortuni su campi sintetici che non in quelli nella tradizionale erba. Che questo ultimo dato sia da spiegare con l’esplosione numerica di quel tipo di campi è cosa possibile ma non certa, bisognerà attendere i numeri dei prossimi anni. Da parte sua la RFU ha difeso il suo piano di progettazione e costruzione di campi artificiali e assieme al board della Premiership e dalla Rugby Players ‘Association ha presentato un memorandum in 8 punti (non svelati ancora alla stampa) per rispondere in maniera adeguata ai dati contenuti in questo The Professional Rugby Injury Surveillance Project.

Chiudo con un aspetto derivante dal rapporto che è stato sottolineato dal Guardian: “Le sedute di allenamento di Eddie Jones saranno probabilmente sottoposte a controllo (…) Jones conduce sessioni di allenamento notoriamente estenuanti e ha dichiarato in passato che quando i suoi giocatori si uniscono alla nazionale non sono ai livelli richiesti per il rugby internazionale”. l’ennesima grana dalla stampa britannica per l’head coach dell’Inghilterra, reduce da un Sei Nazioni davvero negativo e passato in due mesi dall’essere quasi un eroe a il capro espiatori di tutti i problemi del rugby d’Oltremanica. Un atteggiamento che da quelle parti non è certo una novità.