Bilanci di fine anno: il pagellino del 2019 del nostro rugby

L’anno sta per andare in soffitta, le non molte partite che vanno ancora giocate non andranno a modificare la situazione che si è delineata negli 11 mesi abbondanti che ci siamo già messi alle spalle. Ho stilato una personalissima (e quindi discutibile) pagella per il rugby italiano, prendendo in considerazione non singole persone ma le formazioni più importanti e i tornei principali. 

Nazionale: voto 4
Cinque sconfitte in 5 gare del Sei Nazioni (come i due anni precedenti: un tris che avremmo evitato volentieri), l’ampia vittoria ferragostana sulla Russia in mezzo al sandwich dei netti ko con Francia e Inghilterra. Poi un Mondiale da minimo sindacale con le affermazioni su Canada e Namibia (vado a memoria: le due formazioni arrivati al torneo iridato con il ranking peggiore) e il match con gli Springboks praticamente senza storia, a prescindere dai cartellini). La partita non disputata con gli All Blacks da un lato non può che migliorare il nostro score e fornisce all’assist alla battuta – involontariamente? – comica dell’anno (“Siamo stata la migliore delle terze, chiudendo in nona posizione”). C’è poco e nulla da discutere.

Nazionale U20: voto 6
Nel Sei Nazioni passo indietro rispetto al torneo del 2018, Mondiale di categoria in sostanziale equilibrio se paragonato a quello precedente. Non era scontato. E’ una nazionale inevitabilmente di passaggio, che soffre più di quella maggiore le storture e le difficoltà della nostra filiera. I tecnici su questo possono poco e nulla. Il vero problema, come più volte scritto da queste parti, è il passo successivo a questa selezione: il gap con le nostre avversarie diventa enorme proprio in quel punto, quando i nodi arrivano al pettine.

Nazionale femminile: voto 9
Brave, bravissime. Un risultato raggiunto alla perseveranza senza fine di coach Di Giandomenico e – soprattutto – di Maria Cristina Tonna (oltre che delle giocatrici, ovviamente), capaci di fare le nozze con i fichi secchi, di tenere in vita e far crescere un movimento ai margini degli interessi di chi lo gestisce. Tutto questo senza mai una parola fuori posto, senza una polemica e cercando di utilizzare sempre al meglio la situazione e le risorse date. Un appello a chiunque vincerà le elezioni federali del prossimo anno: quei due teneteveli stretti.

Nazionale Seven: voto boh
La selezione azzurra per cui il rapporto tra cose che vengono dette e cose che vengono fatte è inversamente proporzionale. E’ quella che ci garantisce i finanziamenti del CONI per l’attività olimpica, ma che poi tutti quei soldi vengano usati proprio per il rugby a 7 è cosa da dimostrare. Si era parlato di un’accademia specifica con atleti dedicati ormai in dirittura d’arrivo ma ovviamente tutto è finito in un cassetto, ad andare bene. Non esiste un campionato specifico, l’attività è ridotta all’osso e alle volte (spesso?) pure i club si mettono di traverso, ché vedono gli stage e i ritiri come un intralcio alla propria programmazione e un inutile rischio-infortuni. In questo panorama riuscire ad ottenere qualsiasi risultato importante è proibitivo.
Qualcuno faccia un monumento a Andy Vilk e allo staff tecnico.

Benetton Treviso: voto 8
Lo storico approdo ai play-off del Pro14 sarebbe da 9, ma il più che balbettante inizio della stagione in corso toglio un voto ai biancoverdi che in queste settimane sono alle prese con problemi (soprattutto, ma non solo) di approccio mentale. Treviso ha comunque le frecce e le spalle larghe per fare una netta inversione di marcia. Formazione che ha nella pattuglia straniera – di qualità, va detto – il suo vero punto di forza. La vera sfida è dar vita a uno “zoccolo duro” italiano altrettanto decisivo. La strada è quella giusta, ma il cammino non è certo terminato.

Zebre: voto 4,5
Una lunghissima e ininterrotta sequela di sconfitte da ottobre 2018, poi le vittorie consecutive nelle ultime due uscite danno ora una speranza ma è presto per dire che la squadra di Parma sia definitivamente uscita dal tunnel. Fondamentali in questo senso le gare da qui a inizio gennaio. Rimangono i dubbi sulla gestione della franchigia: se sul lato economico-amministrativo si fanno lenti ma non discutibili passi avanti (siamo però ancora lontanissimi da un ancorché soltanto vagamente possibile approdo “privato”) lo stesso non si può dire del lato tecnico, con l’ingaggio di davvero troppi stranieri che – cosa più grave – non lasciano traccia. Le Zebre oggi come oggi possono e devono essere soprattutto una franchigia di formazione e crescita per i giovani che hanno ambizioni azzurre, non di chi potrebbe (forse, un giorno) venire equiparato. Senza essere un fenomeno.

Calvisano: voto 7,5
La società bresciana si conferma la squadra di club del decennio tra quelle che prendono parte ai campionati nazionali. I 5 scudetti (l’ultimo nel maggio scorso) dal 2011/2012 a oggi sono lì a dimostrarlo. Società ben organizzata, ben guidata e che sfrutta al meglio le “spinte” extra-campo (inequivocabili: possiamo discutere sulla loro quantità, non sulla loro presenza o meno). Cosa quest’ultima che non viene mai sottolineata: saper approfittare di condizioni ambientali favorevoli non è affatto automatico, bisogna saperlo fare. E un “bravo” al Calvisano va dato anche in questo 2019.
Ps. Massimo Brunello relegato al Top12 è un delitto vero.

Petrarca: voto 7
Padova vuole rompere lo status quo tra federazione-franchigie. La squadra veneta presenta un piano concreto e solido per diventare “celtica”. Per know-how, strutture e garanzie economiche è la proverbiale proposta a cui è difficilissimo dire di no. Ma il nostro è un paese incredibile ed è capace di soluzioni davvero fantasiose, alle volte. Io mi prendo i popcorn e mi siedo sulla poltrona…

Top 12: voto 5
“Il Peroni Top12 rappresenta una tappa centrale della crescita dei giocatori italiani. Questo campionato aiuta a far crescere il bacino dei giovani giocatori da cui potranno attingere le franchigie di Pro14 e la Nazionale Maggiore”. Così il presidente federale Alfredo Gavazzi alla presentazione del campionato ora in corso, solo qualche settimana fa. Stesse parole dell’anno prima, e di quello prima ancora e di quello che l’ha proceduto. E così via.
L’unica cosa che è cambiata in questi anni, in maniera schizofrenica, è il numero delle squadre partecipanti, ma la ciccia è sempre quella. Purtroppo.

Coppa Italia: vabbé, questa voleva essere una battuta. Tipo la Lega delle Società. Ah ah. Che ridere. Già.

Movimento Italia: voto 5
Voto un po’ abbondante. Dobbiamo prendere gli ingredienti sopra descritti e mixarli, tenendo presente che i pesi tra quegli stessi ingredienti non sono ovviamente equivalenti. Esempio: la nazionale maggiore per importanza, attrattiva e costi vale da sola più della metà del tutto.
I risultati del campo sono quelli che conosciamo tutti, a questo aggiungiamo il limbo (voluto?) organizzativo e normativo con prassi che vengono permesse o accettate senza che siano ufficializzate con regole chiare, pubbliche, condivise e note a tutti. Tipo i permit players, come ho scritto svariate volte. Questa latitanza va comunque condivisa con i club, ai quali evidentemente va bene così. Contenti loro.

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Non può piovere per sempre e le Zebre, intanto, delocalizzano. Nessun arbitro italiano nel Sei Nazioni 2020

Sabato i bianconeri affronteranno il Brive (Challenge Cup) a Calvisano per “l’impraticabilità del campo dello Stadio Lanfranchi di Parma a causa delle eccezionali precipitazioni delle ultime settimane”. Però nella città emiliana non piove ormai da parecchi giorni. Per qualcuno è una specie di un biscottone, ma se fosse una scelta dettata dalla fretta o da una gestione non ottimale del campo?
Ufficializzati i fischietti del Sei nazioni che scatta a febbraio. Indovinate un po’? Tra arbitri, assistenti e TMO non c’è nemmeno un italiano. E – purtroppo – non è più una notizia

“Sabato 7 dicembre 2019 sarà il Pata Stadium di Calvisano (BS) ad ospitare il 3° turno del girone 4 della coppa europea Challenge Cup tra le Zebre ed e francesi del CA Brive.
La decisione si è resa necessaria data l’impraticabilità del campo dello Stadio Lanfranchi di Parma a causa delle eccezionali precipitazioni delle ultime settimane abbattutasi su tutto il Nord Italia. Nonostante tutti gli sforzi messi in campo da parte dello staff di manutentori, il manto erboso dell’impianto in gestione alla Federazione Italiana Rugby non era nelle condizioni ottimali per garantire il miglior svolgimento di una partita di rugby internazionale, oltre che l’incolumità stessa degli atleti”.
Così le Zebre hanno comunicato nel pomeriggio di martedì 3 dicembre la decisione di giocare sul campo dei bresciani il match europeo contro i transalpini, e lo stesso club bianconero ricorda che Calvisano “è stato designato come campo di riserva nell’accordo di partecipazione alla competizione europea della stagione 2019/20”. La sede alternativa non è una decisione dell’ultima ora.

Che in Emilia abbia piovuto molto è indubbio, però la storia è comunque buffa, diciamo così. Mettiamo in fila un po’ di cose:
– l’ultima partita giocata su quel prato risale al 23 novembre, avversario lo Stade Francais
– nei giorni successivi ha piovuto molto, vero, ma sbirciando tra i vari siti di meteo risulta che a Parma l’ultima giornata di pioggia vera e propria è stata il 27 novembre (tra l’alto, quel giorno, nemmeno molta)
– è vero anche che aveva piovuto, e molto, pure prima della partita contro lo Stade Francais
– la partita tra Zebre e Brive è in programma il 7 dicembre, cioè praticamente 10 giorni o quasi dall’ultimo giorno di precipitazioni, a due settimane dall’ultimo match interno
– la programmazione delle altre discipline sportive non risulta modificata per quegli stessi giorni
– mi dicono che dopo il match contro lo Stade non sono stati tesi i teloni. Ok, ma 10 giorni non bastano per tornare a condizioni ottimali/dignitose?
– dice: non volevamo peggiorare le condizioni del campo. D’accordo. Mi chiedo però come facciano in Galles, Scozia o Irlanda, paesi dove piove pochissimo. Già.

Siccome in ballo ci sono le Zebre e Calvisano la reazione pavloviana di molti è stata quella di un biscottone. Io sono molto più terra-terra e trovo che più prosaicamente i casi sono due: o la decisione di giocare a Brescia è stata presa con un po’ troppa fretta oppure a Parma la gestione materiale del campo non è delle migliori. Non credo esista una terza opzione. Il tutto lascia comunque l’amaro in bocca.

GLI ARBITRI DEL SEI NAZIONI 2020
Annunciati i fischietti, gli assistenti e i TMO del torneo più importante. Guardate lo specchietto. Trovate inglesi, francesi, gallesi, scozzesi (solo uno, ma c’è), neozelandesi, sudafricani, australiani, argentini. Indovinate chi manca? Esattamente. Ancora una volta.

Celtici o non celtici? Il Petrarca mette sul tavolo del rugby italiano il tema “concretezza”

Ph. FOTOVALE – Dal sito ufficiale dell’Argos Petrarca Rugby

Intorno alla richiesta del club veneto di entrare nel Pro14 si sono dette parecchie cose, ma ci sono dei convitati di pietra da affrontare e prendere davvero di petto

Vogliamo dire come stanno le cose senza girarci attorno? La chiacchiera che gira da tempo è che ci sarebbe l’intenzione di spostare le Zebre da Parma a Brescia: la franchigia federale giocherebbe nel capoluogo lombardo e ovviamente nemmeno vi sto a dire quale sarebbe il luogo in cui i bianconeri si allenerebbero quotidianamente. Quando? Tra un anno, massimo due.
Sì, certo, è solo una indiscrezione ma probabilmente chi frequenta club e campi questa cosa l’ha sicuramente già sentita diverse volte. Qui e là ha fatto pure capolino su qualche media ovali, anche se non in maniera palese. Dice: perché non chiedere qualche conferma ufficiale? Perché nessuno la darebbe, i tempi non sono maturi. Chi potrebbe mettere qualche timbro anche solo ufficioso rimane in silenzio.
Anche perché, è questa è la seconda parte della chiacchiera che circola, la cosa sarebbe oggetto di trattative tra alcuni candidati alle prossime elezioni presidenziali. Un tema che è stato messo sul tavolo e su cui alcune parti starebbero cercando una quadra e che farebbe da base per patti di alleanze e/o desistenze. Rumors su trattative ancora aperte, va da sé, la situazione è molto fluida.

Su questa cosa bisogna però essere onesti e smettere di raccontarsela. Dopo diversi anni si può dire senza tema di essere smentiti che il progetto-Parma non è mai decollato, fallito, spostare le Zebre da lì non sarebbe certo uno scandalo. La cittadina emiliana, che pure vanta un ragguardevole background rugbistico ha sempre vissuto i bianconeri come un corpo esterno ed estraneo. Probabilmente il fatto di aver vinto poco (se non pochissimo) non ha mai scaldato davvero gli animi ma non basta a spiegare un atteggiamento che può essere ben riassunto da una frase che diverse persone che abitano in quella zona mi hanno più volte detto in questi anni: “A Parma se c’è il dubbio tra andare a vedere le giovanili del proprio club e una partita di Pro14 o Champions Cup quasi tutti scelgono la prima”. L’Italia (del rugby) dei campanili all’ennesima potenza.
Magari è una battuta, una forzatura, però i risultati alla fine sono quelli che sono…
Ma qui non si vuole discutere del rapporto tra Parma e le Zebre, quanto semplicemente sottolineare che – come dicevo prima – se la FIR decidesse di traslocarle non bisognerebbe poi stupirsi più di tanto. Certo: le Zebre arrivarono a Parma per l’anagrafica di un presidente, spostarle – guarda il caso – per lo stesso motivo da un’altra parte non sarebbe poi il massimo, per usare un gigantesco eufemismo. Sarebbe un conflitto di interessi? Sì, enorme, molto più di quanto avvenuto qualche anno fa. Poi possiamo raccontarcela quanto vogliamo eh. Vedremo che succederà. Però nelle ultime settimane sono successe cose, che hanno cambiato di parecchio le carte in tavola.

Come ben sapete lo scorso settembre il Petrarca ha presentato una richiesta scritta di poter prendere parte al Pro14. Un dossier completo, con tanto di solide garanzie economiche e bancarie. E’ lì, scritto tutto nero su bianco, la federazione non può non tenerne conto e un “no” stavolta andrebbe spiegato con dovizia di particolari.
Perché il club di Padova darebbe una bella boccata d’ossigeno alle casse FIR (solo dio sa quanto ne abbiano bisogno), ha strutture già pronte, campi da gioco e di allenamento già funzionanti. C’è un know-how di base notevole e una lunga storia di “produzione di giocatori”, senza dimenticare l’esistenza di una seconda squadra che potrebbe rivelarsi utilissima. Certo il tutto andrebbe migliorato e potenziato, ma di fatto il Petrarca è già pronto oggi. Davanti a una proposta del genere si possono fare spallucce o cercare di rimandare una decisione a chissà quando? No, sarebbe folle.
Folle anche perché il patron della società veneta Alessandro Banzato è uno di quei personaggi che nell’angusto mondo del rugby italico non irrompono da decenni. Giusto per non nascondersi dietro a un dito: trattasi di imprenditore ricchissimo, dalle enormi disponibilità economiche, a capo di un solido gruppo industriale (Acciaierie Venete) e presidente nazionale dell’associazione di categoria. Uno così dalle nostre parti non lo vedevamo da quando la famiglia Benetton ha deciso di prendere una palla ovale in mano. E spiace dirlo, ma Luciano Benetton, unico vero appassionato di rugby di quella dinastia, non è eterno e le primavere che si è già messo alle spalle non sono esattamente poche.
Chiudete gli occhi e cercate di pensare a un imprenditore, un’azienda o un gruppo economico che ha investito notevoli quantità di soldi nel rugby italiano (no, non parlo della nazionale, quello è un discorso diverso) in maniera costante. Bene, riaprite gli occhi: quanti sono i nomi? Uno: Luciano Benetton. Poi sarà forse la persona più antipatica del mondo (ripeto: forse) e si mette le dita del naso, ma è l’unico che ha investito letteralmente milioni di euro nel nostro amato sport. Per un sacco di anni. Siccome credo che nessuno di noi va in vacanza con lui è l’unica cosa che conta.

Banzato ha quella stessa passione (non è e non sarebbe quindi un novello Silvio Berlusconi, che travolse e abbandonò velocemente il movimento negli anni ’90), talmente forte che fino ad ora è bastata a tenere lontane le lusinghe del calcio, che lo corteggia da un po’. Fino a ora. Tutto questo per dire che come ha scritto Antonio Liviero sul Gazzettino qualche giorno fa, il nostro rugby a uno così dovrebbe stendere un tappeto rosso.
Altro personaggio simile – anche se su scala più ridotta – è Enrico Grassi, attuale proprietario del Valorugby, che da tempo ha fatto capire che un’avventura celtica certo non troverebbe una sua opposizione di principio, ma finora non ha mai fatto nessun passo ufficiale, di nero su bianco non c’è nulla. E quel club non può oggi contare sulle strutture e la tradizione del Petrarca.

Una delle maggiori critiche finora rivolte alla opzione Petrarca è quella della contiguità territoriale con il Benetton Treviso, il nostro rugby diventerebbe definitivamente Veneto-centrico. Beh, non so se ve ne siete accorti, ma praticamente lo è già. Pure da un pezzo.
Primo: è vero, le Zebre giocano in Emilia, ma il Veneto è davvero a uno sputo.
Secondo: Brescia è in Lombardia e si trova a molto meno di uno sputo dal Veneto.
Terzo: 9 squadre su 12 del nostro massimo campionato nazionale sono raccolte in un fazzoletto che comprende Veneto, est della Lombardia e nord dell’Emilia.
Insomma, esattamente di cosa staremmo parlando?
Anche a me piacerebbe vedere una franchigia di stanza a Firenze, Roma, o altrove. Il Sud sarebbe fighissimo, lo dico dal profondo del cuore. Mi piacerebbe davvero tanto. Però oggi quali sono le possibilità che davvero accada? Nulle. Sono anni che ce lo si dice e non si va oltre qualche chiacchiera esplorativa (quando va favvero molto, molto bene), nessun imprenditore si è mai davvero interessato o esposto. Strutture? Da costruire ex-novo, se non addirittura da progettare. Quindi mi ripeto: di cosa staremmo parlando? Il nostro rugby è questo. Non sto dicendo che deve piacerci per forza sta cosa, ma è così. Non si scappa: o un territorio riesce a trovare la forza di proporsi e di sostenere un progetto simile oppure deve pensarci la FIR in tutto e per tutto. Chissà con quali speranze oggettive di successo e in quali tempi. La federazione nicchia? Beh, dai, chi non lo farebbe? Un po’ di onestà intellettuale.
O si riparte da qui, dalle cose concrete, oppure possiamo continuare a raccontarci delle belle favolette su crescita, diffusione ed espansione del movimento. Discipline queste che abbiamo ampiamente praticato e che negli ultimi venti anni e che si continua a fare. Direi che finora è andata benissimo, no?

Ps. Un’alternativa a tutto questo ci sarebbe: rilanciare il nostro massimo campionato nazionale. Ma farlo sul serio per avere un torneo DAVVERO credibile, ma in quel caso dobbiamo darci tempi medio-lunghi. Ma questa è un’altra storia.

L’Halloween al contrario delle Zebre: un lungo anno celtico di sole sconfitte

In questo primo scorcio di stagione celtica le Zebre hanno giocato 6 partite e ne hanno perse altrettante. Due i punti di bonus messi in cascina, 67 punti fatti e 212 incassati per uno differenziale di -145.
Ieri cazzeggiando sui social ho trovato un post di (mi pare di Rugby.it, potrei sbagliarmi, ma non lo ritrovo più) che ricordava che la franchigia federale non vince in Pro14 da oltre un anno solare.
Beh, è vero.
Nella stagione 2018/2019 i bianconeri hanno giocato 21 gare, 18 perse e tre vinte con 19 punti finali in classifica (peggiore performance del torneo: i Southern Kings hanno portato a casa 22 punti e i Newport Dragons 26), preso 640 punti a fronte dei 260 fatti per un complessivo -380. Le Zebre hanno vinto con i Kings alla prima giornata, i Cardiff Blues alla 3a, ultimo sorriso con Edimburgo alla 7a. Poi più nulla. In tre partite il tabellone è rimasto fermo a zero, molti i match in cui si è concesso il punto di bonus offensivo agli avversari.

Ci sono sicuramente delle giustificazioni, degli alibi: gli infortuni, una panchina corta e/o non all’altezza, ingaggio di atleti stranieri che portano poco o nulla, le cavallette, le piaghe bibliche o il cane che ha mangiato il quaderno con i compiti. Quello che volete.
Tutto vero, ma questi sono fatti e numeri inoppugnabili che dovrebbero spingere a farsi qualche domanda, a rivedere cose. Succederà mai? Qualcuno o qualcosa verrà mai messo in discussione oppure vinceranno le solite giustificazioni che si ascoltano e che si leggono anche per altre selezioni che portano una maglia azzurra? Mah…
Intanto mettiamo un cerchio sul calendario attorno al 15 dicembre: in quella data – un anno fa – le Zebre hanno battuto a Parma i russi dell’Enisei in un match di Challenge Cup. E’ stata l’ultima vittoria tout-court dei bianconeri. Speriamo di vederne una prima di quel giorno.

Ps: oggi OnRugby pubblica un reportage sui minutaggi dei permit players di Benetton Treviso e Zebre in questa prima tranche di stagione. Si sottolinea che alcuni giocatori “hanno potuto giocare, quando non impegnati in Pro14, nel Top12, massimo campionato italiano”. Tutto bene, finalmente verrebbe da dire.
Domanda: qualcuno ha visto da qualche parte le regole con cui viene normato il capitolo permit players? Quali siano gli obblighi, i doveri e diritti di atleti e squadre coinvolte? Oppure si sta facendo tutto come al solito, con accordi privati al di fuori di qualsiasi norma (che evidentemente non c’è) e che alla fine non possono che creare figli e figliastri? Ma davvero sta roba sta bene ai club del Top 12? Presidenti, leggete qui: poi non lamentatevi eh…

Fare di necessità virtù: Biondelli a metà tra Zebre e Fiamme Oro, ma le norme non ci sono

Un annuncio e un comunicato che svelano (senza rendersene conto?) pubblicamente per l’ennesima volta uno dei problemi della nostra filiera. Un ingaggio con caratteristiche che non sono regolate da nessuna norma attualmente in vigore. Insomma, un Far West.

“Nella prossima stagione 2019/20, in caso non fosse convocato in lista gara con la franchigia federale, Biondelli potrà scendere in campo con il club delle Fiamme Oro Rugby nel Peroni Top12”.
E’ scritto nero su bianco sul comunicato con cui le Zebre annunciano che Michelangelo Biondelli sarà un giocatore della franchigia di Parma a partire da questa estate. Eccola (anche) qua, la soluzione autogestita al tema permit players. Lo fa il Benetton Treviso e ora lo fanno pure le Zebre, che problema c’è?
Qualcuno potrebbe dire “ma non sei tu quel Paolo Wilhelm che ha scritto in lungo e largo che meglio una soluzione del genere che comunque garantisce un’ascensore tra Pro14 e Top12 di un qualche senso invece del nulla predicato per anni?”. Sì, sono io, e continuo a pensarlo e a sostenerlo ad alta voce.

Però i problemi di fondo rimangono. Quell’autogestione – come spesso l’ho definita – è solo una pezza messa a tappare un buco piuttosto grosso nella nostra filiera. E’ una pezza che però non può rimanere così: deve essere normata.
Le Zebre che annunciano l’ingaggio di un giocatore sbandierando il suo utilizzo nel torneo celtico e nel massimo campionato nazionale sono in un campo non regolato, sono nella giungla o nel far west. Il Benetton Treviso che gestisce Michele Lamaro (è un esempio) come ha fatto nell’ultima stagione non pascola in prati molto diversi. Che poi facciano di necessità virtù è un altro paio di maniche, ma – sarò ripetitivo – la situazione va regolarizzata e a oggi non lo è.
Se Biondelli (o Lamaro) può avere un contratto di quel genere è perché qualcuno (chi?) ha detto ai dirigenti delle Zebre che possono farlo. Ma lo ha detto a voce, che la regola ancora non c’è.

L’ultima Circolare Informativa della FIR è stata pubblicata il 28 giugno 2018 (aggiornata però al 25 ottobre dello stesso anno) e non contiene nessun accenno a una normativa che consente movimenti simili. Dopo abbiamo avuto dichiarazione e intenti da Conor O’Shea in giù, ma nessuna regola scritta. Nessuna.
Una situazione non tollerabile, che fa inevitabilmente figli e figliastri. Perché non bisogna essere dei grandi geni per rendersi conto che le società di Top 12 coinvolte in questi accordi sono pochissime e sempre le stesse. Ci sono di mezzo atleti e contratti, quindi giocatori e soldi, la domanda sorge inevitabile: ma questo far west sta bene a tutti i club del massimo campionato italiano, quando è evidente che sono solo poche le società che ne ottengono un qualche vantaggio? Non si accorgono che le trafile per arrivare a questa sistemazione “stabilmente non equilibrata” in qualche modo dopano la filiera del nostro movimento a vantaggio di pochi, se non di pochissimi?
Certo, se esistesse una Lega di club questo sarebbe un tema centrale, ma quella roba lì (la Lega intendo) evidentemente serve solo per far chiacchierare i media ovali un paio di volte all’anno, una buona scusa per i presidenti di trovarsi e cenare assieme. Ma oltre a questo c’è il nulla, un po’ come per la normativa sui permit.