Un rapporto sulla stagione 2016/2017 del rugby professionistico inglese conferma la luce rossa accesa già negli anni precedenti. Ci si infortuna tanto durante le gare e troppo negli allenamenti. La RFU chiede a World Rugby di cambiare l’altezza del placcaggio consentito dalle norme. E nell’occhio del ciclone ci finisce pure Eddie Jones
Oggi accendiamo i riflettori sulla salute dei giocatori, tema di cui non si parlerà mai abbastanza, e nello specifico su un report inglese riguardante la stagione 2016/2017 commissionato dalla RFU, dalla Premiership Rugby e dalla Rugby Players ‘Association (ah, che bello avere tutte queste istituzioni che nonostante le inevitabili frizioni lavorano comunque per un comune obiettivo. Chiusa la parentesi).
Il documento si chiama The Professional Rugby Injury Surveillance Project e, come ci dice il Times, la “revisione degli infortuni nel rugby professionistico in Inghilterra ha registrato un aumento delle concussions per il settimo anno consecutivo (…) ha riscontrato un allarmante aumento del numero e della gravità degli infortuni nelle partite e negli allenamenti”.
Poi un po’ di numeri, visto che gli infortuni sia nel corso delle gare che negli allenamenti hanno registrato dei tassi superiori a quelli considerati accettabili dagli estensori del report. Ancora il Times: “C’è stata una media dell’ultima stagione di 3,8 infortuni per partita nella Aviva Premiership, con i giocatori esclusi per una media di 38 giorni. La commozione cerebrale è stata l’infortunio più segnalato, pari al 22%”.
Numeri preoccupanti che hanno spinto Simon Kemp, il responsabile medico della RFU, a chiedere l’intervento di World Rugby: l’organo che gestisce la palla ovale a livello mondiale dovrebbe – secondo le richieste del medico – cambiare l’altezza del placcaggio consentito dalle norme e al contempo applicare pene più severe per i placcaggi a testa alta: “Vorremmo che World Rugby prendesse in considerazione il pensiero di ridurre l’altezza legale del placcaggio da sotto la linea delle spalle, perché poiché il margine di errore è molto basso – si legge sul quotidiano inglese – abbiamo bisogno di un messaggio più chiaro su ciò che costituisce un approccio sicuro e non sicuro”.
Nel documento si parla di tassi di crescita tali per i quali usare parole come “inquietante” non è affatto sbagliato: il numero delle collisioni è cresciuto del 10% all’anno negli ultimi 4 anni e le previsioni per la stagione in corso parlano di una ulteriore crescita. Un numero elevatissimo di infortuni (il 36%) è stato registrato nel corso degli allenamenti e la tipologia più comune rimane sempre quella della concussion. Una curiosità, chiamiamola così: il report per la prima volta registra un numero più alto di infortuni su campi sintetici che non in quelli nella tradizionale erba. Che questo ultimo dato sia da spiegare con l’esplosione numerica di quel tipo di campi è cosa possibile ma non certa, bisognerà attendere i numeri dei prossimi anni. Da parte sua la RFU ha difeso il suo piano di progettazione e costruzione di campi artificiali e assieme al board della Premiership e dalla Rugby Players ‘Association ha presentato un memorandum in 8 punti (non svelati ancora alla stampa) per rispondere in maniera adeguata ai dati contenuti in questo The Professional Rugby Injury Surveillance Project.
Chiudo con un aspetto derivante dal rapporto che è stato sottolineato dal Guardian: “Le sedute di allenamento di Eddie Jones saranno probabilmente sottoposte a controllo (…) Jones conduce sessioni di allenamento notoriamente estenuanti e ha dichiarato in passato che quando i suoi giocatori si uniscono alla nazionale non sono ai livelli richiesti per il rugby internazionale”. l’ennesima grana dalla stampa britannica per l’head coach dell’Inghilterra, reduce da un Sei Nazioni davvero negativo e passato in due mesi dall’essere quasi un eroe a il capro espiatori di tutti i problemi del rugby d’Oltremanica. Un atteggiamento che da quelle parti non è certo una novità.
Buongiorno Paolo,
argomento scottante e preoccupante…
spero che non si finisca a vedere i giocatori indossare l’elmetto protettivo come nel football americano, però il problema c’è e va affrontato
abbassare la linea del placcaggio può essere una soluzione, ma come sentito commentare più volte, da fracasso mi par di ricordare, la concussion deriva da una forte decelerazione che scuote la materia cerebrale, quindi anche un bel placcaggio ben portato e assolutamente regolare sotto la linea del diaframma, alla samoana per intenderci, può generare una concussion perchè sarebbe il colpo di frusta della colonna vertebrale a generare il forte movimento della materia cerebrale all’interno della scatola cranica
nella formula 1 mi pare che l’introduzione del blocca testa nel sedile del pilota non riduca la possibilità di trauma cerebrale ma piuttosto il trauma cervicale di natura ossea, quindi non è proprio un tema di facile gestione e risoluzione
spero che il rugby pro non finisca ancora prima di essere iniziato…
Opinione personale che andrebbe verificata. La maggior parte delle concussion credo derivi principalmente dal placcaggio portato male, con la testa all’interno. I caschetti non servono a nulla. Spesso l’errore sul placcaggio e’ dettato dalla velocita’ dell’attaccante nel cambiare linea di corsa e portarsi sulla spalla debole del difensore, che sbilanciato entra scomposto nel placcaggio. Soluzioni? A questo giro proprio non invidio WR
quoto massimiliano, cercare di ridurre (pensiero nobile) i casi di concussion è roba da scienziati…sono talmente tante le variabili in gioco, penso al portatore di palla che non si piega o che non cerca i varchi, al difensore di 2 metri che si ritrova addosso l’attaccante dopo uno step left/right improvviso fino al secondo placcatore che ti crolla addosso stile sacco di patate.
Prima di pensare alla linea maginot sarebbe meglio pensare al minutaggio/turnover del giocatore e segnarsi partita per partita i placcaggi subiti/assestati che gli infortuni, salvo casi estremi, non nascono dal nulla; forse l’hanno già pensato ma non so se viene applicato visto le % sopra riportate.
Esatto! Era quello che mi stavo domandando io: La concussion è subita dal placcato perché riceve un placcaggio alto, o dal difensore che placcando con la spalla sbagliata va a prendere una bella botta tra capo e collo?
Più placchi in alto e quindi vi applichi la forza aumento il momento rispetto al baricentro del corpo e quindi l’accelerazione.
basta riportare un po’ indietro le regole e il gioco rallenta, la difesa non è più così fitta e non si fa più a sportellate, ma si gioca a rugby e tutto torna nella norma…
ma forse è meno televisivo
#1500kilipossono bastare… e poi arriviamo pure a 1400…
a chi piace vedre gli scontri tra bufali si guardi il football americano…
…e se ci fosse lo zampino di Eddie Jones, che dopo la fox vuole togliersi dai piedi i placcaggi ad imbragare irlandesi, ormai marchio di fabbrica del trifoglio? 🙂 😉
argomento interessante e delicato.
La soluzione non è nel mettere il caschetto come nel football amaricano, i dati sui “danni cerebrali” residuati agli ex giocatori di questo sport è spaventoso, negli States non riescono a trovare una soluzione perché il flusso di denaro che gira intorno al football americano è spaventoso, uno spot pubblicitario di pochissimi secondi durante il “Super Bowl” è costosissimo.