L’inizio è per il recente torneo iridato degli azzurrini, poi si passa al Super Rugby che vede in finale una squadra argentina. Quindi il tema World Rugby tra regole e soldi. E si chiude con il capitano azzurro che ha firmato un contratto con il Tolone… Palla a Vittorio!
Autore: il grillotalpa
Mondiali U20: bis francese, flop neozelandese. E come è andata l’Italia?

Il Mondiale U20 edizione 2019 va in archivio. La Francia bissa il successo di un anno fa, la seguono sul podio Australia, Sudafrica e Argentina. Quinta l’Inghilterra, sesto il Galles e soltanto settima la Nuova Zelanda. Assieme ai vincitori è proprio il risultato dei Baby Blacks quello che fa più rumore: perché è il peggiore di sempre, perché segue il già non esaltante quarto posto dell’edizione scorsa. Altro dato: la Scozia retrocede per la prima volta nel Trophy.
Giudicare le selezioni U20 è sempre abbastanza complicato. Si tratta di gruppi di atleti che cambiano continuamente, in maniera importante da un anno con l’altro e del tutto ogni due anni. L’avere in squadra un paio di talenti veri in un lasso di tempo così limitato può “falsare” l’analisi dell’effettivo livello medio della squadra presa in esame. Gli exploit sono un più frequenti che non tra i seniores e le montagne russe sono dietro l’angolo.
Ma proprio questi cicli molto limitati nel tempo possono diventare dei termometri importanti nei casi in cui un movimento ottiene risultati o crescite che vanno oltre il singolo biennio. Ci dicono come una federazione sta lavorando in quello specifico target, che rimane l’ultimo scalino prima di sbarcare nel rugby dei grandi. Va da sé che ottenere risultati qui non significa averne automaticamente anche dopo.
Le ultime cinque edizioni del Mondiale U20 hanno visto solo sei squadre finire nei primi 4 posti, e tra queste va tenuto conto che Australia e Irlanda hanno fatto capolino solo una volta. Il resto è solo Nuova Zelanda (due vittorie e un terzo posto), Francia (due vittorie, due terzi posti), Inghilterra (una vittoria, tre secondi posti), Sudafrica (arrivata terza ben quattro volte e una volta quarta) e Argentina (un terzo e un quarto posto).
E l’Italia? Come è andata quest’anno? Come sta andando se si allarga la visuale a un lasso temporale un po’ più ampio della singola edizione? Abbastanza bene. Per quasi un decennio abbiamo veleggiato tra ultimo posto, penultimo e retrocessione nel Trophy mentre nell’ultimo triennio abbiamo fatto un passo avanti e abbiamo ottenuto due ottavi posti e un nono. Una crescita e una conferma nel tempo della stessa quindi. Questo è quello che dicono i freddi (e oggettivi) risultati. Una crescita importante, perché interessa un settore in cui eravamo in sofferenza da tempo e che ora dà un po’ di continuità con quanto avviene nelle selezioni giovanili che precedono l’U20.
Quest’anno in Argentina abbiamo quasi battuto l’Inghilterra giocando una gara di grande intensità, ma con Irlanda e Australia abbiamo messo in mostra limiti già conosciuti. Nella fase a gironi siamo la formazione che ha fatto in assoluto meno punti e nella differenza tra punti fatti e punti subiti solo Fiji ha fatto peggio di noi. Azzurrini terz’ultimi per numero di mete fatte. Poi sono venute le vittorie con Scozia e Georgia.
C’è parecchio da fare perché, come abbiamo spesso scritto da queste parti, è proprio in quei 2-3 anni della vita dei nostri atleti che il gap con i nostri avversari diventa importante fino a trasformarsi in voragine tra i seniores. Ma le crescite stabili e durature sono fatte soprattutto di piccoli passi che vanno confermati e cementati nel tempo.
Se poi questa crescita sia o meno commisurata agli sforzi (economici, ma non solo) profusi è questione parecchio dibattuta e che sono sicuro riceverebbe le risposte più disparate.
Nuovo appuntamento iridato per gli U20 nel giugno 2020 proprio in Italia, ancora una volta tra Lombardia e Veneto. Vedremo.
Ancora parole sui permit-player, ma solo quelle: all’orizzonte non si vedono ancora regole

Stavolta sul tema interviene il tecnico del Beneton Treviso Kieran Crowley. Che dice esattamente le stesse cose di O’Shea e altri. Però dalla FIR non arriva nessuna norma pubblica e condivisa, nemmeno nella Circola Informativa per la prossima stagione pubblicata lo scorso venerdì
Lo so, qualcuno mi piglierà per fissato, ma sta cosa dei permit player mi fa uscire pazzo. AllRugby in edicola questo mese (il numero 137), il direttore del mensile – Gianluca Barca – intervista l’head coach del Benetton Treviso, Kieran Crowley, che fa alcune dichiarazioni che riporto nelle foto pubblicate sotto. Robe del tipo che i ragazzi dell’Accademia non sono pronti per l’alto livello nonostante le buone qualità, che devono allenarsi con le celtiche, che hanno bisogno di minutaggio e che se non possano scendere in campo con quest’ultime devono poter andare a giocare nelle squadre del Top 12, eccetera eccetera. Parole di buon senso. Totale buon senso.
Come quando dice che l’ascensore è un sistema semplice e che “si può fare subito”.
E infatti Benetton e Zebre lo stanno facendo. Però senza regole chiare, trasparenti, condivise da tutte. E si continua così. Chiariamoci: la responsabilità non è certo delle due selezioni celtiche, che hanno fatto di necessità virtù. Il problema non è tanto loro, ma quanto delle società di Top 12, che però sembra che non è che si dannino più di tanto per un sistema che crea figli e figliastri. Boh.
La FIR ha intanto pubblicato venerdì scorso la Circolare Informativa per la stagione 2019/2020. Sono 142 pagine in cui si poteva trovare lo spazio per affrontare il tema. Sarebbe stato già tardi, intendiamoci, ma meglio di niente. Però indovinate un po’? C’è il niente.


La nazionale femminile di Seven ha un nuovo ct, ma nessuno lo sa

A volte il rugby “pane e salame” fa capolino in quella che è l’avanguardia del nostro movimento ovale. E così si scopre che alla guida di una nostra nazionale c’è un nuovo allenatore. Cosa che nessuno si è premurato di annunciare..
L.A. Confidential è uno straordinario romanzo di James Ellroy del 1990. Molti ricordano una sua (bella) trasposizione cinematografica di sette anni più tardi, con un Russell Crowe ancora non in formato maxi, Kevin Spacey, Kim Basinger e Guy Pearce. Tra i protagonisti c’era pure Danny De Vito, nel ruolo di direttore della rivista scandalistica Hush Hush (che nella versione italiana diventa “Zitti Zitti”), che come claim aveva una frase che suonava così: “Ricordate, cari lettori, è una notizia di prima mano, molto ufficiosa, resti fra noi e quindi: zitti-zitti”.
Perché vi parlo di un romanzo di quasi 30 anni fa? Perché pare che nel rugby italico le cose funzionino in maniera non molto diversa. Recentemente ho scritto un articolo (l’ennesimo, a dirla tutta) in cui sottolineavo che sui permit player ormai Benetton Treviso e Zebre si comportano in una maniera che per quanto sia sensata non è normata – a oggi – da nessuna regola ufficiale, trasparente e condivisa.
Tranquilli, non voglio tornare sulla questione permit a così poco tempo di distanza, ma il fatto è che è successo di nuovo.
Alle 9 e 38 di giovedì 13 giugno sul sito della federazione è comparso un comunicato sulla nazionale di rugby a 7 femminile. Qui potete leggerlo per intero, ma questo è l’incipit:
“La Nazionale Seven Femminile, sotto la direzione tecnica di Diego Saccà, da questa stagione head coach dell’Italseven femminile, prenderà parte il 29 e 30 giugno alla prima tappa del Women 7s Grand Prix Series, in programma a Marcoussis (Francia)“.
Cosa c’è di sbagliato, qualcuno potrebbe chiedersi. Nulla, a parte il fatto che nessuno sapeva che la nazionale in questione avesse un nuovo ct. Non è mai stato annunciato.
Negli ultimi comunicati si fa il nome di Alfredo De Angelis, in quello del 30 aprile (a essere precisi) il selezionatore non è nemmeno nominato. De Angelis che è – correttamente – nominato nel Comunicato Federale del 31 agosto 2018 quale ct di quella nazionale. Poi più nulla: nessun comunicato, nota, delibera o circolare avvisa il mondo che qualcosa è cambiato. Zero. Almeno fino alle 12 e 45 di oggi, giovedì 13 giugno (orario di pubblicazione di questo articolo).
Ora la novità ci viene data come già assodata, mangiata e digerita. Chissà da chi. Di sicuro non al di fuori degli uffici federali.
Le parole di O’Shea tra entusiasmo eccessivo e uno stimolo necessario. E’ tutta colpa di Pavlov?

“Abbiamo un obiettivo importante davanti a noi, quello di disputare il miglior Mondiale e di diventare la migliore Italia di sempre. Per raggiungerlo dobbiamo vincere tre partite ai Mondiali e per farlo dovremo essere ambiziosi, preparati fisicamente e mentalmente. Nello scorso Sei Nazioni nelle gare interne contro Galles, Irlanda e Francia siamo stati molto competitivi e mostrato i progressi fatti negli ultimi due anni”.
Così parlò Conor O’Shea in quel di Pergine Valsugana al termine del primo raduno di preparazione della nazionale azzurra in vista della RWC in Giappone di settembre. Parole che hanno fatto discutere non poco l’ambiente ovale al di qua delle Alpi: per alcuni troppo ottimistiche, altri invece le ritengono adatte alla bisogna e non lontane dalla realtà.
E da queste parti cosa se ne pensa? Che sono in qualche modo figlie degli scarsi risultati della “locomotiva del nostro movimento”. Non di quelli della gestione tecnica attuale, non solo almeno, ma di quelli che arrivano da lontano, dell’intero ultimo ventennio.
Lo abbiamo detto e scritto un sacco di volte: vinciamo pochissimo e questo ha sviluppato una sorta di reazione pavloviana a sottolineare con la matita rossa ogni aspetto anche solo vagamente positivo. Il rischio della sopravvalutazione è dietro l’angolo. Come se le parole non contassero, non rimanessero. Come se non ci fosse memoria delle lodi sperticate di un momento. Quindi, più o meno, vale tutto, che tanto nessuno (o quasi) chiederà conto di quello che è stato detto. Succede per la nazionale maggiore ma pure per l’U20. E no, non si tratta di vedere le cose solo dal lato negativo, ma quello di dare una prospettiva in un tempo medio-lungo ai risultati. Che poi è l’unica cosa che conta. O così dovrebbe essere.
Diciamolo fuori dai denti: tutti noi speriamo che l’Italia attuale possa diventare la più forte di sempre come si augura il ct azzurro, ma che questa selezione possa davvero diventarlo è tutto un altro paio di maniche ed è poco probabile. E comunque non nel giro di qualche mese.
O’Shea dice che nell’ultimo Sei Nazioni con con Galles, Irlanda e Francia “siamo stati molto competitivi”. Quello che omette sono due cose: ovvero che abbiamo affrontato tre formazioni che sono venute a Roma mettendo in mostra una vis pugnandi non esattamente delle più aggressive (eufemismo), quando non addirittura male in arnese (la Francia), e che comunque e nonostante questo quelle partite le abbiamo perse tutte. Poi per qualcuno questi saranno solo dettagli, ma insomma…
D’altra parte O’Shea fa bene a stimolare l’ambiente, a tenere il gruppo sulla corda e a presentare il bicchiere mezzo pieno: in uno sport di combattimento e di scontri fisici come è il rugby se non si entra in campo con la convinzione di avere delle chance di battere l’avversario si può andare incontro solo a pessime figure.
Quindi il tecnico irlandese ha fatto bene o male a parlare così? A mio modestissimo (e fallibile) avviso non avrebbe dovuto rendere pubbliche quelle dichiarazioni. Parlare così ai giocatori è una cosa, alla stampa un’altra. Il compito della nazionale azzurra al Mondiale è tutto tranne che semplice: ha due partite che non può assolutamente perdere e due che molto difficilmente potrà vincere. Battere Canada e Namibia è un obbligo che metterà tutta la pressione solo sulle nostre spalle, superare il Sudafrica è quasi impossibile, vincere con gli All Blacks è praticamente fantascienza. Voglio dire, a Roma lo scorso novembre la versione quasi vacanziera dei tuttineri ci ha rifilato 66 punti (a 3), quelli assetati di sangue che vanno ai Mondiali…
Vabbè, certo, poi può anche succedere l’impronosticabile, ma chi oggi sarebbe pronto a scommetterci qualcosa per mera convinzione e non solo per il miraggio di far saltare il banco?
PS: la FIR informa che il Consiglio Federale tenuto a Bologna lo scorso venerdì ha approvato a maggioranza il Bilancio Consuntivo 2018 ed il Bilancio Preventivo 2019. Bontà loro. Però fermi con l’entusiasmo, che ancora niente è stato pubblicato, che prima dovranno essere approvati dalla Giunta Nazionale del CONI. Insomma, poco di nuovo sotto il sole.
