Bilanci di fine anno: il pagellino del 2019 del nostro rugby

L’anno sta per andare in soffitta, le non molte partite che vanno ancora giocate non andranno a modificare la situazione che si è delineata negli 11 mesi abbondanti che ci siamo già messi alle spalle. Ho stilato una personalissima (e quindi discutibile) pagella per il rugby italiano, prendendo in considerazione non singole persone ma le formazioni più importanti e i tornei principali. 

Nazionale: voto 4
Cinque sconfitte in 5 gare del Sei Nazioni (come i due anni precedenti: un tris che avremmo evitato volentieri), l’ampia vittoria ferragostana sulla Russia in mezzo al sandwich dei netti ko con Francia e Inghilterra. Poi un Mondiale da minimo sindacale con le affermazioni su Canada e Namibia (vado a memoria: le due formazioni arrivati al torneo iridato con il ranking peggiore) e il match con gli Springboks praticamente senza storia, a prescindere dai cartellini). La partita non disputata con gli All Blacks da un lato non può che migliorare il nostro score e fornisce all’assist alla battuta – involontariamente? – comica dell’anno (“Siamo stata la migliore delle terze, chiudendo in nona posizione”). C’è poco e nulla da discutere.

Nazionale U20: voto 6
Nel Sei Nazioni passo indietro rispetto al torneo del 2018, Mondiale di categoria in sostanziale equilibrio se paragonato a quello precedente. Non era scontato. E’ una nazionale inevitabilmente di passaggio, che soffre più di quella maggiore le storture e le difficoltà della nostra filiera. I tecnici su questo possono poco e nulla. Il vero problema, come più volte scritto da queste parti, è il passo successivo a questa selezione: il gap con le nostre avversarie diventa enorme proprio in quel punto, quando i nodi arrivano al pettine.

Nazionale femminile: voto 9
Brave, bravissime. Un risultato raggiunto alla perseveranza senza fine di coach Di Giandomenico e – soprattutto – di Maria Cristina Tonna (oltre che delle giocatrici, ovviamente), capaci di fare le nozze con i fichi secchi, di tenere in vita e far crescere un movimento ai margini degli interessi di chi lo gestisce. Tutto questo senza mai una parola fuori posto, senza una polemica e cercando di utilizzare sempre al meglio la situazione e le risorse date. Un appello a chiunque vincerà le elezioni federali del prossimo anno: quei due teneteveli stretti.

Nazionale Seven: voto boh
La selezione azzurra per cui il rapporto tra cose che vengono dette e cose che vengono fatte è inversamente proporzionale. E’ quella che ci garantisce i finanziamenti del CONI per l’attività olimpica, ma che poi tutti quei soldi vengano usati proprio per il rugby a 7 è cosa da dimostrare. Si era parlato di un’accademia specifica con atleti dedicati ormai in dirittura d’arrivo ma ovviamente tutto è finito in un cassetto, ad andare bene. Non esiste un campionato specifico, l’attività è ridotta all’osso e alle volte (spesso?) pure i club si mettono di traverso, ché vedono gli stage e i ritiri come un intralcio alla propria programmazione e un inutile rischio-infortuni. In questo panorama riuscire ad ottenere qualsiasi risultato importante è proibitivo.
Qualcuno faccia un monumento a Andy Vilk e allo staff tecnico.

Benetton Treviso: voto 8
Lo storico approdo ai play-off del Pro14 sarebbe da 9, ma il più che balbettante inizio della stagione in corso toglio un voto ai biancoverdi che in queste settimane sono alle prese con problemi (soprattutto, ma non solo) di approccio mentale. Treviso ha comunque le frecce e le spalle larghe per fare una netta inversione di marcia. Formazione che ha nella pattuglia straniera – di qualità, va detto – il suo vero punto di forza. La vera sfida è dar vita a uno “zoccolo duro” italiano altrettanto decisivo. La strada è quella giusta, ma il cammino non è certo terminato.

Zebre: voto 4,5
Una lunghissima e ininterrotta sequela di sconfitte da ottobre 2018, poi le vittorie consecutive nelle ultime due uscite danno ora una speranza ma è presto per dire che la squadra di Parma sia definitivamente uscita dal tunnel. Fondamentali in questo senso le gare da qui a inizio gennaio. Rimangono i dubbi sulla gestione della franchigia: se sul lato economico-amministrativo si fanno lenti ma non discutibili passi avanti (siamo però ancora lontanissimi da un ancorché soltanto vagamente possibile approdo “privato”) lo stesso non si può dire del lato tecnico, con l’ingaggio di davvero troppi stranieri che – cosa più grave – non lasciano traccia. Le Zebre oggi come oggi possono e devono essere soprattutto una franchigia di formazione e crescita per i giovani che hanno ambizioni azzurre, non di chi potrebbe (forse, un giorno) venire equiparato. Senza essere un fenomeno.

Calvisano: voto 7,5
La società bresciana si conferma la squadra di club del decennio tra quelle che prendono parte ai campionati nazionali. I 5 scudetti (l’ultimo nel maggio scorso) dal 2011/2012 a oggi sono lì a dimostrarlo. Società ben organizzata, ben guidata e che sfrutta al meglio le “spinte” extra-campo (inequivocabili: possiamo discutere sulla loro quantità, non sulla loro presenza o meno). Cosa quest’ultima che non viene mai sottolineata: saper approfittare di condizioni ambientali favorevoli non è affatto automatico, bisogna saperlo fare. E un “bravo” al Calvisano va dato anche in questo 2019.
Ps. Massimo Brunello relegato al Top12 è un delitto vero.

Petrarca: voto 7
Padova vuole rompere lo status quo tra federazione-franchigie. La squadra veneta presenta un piano concreto e solido per diventare “celtica”. Per know-how, strutture e garanzie economiche è la proverbiale proposta a cui è difficilissimo dire di no. Ma il nostro è un paese incredibile ed è capace di soluzioni davvero fantasiose, alle volte. Io mi prendo i popcorn e mi siedo sulla poltrona…

Top 12: voto 5
“Il Peroni Top12 rappresenta una tappa centrale della crescita dei giocatori italiani. Questo campionato aiuta a far crescere il bacino dei giovani giocatori da cui potranno attingere le franchigie di Pro14 e la Nazionale Maggiore”. Così il presidente federale Alfredo Gavazzi alla presentazione del campionato ora in corso, solo qualche settimana fa. Stesse parole dell’anno prima, e di quello prima ancora e di quello che l’ha proceduto. E così via.
L’unica cosa che è cambiata in questi anni, in maniera schizofrenica, è il numero delle squadre partecipanti, ma la ciccia è sempre quella. Purtroppo.

Coppa Italia: vabbé, questa voleva essere una battuta. Tipo la Lega delle Società. Ah ah. Che ridere. Già.

Movimento Italia: voto 5
Voto un po’ abbondante. Dobbiamo prendere gli ingredienti sopra descritti e mixarli, tenendo presente che i pesi tra quegli stessi ingredienti non sono ovviamente equivalenti. Esempio: la nazionale maggiore per importanza, attrattiva e costi vale da sola più della metà del tutto.
I risultati del campo sono quelli che conosciamo tutti, a questo aggiungiamo il limbo (voluto?) organizzativo e normativo con prassi che vengono permesse o accettate senza che siano ufficializzate con regole chiare, pubbliche, condivise e note a tutti. Tipo i permit players, come ho scritto svariate volte. Questa latitanza va comunque condivisa con i club, ai quali evidentemente va bene così. Contenti loro.

Mondiali U20: bis francese, flop neozelandese. E come è andata l’Italia?

Ph: Franco Perego/World Rugby.

Il Mondiale U20 edizione 2019 va in archivio. La Francia bissa il successo di un anno fa, la seguono sul podio Australia, Sudafrica e Argentina. Quinta l’Inghilterra, sesto il Galles e soltanto settima la Nuova Zelanda. Assieme ai vincitori è proprio il risultato dei Baby Blacks quello che fa più rumore: perché è il peggiore di sempre, perché segue il già non esaltante quarto posto dell’edizione scorsa. Altro dato: la Scozia retrocede per la prima volta nel Trophy.
Giudicare le selezioni U20 è sempre abbastanza complicato. Si tratta di gruppi di atleti che cambiano continuamente, in maniera importante da un anno con l’altro e del tutto ogni due anni. L’avere in squadra un paio di talenti veri in un lasso di tempo così limitato può “falsare” l’analisi dell’effettivo livello medio della squadra presa in esame. Gli exploit sono un più frequenti che non tra i seniores e le montagne russe sono dietro l’angolo.

Ma proprio questi cicli molto limitati nel tempo possono diventare dei termometri importanti nei casi in cui un movimento ottiene risultati o crescite che vanno oltre il singolo biennio. Ci dicono come una federazione sta lavorando in quello specifico target, che rimane l’ultimo scalino prima di sbarcare nel rugby dei grandi. Va da sé che ottenere risultati qui non significa averne automaticamente anche dopo.
Le ultime cinque edizioni del Mondiale U20 hanno visto solo sei squadre finire nei primi 4 posti, e tra queste va tenuto conto che Australia e Irlanda hanno fatto capolino solo una volta. Il resto è solo Nuova Zelanda (due vittorie e un terzo posto), Francia (due vittorie, due terzi posti), Inghilterra (una vittoria, tre secondi posti), Sudafrica (arrivata terza ben quattro volte e una volta quarta) e Argentina (un terzo e un quarto posto).

E l’Italia? Come è andata quest’anno? Come sta andando se si allarga la visuale a un lasso temporale un po’ più ampio della singola edizione? Abbastanza bene. Per quasi un decennio abbiamo veleggiato tra ultimo posto, penultimo e retrocessione nel Trophy mentre nell’ultimo triennio abbiamo fatto un passo avanti e abbiamo ottenuto due ottavi posti e un nono. Una crescita e una conferma nel tempo della stessa quindi. Questo è quello che dicono i freddi (e oggettivi) risultati. Una crescita importante, perché interessa un settore in cui eravamo in sofferenza da tempo e che ora dà un po’ di continuità con quanto avviene nelle selezioni giovanili che precedono l’U20.
Quest’anno in Argentina abbiamo quasi battuto l’Inghilterra giocando una gara di grande intensità, ma con Irlanda e Australia abbiamo messo in mostra limiti già conosciuti. Nella fase a gironi siamo la formazione che ha fatto in assoluto meno punti e nella differenza tra punti fatti e punti subiti solo Fiji ha fatto peggio di noi. Azzurrini terz’ultimi per numero di mete fatte. Poi sono venute le vittorie con Scozia e Georgia.

C’è parecchio da fare perché, come abbiamo spesso scritto da queste parti, è proprio in quei 2-3 anni della vita dei nostri atleti che il gap con i nostri avversari diventa importante fino a trasformarsi in voragine tra i seniores. Ma le crescite stabili e durature sono fatte soprattutto di piccoli passi che vanno confermati e cementati nel tempo.
Se poi questa crescita sia o meno commisurata agli sforzi (economici, ma non solo) profusi è questione parecchio dibattuta e che sono sicuro riceverebbe le risposte più disparate.
Nuovo appuntamento iridato per gli U20 nel giugno 2020 proprio in Italia, ancora una volta tra Lombardia e Veneto. Vedremo.

Nazionali U20, minutaggi e step di crescita: se a dire che c’è un problema è il ct…

Il responsabile tecnico degli azzurrini Fabio Roselli in una intervista dice quello che qui (e altrove) viene sostenuto da anni, ma noi si passa da portatori di sventure. Sarà un gufo pure lui?

Per molti sono uno di quelli che il bicchiere del rugby italiano lo vede sempre mezzo vuoto, che non tiene mai presente quanto di buono viene fatto. Insomma, un gufo. Già. Sarà così.
E allora ho pensato di pubblicare alcune dichiarazioni rilasciate dal ct della nazionale U20 Fabio Roselli in una intervista pubblicata ieri (lunedì 27 maggio) dal Gazzettino.
Sono tesi che sostengo da anni e che ho scritto più volte qui e quando stavo a OnRugby. Se non sono nuove significa che nessuno è mai intervenuto fino ad oggi e che quindi il problema c’è, visto che lo dice anche il responsabile tecnico della nostra seconda nazionale più importante. Insomma, non sono un visionario. Almeno parrebbe.
Siccome per alcuni sono un gufo vi propongo una scommessa: tra un anno saremo ancora qua a discutere/parlare di questa cosa, perché nessuno ci avrà messo mano. Spero di perderla, ma non sarà così.
Ecco lo stralcio con le frasi di Roselli:

“(uno degli obiettivi in questa categoria, ndr) Allargare il numero di giocatori, oltre quelli a dell’Accademia. L’anno scorso abbiamo coinvolto circa 70 giocatori, monitorandoli costantemente nei club. Quest’anno sono un po’ meno. Il tutto per arrivare ai 28 convocati perla World Cup, più 2-3 in stand by, se capiteranno infortuni».
Che risultati avete ottenuto? «Buoni nella sensibilizzazione degli staff dei club. Ancora bassi nei minutaggio di gioco, perché le società hanno comprensibilmente i loro obiettivi. Negli under 20 in Top 12 l’ideale per la crescita sarebbe un media di circa 800′ in campo prima del Sei Nazioni e oltre 1000′ stagionali. Solo 4-5 giocatori li raggiungono». Ciò contribuisce in Nazionale a fare la differenza con Inghilterra, Francia, Irlanda e le altre. «Sì perché dall’altra parte ti trovi ventenni con 800′-1300′ in Top 14, Premiership e Pro 14, che tra l’altro sono campionati di livello superiore al nostro».

Tra Sei Nazioni e Pro14: Italia grintosa ma sconfitta, ragazze in gran spolvero. Treviso vola ancora

ph. Fotosportit/FIR

Irlanda brutta e spocchiosa (almeno per un tempo) ma una buona Italia non riesce ad approfittarne. Vince invece la nazionale femminile, per qualche ora prima in classifica, mentre l’U20 viene messa ko. Il Benetton travolge i Dragons, l’Ulster fa le Zebre a polpette

Da dove iniziare. Beh, stavolta dalle donne, noblesse oblige. Ma non per cavalleria, ma proprio perché se lo meritano: battono per la prima volta nel Sei Nazioni l’Irlanda, vanno per qualche ora in testa alla classifica del torneo (poi le inglesi si riprendono la prima posizione superando le gallesi) ma soprattutto giocano un rugby davvero bello e intenso.
Azzurre che sono in corsa comunque per il titolo anche se le ultime due giornate metteranno le ragazze di fronte proprio alle fortissime inglesi (che hanno tre punti in più) e alle francesi, che al momento hanno un solo punto meno di noi. Sarà durissima ma il gruppo c’è, e viste le condizioni in cui operano staff e giocatrici è un mezzo miracolo (che si ripete da tempo, e non è un dettaglio).
E fate un favore all’Italia femminile: non paragonatele agli uomini, non se lo meritano.

Passiamo alla squadra-locomotiva del movimento? La nazionale maggiore perde a Roma contro l’Irlanda con il risultato di 16 a 26. Una partita gagliarda, quella degli azzurri, attenta ma costellata di tanti piccoli errori che hanno indirizzato non poco il match. Buona prestazione del gruppo di O’Shea, la migliore senza dubbio da un bel pezzo in qua, ma che non basta per evitare la sconfitta consecutiva numero 20 (venti) nel Sei Nazioni contro una Irlanda davvero brutta.
Qui sta un po’ l’inghippo della faccenda: perché, come qualcuno mi ha detto ieri davanti a un boccale di birra, la migliore Italia comunque perde contro la peggiore Irlanda. Una Irlanda non solo brutta, ma che nel primo tempo ha messo in mostra per lunghi tratti un atteggiamento mentale irritante. Gli uomini di Schmidt dopo aver visionato le partite degli azzurri contro Scozia e Galles probabilmente pensavano di passare un pomeriggio tranquillo e di tornare a casa con il bottino pieno facendo il minimo della fatica.
Così non è stato (anche se alla fine 4 mete le hanno comunque fatte e il punto di bonus a Dublino se lo sono portato) per merito di una Italia volitiva e tignosa, che ha chiuso il primo tempo avanti sul 16 a 12, che però non fa nemmeno un punto nella ripresa, che paga nel punteggio una giornata non indimenticabile di Allan nei calci da fermo e una gestione quantomeno discutibile della scelta se piazzare o meno nell’ultima fase del match. Non che a quel punto il risultato sarebbe cambiato moltissimo, ma almeno il punto di bonus difensivo lo avremmo portato a casa.
Rimaniamo con una prestazione in crescita (che è comunque la cosa più importante) prima del proibitivo impegno di Twickenham contro l’Inghilterra e di quello più abbordabile – ma, mi sbaglierò, estremamente complicato – contro la Francia. L’importante sarà mantenere almeno questo standard, altrimenti saranno le solite chiacchiere dette e ripetute fino alla nausea degli ultimi 20 anni.

Capitolo U20. Gli azzurrini vengono superati a Rieti dall’Irlanda per 34 a 14: i verdi sono troppo forti e organizzati per una squadra italiana grintosa ma non molto precisa e che lamenta limiti nella gestione della palla e nella manualità.
La selezione U20 è sempre di non semplice valutazione ma va detto che nel complesso questo gruppo sembra essere un po’ meno talentuoso di quello che lo ha preceduto. Vedremo. Squadra che ha larghi margini di crescita ma che “soffre” del solito atavico problema: quale crescita per questi ragazzi una volta finita questa esperienza?

Le celtiche. Nelle ultime 10 partite giocate, Challenge compresa, il Benetton Treviso ha infilato 9 vittorie e un pareggio. Un ruolino di marcia notevolissimo. Sabato al Monigo sono arrivati i Dragons di Newport, oggettivamente una delle squadre meno complete e forti di questo Pro14 ma che in questi primi due mesi dell’anno nuovo ha dato vita a prestazioni in crescita. Treviso ha spazzato via i gallesi con 9 mete e un tabellone che alla fine diceva 57 a 7. Un risultato che consolida il secondo posto nel girone per i biancoverdi, complice anche lo stop imposto dai Cardiff Blues all’Edimburgo. Da sottolineare che tra i convocati azzurri e gli assenti per infortunio erano ben 17 i giocatori su cui Kieran Crowley non poteva contare questo fine settimana. Una enormità che nelle scorse stagioni era una montagna insormontabile o quasi.
E le Zebre? Erano attese da un impegno molto difficile a Belfast sul campo dell’Ulster: i padroni di casa hanno sempre avuto il controllo del match chiuso poi con 8 mete fatte e solo una subita sul 54 a 7. Poco da dire o da aggiungere.

Il futuro delle nostre speranze azzurre ormai è dietro l’angolo, ma la strada ancora non c’è

Ieri l’U18 ha battuto l’Inghilterra, un grande risultato che non deve stupire e che non è una novità. Il problema per quei ragazzi non è l’oggi o il domani, il problema è il dopodomani

La didascalia diceva “L’Italia U18 supera i pari età di England Rugby nella seconda giornata del 6 Nazioni di categoria giocata oggi all’Arms Park di Cardiff”, la foto era rossa e con i loghi di FIR e RFU corredata con il 32-30 con cui gli azzurrini hanno battuto l’Inghilterra ieri pomeriggio. Un mio amico l’ha pubblicata sulla sua pagina facebook con il commento “Date un futuro a questi ragazzi, grazie”.
Una frase fulminante e che fotografa benissimo il nostro movimento dell’oggi ma anche quello di ieri. Perché l’U17 allenata da Dolcetto non è nuova a questi risultati: solo per rimanere agli ultimi tre anni ha vinto una volta contro il Galles, battuto e pareggiato contro la Francia, l’Inghilterra (la selezione A) era già stata messa sotto nell’aprile 2016, negli stessi giorni in cui superava anche l’Irlanda. Una nazionale che anche quando perde non prende quasi mai imbarcate: è successo solo due volte, contro Ulster e Argentina, ma in entrambi i casi i nostri avversari erano entrati in campo con una selezione U19, e a quell’età un anno in più può fare una grande differenza.

Se si va più indietro, ad esempio tra il 2009 e il 2011, contro le nazioni nostre partner del Sei Nazioni rimediavamo solo sconfitte, anche molto nette. La svolta arriva solo nel febbraio 2012, quando a Badia Polesine l’U18 ferma la Francia 17 a 11, galletti nuovamente superati poi a dicembre dello stesso anno 13 a 12. Il punto esclamativo vero arriva però nel 2015, quando gli azzurrini allenati allora da Brunello battono Francia, Irlanda (a Dublino) e Galles.
E questa è la storia. Poi però bisogna dare a questi ragazzi un futuro, appunto. Che poi è quello che con altre parole scrivevo lo scorso 12 febbraio a proposito dell’U20:

Il punto è un altro, ovvero, dove andranno a giocare questi ragazzi? Dove finalizzeranno la loro formazione? Con chi compiranno gli ultimi passi con vista sull’alto livello? Perché forse qualcuno di loro andrà alle franchigie, ma quel “forse” è gigantesco e se anche dovesse accadere riguarderebbe un numero limitatissimo di atleti. Comunque statisticamente non importante.
Quasi tutti alla fine giocheranno nell’Eccellenza. Il divario tra noi e i nostri avversari sta qui: per quanto ci si sforzi di affinare e migliorare la “produzione” dei nostri giocatori non siamo poi in grado di farli giocare in un torneo di livello. I giovani irlandesi andranno tutti a giocare – se già non lo fanno – nell’Ulster, nel Leinster, nel Munster o nel Connacht, ovvero in Pro14, mentre i nostri militeranno in uno dei club del nostro più importante campionato nazionale, che sarà pure il principale dentro i nostri confini ma che non è sicuramente performante. Non credo di offendere nessuno nell’asserirlo.

Prima vi raccontavo della vittoria di Badia Polesine contro la Francia, il 18 febbraio 2012, sono passati sei anni ma quanti di quei ragazzi sono arrivati in nazionale o nel giro-franchigie? Questa la formazione scesa in campo quel giorno, così come ci dice il sito FIR:
Bellini; Di Giulio, Salerno (33’ st. Torlai), Seno, Bruno; Buscema, Apperley S.; Catelan (cap, 13’ st. Boccardo), Scalvi, Corazzi; Gobbo, Ruzza (30’ st. Silvestri); Pasquali, Ragazzi P., Silva (25’ st. Appiah). Pochi, pochissimi.
Solo ieri scrivevo del fatto che Sexton e i suoi compagni di nazionale hanno giocato pochissimo nel Pro14, una cosa resa possibile perché da quelle parti è stato costruito un percorso serio e sensato che gestisce al meglio chi è già nell’elite e che garantisce ai giovani una crescita vera senza interruzioni. Da noi si arriva all’U20, poi c’è uno strapiombo che in pochi riescono a superare con una tempistica molto lunga. Certo ci sono anche delle eccezioni, ma sono davvero poche e sono appunto eccezioni, la regola è un’altra.
Diamo un futuro a quei ragazzi, facciamo presto.