Quei riflessi pavloviani quando si parla di Georgia, Italia e Sei Nazioni

georgiaUna discussione che fa spesso capolino sui media internazionali e di casa nostra, ma che viene affrontata nella maniera sbagliata. Dimenticandoci di troppe cose.

Quando qualcuno butta lì la frase “L’Italia cosa ci fa ancora nel Sei Nazioni?”, seguita dall’immancabile “al posto nostro dovrebbe giocare la Georgia”, le reazioni sono soprattutto due. C’è il tifoso scandalizzato/stupito per il semplice fatto che una questione del genere sia stata posta e quello che invece un po’ gode, che a lui Gavazzi sta sulle balle e la FIR di conseguenza, e quindi si trova ad avere a che fare con l’ennesima dimostrazione dello sfascio del rugby italiano. Che bello. Come il tizio che se lo taglia per fare dispetto alla moglie.
Da come si è capito la posizione del sottoscritto non è certo la seconda, che trovo estremamente stupida, ma pure la prima non è particolarmente intelligente e appartiene più a un moto di stizza che non a una reazione più ragionata. Perché è vero che noi il posto nel torneo più importante ce lo siamo conquistato con la fatica, il sudore e i risultati del campo grazie soprattutto alla nazionale capitanata da Massimo Giovanelli, ma proprio per questo non dovremmo considerare sciocca la questione. E nemmeno trattarla con fastidio. Certo, il fatto che ci venga sbattuta in faccia dopo ogni pesante ko che incassa la nostra nazionale non aiuta nella serenità di risposta, ma dovremmo comunque usare un po’ di sale in zucca.

Provate a pensare se i georgiani fossimo noi, se questo blog si chiamasse Il Grillotalpshvili e io di cognome facessi Wilhelmnadze. E che tutti voi foste georgiani, al pari mio. Con varie gradazioni di colore sosterremmo tutti o quasi la tesi di una Georgia “fit” per il Sei Nazioni. O meglio: ci diremmo che se c’è dentro un’Italia che in 17 anni ha raccolto pochissimo tutto sommato potrebbero starci altri. Perché saremmo tifosi? Certo, questo va da sé, ma sappiamo tutti che qualche ragione oggettiva per almeno discutere della cosa c’è.
A mio personalissimo e trascurabilissimo parere il punto è proprio questo: noi italiani di questa cosa non vogliamo discutere, non dico con i georgiani, ma nemmeno tra di noi. Ed è un errore. Possiamo nascondere la polvere sotto il tappeto, ma prima o poi uscirà. Non oggi, non domani, nemmeno tra due anni, ma uscirà. E a quel punto forse sarà davvero troppo tardi.
Siamo blindati nel torneo fino al 2024, su questo non si discute, ma quella data alla fine non è troppo lontana. Noi di Sei Nazoni ne abbiamo ben 17 sul groppone e non è che finora siano stati indimenticabili (eufemismo). Finora a lamentarsi di noi al di là delle Alpi è stata “solo” la stampa e parte della tifoseria, ma prima o poi – se i risultati del campo non dovessero cambiare – anche nel chiuso delle segrete stanze del board qualcuno potrebbe cominciare a esternare dubbi.

Alla fine, se vogliamo essere onesti fino in fondo, oggi la nostra vera forza è che Roma è meglio di Tbilisi e che da un punto di vista del marketing  dell’aspetto economico siamo più attrattivi della Georgia. Per carità, nello sport professionistico il business è determinante, ma pure l’aspetto tecnico dovrebbe avere un peso. O no? Se domani al posto della Georgia ci fosse la Spagna? Con Madrid, o Barcellona, sul tavolo? Fantarugby, sicuro, ma dimostra quanto alla fine siano vulnerabili i nostri attuali punti di forza.
Perché i risultati del campo dicono che noi siamo ormai in pianta stabile ben oltre la 10a posizione del ranking, che spesso la stessa Georgia ci è davanti (come oggi, loro dodicesimi, noi due scalini sotto), che l’ultima partita che abbiamo vinto al Sei Nazioni risale a fine febbraio 2015 e quella prima al 16 marzo 2013. E in mezzo di gare che abbiamo davvero rischiato di vincere sono poche, troppo poche. Possiamo far finta di nulla e dire che Roma è più bella di Tbilisi: sulla seconda parte dell’assunto non c’è molto da dire, ma non è che sia esattamente una posizione di chi sa guardare oltre il suo naso.

Dice: ma la Georgia di scalpi importanti ne ha ottenuti pochi, meno di quell’Italia che si conquistò il Sei Nazioni e poi gli azzurri giocano sempre con le squadre più forti del ranking. Verissimo, ineccepibile. Ma bisogna anche sottolineare che a noi negli anni ’90 le opportunità per giocarcela con le squadre dell’allora Tier 1 le abbiamo avute, in numero importante, oggi alla Georgia vengono negate o concesse con il contagocce. Loro vorrebbero affrontare in maniera continuativa gli azzurri, gli scozzesi, gli inglesi e compagnia cantante. Siamo noi dentro il rugby che conta di più che diciamo di no. Per motivi economici e – nel nostro caso – anche di mantenimento del nostro stile di vita rugbistico, diciamo così. Senza dimenticare la valanga di soldi e di contributi internazionali che in forza di questa situazione a noi sono arrivati e a loro no. Non si può non tenerne conto.
Sia chiaro, non sto dicendo che in Italia bisognerebbe aprire il dibattito se siamo all’altezza o meno del Sei Nazioni. No, il torneo c lo siamo meritato e fino al 2024 i contratti e gli accordi ci blindano e ci mettono in una botte di ferro (ma se si dovesse andare avanti così fino al 2020…), la questione davvero non si pone. Sto dicendo che bisognerebbe ragionare sui motivi di forza della candidatura georgiana, sulla nostra situazione oggettiva e concentrarsi su quelli. Capire che nulla ci è dovuto in virtù di chissà quale volontà divina, sia essa ovale o meno.
Oggi a Tbilisi si lamentano per gli stessi motivi che per diversi anni sono riecheggiati anche alle nostre latitudini. E che si possono riassumere con il concetto di meritocrazia, quella che ha fatto entrare noi nel Sei Nazioni.

Riapre The Friends of rugby: tra pinte, azzurri ko, Galles, Irlanda e… ranking per la RWC 2019

Il sottoscritto, Marco Turchetto di RugbytoItaly e Duccio Fumero di Rugby 1823 tornano a parlare di amenità ovali con il Sei Nazioni che fa ovviamente da piatto forte, senza però dimenticare che questo è il nostro ultimo torneo disponibile per presentarsi con un ranking migliore per i sorteggi dei Mondiali in Giappone.
Venite con noi al The Friends Pub di Milano. Buon divertimento.

Sei Nazioni 2017, convocazioni azzurre: nessuna novità nell’Italia per l’inghilterra

italia-2017
ph. Fotosportit/FIR

Messe in archivio le due prestazioni non certo indimenticabili con Galles e Irlanda la nazionale azzurra si prepara ad affrontare l’Inghilterra a Twickenham. L’appuntamento è fissato per domenica 26 febbraio. Il ct Conor O’Shea ha annunciato i nomi dei componenti nel gruppo che si preparerà ad affrontare la trasferta londinese. Confermati in blocco i 31 convocati delle prime due giornate e che si presenteranno a Roma domenica 19 febbraio
Eccoli:

Piloni
Pietro CECCARELLI (Zebre Rugby, 6 caps)
Dario CHISTOLINI (Zebre Rugby, 16 caps)
Lorenzo CITTADINI (Aviron Bayonnais,  55 caps)
Andrea LOVOTTI (Zebre Rugby, 11 caps)*
Sami PANICO (Patarò Calvisano, 8 caps)* 

Tallonatori
Tommaso D’APICE (Zebre Rugby, 11 caps)*
Ornel GEGA (Benetton Treviso, 10 caps)
Leonardo GHIRALDINI (Stade Toulousain, 84 caps)

Seconde linee
George Fabio BIAGI (Zebre Rugby, 16 caps)
Joshua FURNO (Zebre Rugby, 37 caps)*
Marco FUSER (Benetton Treviso, 18 caps)*
Federico RUZZA (Zebre Rugby, esordiente)*
Andries VAN SCHALKWYK (Zebre Rugby, 9 caps)

Flanker/n.8
Simone FAVARO (Glasgow Warriors, 34 caps)*
Maxime Mata MBANDA’ (Zebre Rugby, 5 caps)*
Francesco MINTO (Benetton Treviso, 32 caps)
Sergio PARISSE (Stade Francais, 123 caps) – capitano
Abraham Jurgens STEYN (Benetton Treviso, 8 caps)

Mediani di mischia
Giorgio BRONZINI (Benetton Treviso, 5 caps)
Edoardo GORI (Benetton Treviso, 58 caps)*
Marcello VIOLI (Zebre Rugby, 2 caps)*

Mediani d’apertura
Tommaso ALLAN (Benetton Treviso, 29 caps)
Carlo CANNA (Zebre Rugby, 17 caps)

Centri
Tommaso BENVENUTI (Benetton Treviso, 39 caps)*
Tommaso BONI (Zebre Rugby, 2 caps)*
Michele CAMPAGNARO (Exeter Chiefs, 27 caps)*
Luke MCLEAN (Benetton Treviso, 86 caps)

Ali
Giulio BISEGNI (Zebre Rugby, 6 caps)
Angelo ESPOSITO (Benetton Treviso, 9 caps)*
Giovambattista VENDITTI (Zebre Rugby, 40 caps)*

Estremi
Edoardo PADOVANI (Zebre Rugby, 8 caps)*

*è/è stato membro dell’Accademia FIR “Ivan Francescato”

In avanti popolo! – Il vero gap dell’Italia? Quello dirigenziale

dirigenti

I risultati negativi del campo del nostro alto livello sono “figli” anche (soprattutto?) di una scarsa capacità manageriale e di programmazione della classe dirigenziale presa nel suo complesso, federale e di club. 

Andiamo indietro di qualche anno, settembre 2008:
“Vogliamo entrare in pianta stabile tra le prime otto del ranking: penso che sia un obiettivo percorribile, la Nazionale è la massima espressione del movimento, e come il movimento ha voglia di crescere. Ma vogliamo anche allargare la base: poco tempo fa pensare a centomila tesserati era un’utopia, adesso è il nostro obiettivo per i prossimi quattro anni, così come una gestione aziendale dello stadio Flaminio e la creazione di un rugby-day, sempre al Flaminio, dove concentrare le finali dei campionati nazionali. Oggi abbiamo un sito internet estremamente seguito, lo integreremo con un canale webtv da dedicare al rugby italiano. E progetteremo un’Accademia arbitrale, per avere finalmente direttori di gara italiani nelle massime competizioni internazionali”.

A parlare così era Giancarlo Dondi, il 13 settembre 2008, appena rieletto presidente della FIR. Sono passati quasi 9 anni, non proprio pochi, e ben poco di quelle parole si è avverato: la nazionale ha lasciato il Flaminio per l’Olimpico (e questo è stato un upgrade); la concentrazione delle finali dei campionati nazionali era un’ottima idea e tale rimane, ma non l’abbiamo vista concretizzarsi e comunque il Flaminio – anche se fosse utilizzabile e non si trovasse nelle disastrose condizioni in cui oggi versa – sarebbe troppo grande. La Cittadella di Parma andrebbe benissimo.
La web tv? Qualcuno ci sta provando, tra mille difficoltà, ma appunto 9 anni dopo quelle parole e non per input federale. Gli arbitri: Marius Mitrea è al momento l’unico candidato a raggiungere l’obiettivo indicato nel 2008, e ancora non c’è arrivato (ma faccio il tifo per lui, ça va sans dire), è andata meglio in campo femminile negli ultimi due anni con Maria Beatrice Benvenuti. I 100mila tesserati: bene o male ci siamo, ma bisogna pure ricordare che c’è una certa differenza tra le cifre relative ai tesserati e quella dei praticanti effettivi. Però una crescita quantitativa c’è stata. Ah, l’Italia non è mai entrata in pianta stabile tra le prime otto del ranking mondiale rimanendo anzi praticamente sempre fuori dalla top ten.

Perché tirare fuori oggi quelle dichiarazioni di Dondi? Perché in questi giorni difficili per la nostra nazionale a finire nel mirino delle critiche sono soprattutto la FIR, il presidente Alfredo Gavazzi, e qualcuno già punta il dito su Conor O’Shea, che vorrei ricordare ha assunto ufficialmente il ruolo di ct solo 10 mesi fa. Però a me sembrano tutte poco centrate.
Voglio dire, è chiaro che la federazione e il suo massimo rappresentante delle responsabilità ce le hanno, non potrebbe essere altrimenti, ma l’evidente ritardodel nostro movimento che il campo certifica da anni è conseguente a un gap dirigenziale che arriva da lontano e per il quale al momento non vedo grandi inversioni di rotta. Un gap non solo dei vertici FIR ma dell’intera classe dirigente italiana, che negli ultimi 20 anni non è poi cambiata granché. Esempi di eccellenza ce ne sono, ma affogano in un affollatissimo teatrino dove a dominare sono i personalismi, il “vi faccio vedere io come si fanno le cose”. D’altronde l’humus culturale in cui crescono i nostri dirigenti è sostanzialmente quello, perché alla fine il panorama dovrebbe essere poi tanto diverso?
Sono poi personalmente convinto che alcuni – non tutti – dei più fieri oppositori di Alfredo Gavazzi se si sedessero sulla poltrona della presidenza FIR non si comporterebbero in maniera molto diversa da lui. Perché il problema (ammesso e non concesso che lo sia) non è la politica federale propugnata dal suo attuale massimo rappresentante, ma il semplice fatto che vorrebbero trovarsi al suo posto. Farebbero cose diverse? Probabilmente, forse, ma il mood non sarebbe per nulla diverso.

La politica rugbistica italiana è stata negli ultimi 15 anni abbastanza vaga: l’obiettivo forse è chiaro, il come arrivarci proprio no. E anche le strade intraprese non sono state costruite a dovere, difese e rinforzate con la giusta convinzione. L’amico Duccio Fumero di Rugby 1823 ha scritto ieri che “il problema è il Pro12”. Non ne sono molto sicuro: penso che il problema non sia l’avventura celtica in sé. Si può discutere a lungo della sua utilità o meno, ma una volta che la intraprendi devi strutturare l’intero movimento in maniera funzionale, non sperare che le cose poi in qualche maniera si adattino da sole. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e ce lo racconta il campo degli ultimi anni, non il sottoscritto: le nostre franchigie (quasi) sempre abbonate agli ultimi posti della classifica e con uno score di sconfitte lungo da qui a lì, un campionato nazionale depauperato e lasciato languire senza alcun tipo di intervento, una “produzione” di giocatori quantitativamente e qualitativamente non sufficiente, selezioni nazionali che fanno grande fatica e che progrediscono – quando lo fanno – con grande lentezza.

Nessuno ha la bacchetta magica e per ottenere risultati serve tempo. Però siamo entrati nel Pro12 ormai 7 anni fa e le cose cambiate nel frattempo sono pochissime, il “su e giù” degli atleti tra celtiche e squadre di Eccellenza non è mai stato regolamentato se non con il sistema dei permit che è chiaramente una toppa che non soddisfa nessuno. Però è ancora tutto lì, quasi intoccabile.
Il nostro domestic? Si sente sempre dire che va rilanciato, ma finora proposte concrete per cercare di cambiare la situazione non ne abbiamo viste. In 7 anni. E tranne che in pochissimi casi non abbiamo visto presidenti di club sbattere i pugni sul tavolo. Quindi responsabilità della FIR, certo, ma non solo.
Le celtiche? Si va dalla gestione delle Zebre che non ha bisogno di commenti, all’annuncio della necessità di avere tecnici italiani a guidarle così come per lo staff tecnico della nazionale maggiore. Quale sia la situazione attuale (e le carte di identità degli allenatori delle squadre menzionate) la conosciamo tutti.

I tecnici cambiano, i giocatori passano ma i risultati del campo sono sempre gli stessi, al pari di alcuni dirigenti-chiave. E allora qualche domanda bisognerebbe farsela. E sperare che davvero venga lasciata carta bianca a Conor O’Shea e alle persone di cui si è circondato, anche se dopo tanti anni viene naturale chiedersi perché stavolta dovrebbe essere diverso: perché è vero che l’arrivo dell’irlandese, di Catt, Venter e Aboud sono di primissimo livello ma sono anche in controtendenza rispetto alla policy federale perseguita fino a qualche mese fa. Vedremo, attendiamo speranzosi.
Il ct anche nell’immediato dopo Italia-Irlanda ha ribadito pubblicamente che le cose da cambiare nel rugby italiano sono tante, i prossimi mesi in questo senso saranno decisivi, vedremo quali novità verranno approntate in vista della prossima stagione. Anche perché il tecnico di Limerick non è venuto a svernare alle nostre latitudini, non è nella fase conclusiva della sua carriera. Se devo scommettere i miei proverbiali due cent direi che a farsi rosolare a fuoco lento non ci sta proprio.
E’ una occasione da non buttare via: la Scozia non l’ha fatto e guardate nel giro di 3-4 anni dove è arrivata. Il primo passo è avere idee chiare e convinzione: O’Shea le ha, il “lasciatelo lavorare” è d’obbligo. Se poi otterrà l’introduzione di modifiche che vengono sostenute da anni avremo la prova del nove che abbiamo buttato via del tempo, ma meglio tardi che mai. O no?

Sei Nazioni e Guinness Pro12: la Francia piega la Scozia, ko per l’Italia femminile e per il Benetton

A view of the match coin 12/2/2017
©INPHO/Dan Sheridan

Un lungo pomeriggio di rugby con il Leinster che passa al Monigo (14-40), la nazionale delle ragazze che nel secondo tempo cade sotto i colpi delle irlandesi (3-27) e una Francia-Scozia davvero fisica ed equilibrata decisa negli ultimi 10 minuti di gioco (22-16).

GUINNESS PRO12 BENETTON TREVISO-LEINSTER 14-40
Tre mete nella prima mezz’ora e il Leinster chiude quasi subito la pratica al Monigo. Nella fase centrale della partita le marcature di Paulo e Pratichetti tengono a galla i biancoverdi che però cedono dopo il 50′ e gli irlandesi dilagano.

Benetton Treviso: 15 David Odiete, 14 Andrea Pratichetti, 13 Tommaso Iannone, 12 Alberto Sgarbi (c), 11 Luca Sperandio, 10 Ian McKinley, 9 Tito Tebaldi, 8 Robert Barbieri, 7 Dean Budd, 6 Marco Lazzaroni, 5 Teofilo Paulo, 4 Filippo Gerosa, 3 Tiziano Pasquali, 2 Luca Bigi, 1 Federico Zani
Riserve: 16 Davide Giazzon, 17 Nicola Quaglio, 18 Matteo Zanusso, 19 Francesco Minto, 20 Guglielmo Zanini, 21 Enrico Francescato, 22 Michael Tagicakibau, 23 Andrea Buondonno
Mete: Paulo (36′), Pratichetti (55′)
Conversioni: McKinley (36′, 55′)
Punizioni:

Leinster: 15 Zane Kirchner, 14 Adam Byrne, 13 Rory O’Loughlin, 12 Noel Reid, 11 Dave Kearney, 10 Ross Byrne, 9 Jamison Gibson-Park, 8 Jack Conan, 7 Dan Leavy, 6 Dominic Ryan, 5 Ian Nagle, 4 Mick Kearney, 3 Michael Bent, 2 Richardt Strauss (c), 1 Peter Dooley
Riserve: 16 Bryan Byrne, 17 Andrew Porter, 18 Mike Ross, 19 Ross Molony, 20 Peadar Timmins, 21 Luke McGrath, 22 Joey Carbery, 23 Barry Daly
Mete: Rory O’Loughlin (2′), Dave Kearney (25′, 28′), Adam Byrne (51′), Joey Carbery (66′), Bryan Byrne (72′)
Conversioni: Byrne (2′, 26′, 29′, 52′, 72′)
Punizioni:

 

SEI NAZIONI FEMMINILE, ITALIA-IRLANDA 3-27
Un primo tempo equilibratissimo, con le due difese che sopravanzano gli attacchi avversari e che si chiude sul 3 a 3. Il solco viene scavato nella ripresa tra il 51′ e il 61′ quando le irlandesi – complici anche troppi errori delle nostre ragazze – vanno a marcare tre mete. Il XV in maglia verde è squadra più forte ma l’Italia ha lottato a lungo alla pari e alla fine il risultato (l’Irlanda conquista il bonus all’ultimo respiro) è fin troppo penalizzante per la nostra squadra, almeno per quello visto in campo.

Italia: 15 Manuela Furlan, 14 Michela Sillari, 13 Mariagrazia Cioffi, 12 Sofia Stefan, 11 Maria Magatti, 10 Beatrice Rigoni, 9 Sara Barattin (c), 8 Elisa Giordano, 7 Isabellla Locatelli, 6 Lucia Cammarano, 5 Alice Trevisan, 4 Flavia Severin, 3 Lucia Gai, 2 Melissa Bettoni, 1 Elisa Cucchiella
Riserve: 16 Marta Ferrari, 17 Gaia Giacomoli, 18 Michela Este, 19 Elisa Pillotti, 20 Ilaria Arrighetti, 21 Claudia Salvadego, 22 Silvia Folli, 23 Paola Zangirolami
Mete:
Conversioni:
Punizioni: Rigoni (39′)

Irlanda: 15 Mairead Coyne, 14 Hannah Tyrrell, 13 Jenny Murphy, 12 Sene Naoupu, 11 Alison Miller, 10 Nora Stapleton, 9 Ailsa Hughes, 8 Paula Fitzpatrick (c), 7 Claire Molloy, 6 Ciara Griffin, 5 Marie-Louise Reilly, 4 Elaine Anthony, 3 Ailis Egan, 2 Leah Lyons, 1 Lindsay Peat
Riserve: 16 Jennie Finlay, 17 Ilse Van Staden, 18 Ciara O Connor, 19 Ciara Cooney, 20 Sophie Spence, 21 Mary Healy, 22 Claire McLaughlin, 23 Eimear Considine
Mete: Lyons (51′), Spence (54′). Fitzpatrick (61′), Tyrrell (80′)
Conversioni: Stepleton (51′, 54′)
Punizioni: Stepleton (28′)

 

SEI NAZIONI, FRANCIA-SCOZIA 22-16
Allo Stade de France va in scena una partita molto fisica tra due squadre che tutto sommato si equivalgono pur nella loro diversità. Scozzesi molto bravi ad impedire ai francesi di esprimere il loro gioco ma allo stesso tempo meno brillanti rispetto alla gara con l’Irlanda. XV in maglia blu comunque sempre molto efficaci, la Francia commette qualche errore di troppo e gara che si trascina punto a punto. Decisive due punizioni di Lopez negli ultimi 10 minuti di gioco.

Francia: 15 Scott Spedding, 14 Noa Nakaitaci, 13 Rémi Lamerat, 12 Gaël Fickou, 11 Virimi Vakatawa, 10 Camille Lopez, 9 Baptiste Serin, 8 Louis Picamoles, 7 Kévin Gourdon, 6 Loann Goujon, 5 Yoann Maestri, 4 Sébastien Vahaamahina, 3 Uini Atonio, 2 Guilhem Guirado (c), 1 Cyril Baille
Riserve: 16 Christopher Tolofua, 17 Rabah Slimani, 18 Xavier Chiocci, 19 Julian Le Devedec, 20 Damien Chouly, 21 Maxime Machenaud, 22 Jean-Marc Doussain, 23 Yoann Huget
Mete: Gael Fickou (31′)
Conversioni: Lopez (32′)
Punizioni: Lopez (7′, 20′, 37′, 71′, 76′)

Scozia: 15 Stuart Hogg, 14 Sean Maitland, 13 Huw Jones, 12 Alex Dunbar, 11 Tommy Seymour, 10 Finn Russell, 9 Greig Laidlaw(c), 8 Josh Strauss, 7 Hamish Watson, 6 John Barclay, 5 Jonny Gray, 4 Richie Gray, 3 Zander Fagerson, 2 Fraser Brown, 1 Allan Dell
Riserve: 16 Ross Ford, 17 Gordon Reid, 18 Simon Berghan, 19 Tim Swinson, 20 John Hardie, 21 Ali Price, 22 Duncan Weir, 23 Mark Bennett
Mete: Hogg (17′), Swimson (44′)
Conversioni:
Punizioni: Russell (36′, 39′)