Milano va in sostegno: un torneo per aiutare i Briganti di Librino

“La nostra Club House non esiste più. Un incendio doloso appiccato stanotte l’ha completamente distrutta. Sono andati perduti dieci anni di ricordi, trofei, l’intero patrimonio della Librineria, tantissimi cimeli accumulati in questi anni, il materiale tecnico e medicale, la cucina, tutto, tutto distrutto dall’incendio”.
Ricordate? Lo scorso 11 gennaio il club di Catania annunciava a tutti che la propria club house era stata distrutta da un incendio doloso. Un segnale contro un gruppo di ragazzi che attraverso la palla ovale da anni stanno facendo tantissimo in uno dei quartieri più complicati di Catania. Loro risposero da rugbisti, ovviamente: tirandosi su le maniche e mettendosi a lavorare per sistemare tutto nel più breve tempo possibile, aiutati da tanti appassionati e società del nostro movimento.
Qualche giorno fa la club house è stata riaperta, ma la solidarietà non si ferma. Sabato prossimo a Milano si terrà un torneo che raccoglierà fondi per i Briganti. Dettaglio non secondario: il torneo si terrà in un centro sportivo “vittima” tempo fa di un incendio doloso di stampo ndranghetistico.
Il comunicato stampa con tutte le info:

Sabato 24 Marzo 2018, a partire dalle ore 13.00, presso il campo sportivo Ripamonti (Via Iseo,4 – Milano) si terrà il torneo “SOCIAL LOVERS” (rugby Old maschile e Femminile) organizzato dagli “OldLovers Milano Rugby” & “LadyLovers Milano Rugby”.
Quest’anno il torneo “Social Lovers” si pone come obiettivo una raccolta fondi da destinare agli amici rugbysti “Briganti di Librino” di Catania.
A Gennaio un incendio doloso ha distrutto la loro Club House dove sono andati completamente perduti dieci anni di ricordi, trofei, l’intero patrimonio della Librineria, tantissimi cimeli accumulati in questi anni, il materiale tecnico e medicale, la cucina.
Questa iniziativa ripercorre i valori tipici del mondo ovale, in cui il sostegno è una parte
essenziale del gioco. Un gesto importante di fratellanza legato al fatto che anche il Centro
Sportivo Ripamonti di Via Iseo, luogo di sport e socialità, ha subito la stessa offesa solo
pochi anni fa diventando di fatto un simbolo della lotta di Milano all’illegalità.
Al torneo si applicano le regole del “Golden Oldies Rugby”.Lo spirito non competitivo della pratica di tale attività è enfatizzato e riassunto nel motto internazionalmente
riconosciuto: “Divertimento, Amicizia, Fraternità” (Fun, Friendship, Fraternity).
“Rugbylja magazine” è media partner ufficiale dell’evento “Social Lovers”.
OldLovers Milano Rugby e LadyLovers Milano Rugby sono squadre affiliate alla
società Amatori & Union Rugby Milano.

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Sei Nazioni senza scampo per l’Italia. O almeno così dicono i bookmakers

©INPHO/Dan Sheridan

Il trionfo azzurro viene dato a 501, le squadre più vicine  – si fa per dire – sono Scozia e Galles, quotate a 13 (e solo per un bookmaker). E per le prime due gare? Poche le quote già disponibili ma chiudere dopo Inghilterra e Irlanda con un -30/40 complessivo di gap tra punti subiti e incassati non sarebbe un risultato da buttare via. Sperando, ovviamente, di andare meglio

Inghilterra favorita assoluta, Irlanda prima inseguitrice. Poi, più distanti, ci sono Galles, Scozia e Francia, con posizioni intercambiabili a seconda del bookmaker ma comunque molto vicini tra loro. In fondo, lontanissima, c’è l’Italia. Così chi gestisce le scommesse vede il Sei Nazioni 2018. In un articolo – che potete leggere qui nella sua interezza – della scorsa settimana R1823 raccoglie le principali quote sulla vittoria finale dei tre principali bookmakers. Qui mi limito a ricordare che la vittoria dell’Inghilterra è data a meno di 2, che l’Irlanda viaggia abbondantemente oltre al 3, che Galles, Scozia e Francia stanno tra il 7.50 e il 13 e che l’Italia è data da tutti a 501. Per chi gestisce le scommesse è quasi più facile che arrivino i marziani che non assistere al trionfo degli azzurri.

L’Italia oltretutto nelle prime due giornate incontrerà proprio le due grandi favorite: l’Inghilterra (a Roma) e l’Irlanda (a Dublino). E cosa dicono i bookmakers in quel caso? La vittoria di Sergio Parisse e compagni è data tra i 6.75 e 9.5 mentre quella inglese va da 1.08 a 1.9: scommettitori che sembrano avere idee molto chiare quindi. A oggi solo betfair ha già aperto quote su Irlanda-Italia e dà la vittoria dei padroni di casa scontata (1.08) mentre quella dell’Italia un mezzo miracolo (18).
Io, nel mio piccolo, mi accontenterei di chiudere l prime due partite con un gap tra punti fatti e incassati a -30/40. Sperando ovviamente di essere smentito.

Assalto ai Briganti di Librino: un incendio doloso distrugge la loro club-house

Un gesto vigliacco, infame, che manda letteralmente in fumo anni di rinunce e sacrifici, di un impegno continuo in un quartiere complicato. Un gesto che lascia senza parole ma a cui il rugby italiano saprà rispondere

Quella dei Briganti di Librino è una di quelle storie di rugby di cui parla spesso un po’ tutta la stampa, anche quella che non segue quasi mai o del tutto le vicende ovali. La storia di un gruppo di persone che decidono di fare qualcosa per cercare di migliorare, almeno un po’, la vita dei ragazzi di un quartiere difficile di una città del sud. Nel caso dei Briganti si tratta di San Teodoro in quel di Catania.
Una squadra nata nel 2006, che vagabonda per un po’ di anni prima di occupare e risistemare un impianto pubblico descritto così da Marco Pastonesi su Repubblica un paio di anni fa: “un campo, due palestre, spogliatoi e club-house, progettato per le Universiadi del 1997, poi dismesso, vandalizzato, profanato, ma mai dimenticato – realizzato con i soldi dei contribuenti; quelli che in due mesi e con una centinaio di persone lo sistemarono; quelli che da allora lo restaurano, lo arricchiscono, lo presidiano; quelli che il 12 maggio 2015 lo hanno finalmente conquistato con una convenzione di comodato d’uso gratuito per sei anni, si spera rinnovabili. Briganti: illegali ma giusti, idealisti e romantici ma pratici e concreti”.

Questa notte un incendio doloso ha distrutto la club house dei Briganti. Un gesto infame, da vigliacchi, che non necessita di commenti. Così ne danno notizia su facebook gli stessi Briganti:
La nostra Club House non esiste più.
Un incendio doloso appiccato stanotte l’ha completamente distrutta. Sono andati perduti dieci anni di ricordi, trofei, l’intero patrimonio della Librineria, tantissimi cimeli accumulati in questi anni, il materiale tecnico e medicale, la cucina, tutto, tutto distrutto dall’incendio.
Il tetto della struttura sta cedendo, ci sembra improbabile di poter recuperare l’edificio, aspettiamo che i vigili del fuoco ci consentano di accedere all’interno (non prima di domani pomeriggio) per farci un’idea ancora più precisa.
Quel meraviglioso luogo dove tanti ragazzi si sono incontrati nelle circostanze più disparate è improvvisamente diventato un ricordo da conservare nella memoria, non c’è più.
Non sappiamo chi possa aver compiuto questa infamia, in questo momento siamo davvero provati, sotto choc. Quel che è certo è che sarà stato qualcuno abituato a muoversi al buio, nell’ombra, per compiere gesti vigliacchi, barbari, incivili, codardi.
Sappiamo anche che oggi affrontiamo il giorno più tetro della nostra storia dal quale sarà molto difficile venirne fuori, perchè la delusione e la rabbia del ritrovarci davanti alla Club House morente ci paralizza.
Nei prossimi giorni decideremo se e come andare avanti.
Stateci vicino, abbiamo davvero bisogno di non sentirci soli contro la barbarie.

Competitività, ignoto, inefficacia, sconfortante, fiducia: parole per “fissare” quasi 20 anni di rugby

ph. Fotosportit/FIR

Un articolo che fa una disamina fredda e quasi inattaccabile della nostra situazione. A farla un nome importante del giornalismo ovale italiano: verrà tacciato di essere un “gufo”?

Una paginetta per scattare una fotografia nitida e senza troppi filtri al nostro rugby. L’ha fatta un monumento del giornalismo ovale italiano sull’ultimo numero di All Rugby. L’articolo si intitola “Quanto è lungo il tunnel?”, la firma è quella di Luciano Ravagnani.
Ecco alcuni stralci, talmente chiari e puntuali da aver poco (nulla?) da controbattere. Buona lettura.

– (…) la vittoria (19-10) di Catania contro Fiji, squadra apparsa – peraltro – permeata da una inusitata tristezza agonistica, non solo ha salvato il bilancio, ma ha ribadito che a un certo livello di impegno la squadra azzurra è competitiva, anche nella gestione del risultato

– Sulla carta (cioè il ranking) l’Argentina era addirittura meno titolata delle Fiji e la batosta arrivata nei 10 minuti finali è risultata disarmante. E allora la fiducia generata dalle Fiji viene meno, la luce si affievolisce e sparisce. Resta il tunnel di ignota lunghezza

– il rugby italiano, quindi anche la sua nazionale, è politicamente sovradimensionato

– Da quando l’Italia fa parte del “Tier 1” (…) ha l’onore, ma anche l’obbligo, di misurarsi sempre con Nazionali forti, molto più forti, con qualche rara concessioni a confronti con le “Tier 2” (…). Insomma l’Italia è stata destinata e costretta dal formato internazionale alle sconfitte a catena

– (…) ci abbiamo messo del nostro per complicare le cose. E chi si attendeva una nostra maggiore competitività nel volgere di pochi anni, ha ora tutto il diritto di essere deluso dopo quasi 20 anni di rugby di alto livello

– (…) le scelte, i programmi, i cambiamenti, l’affannosa gestione di un professionismo senza risorse interne, sono risultate inefficaci. E dall’ottavo-nono posto del ranking siamo caduti al 13-14esimo.

– La conclusione è che è stato distrutto il campionato, sacrificato sull’altare di due franchigie nate senza una cultura della territorialità e vere proprie idrovore di risorse economiche federali, senza corrispettivi risultati dignitosi

– Inoltre il rugby (..) ha un seguito di pubblico modesto e un riscontro sui mass-media sconfortante

– Il tunnel, insomma è ancora lungo. O’Shea ha fiducia e ottiene fiducia. La sua Italia ha chiaramente dimostrato di voler giocare un rugby possibile e questo è già un passo avanti. Crederci e lavorare è obbligatorio, ma rendersi conto che la qualità media non è eccelsa è doveroso. Un bel gruppo di speranze c’è, ma senza stimmate di campioni.

– In un rugby di intensità media l’Italia è un osso duro per tutti. Anche per le grandi. Il problema emerge quando l’intensità cresce. Bastano 10 minuti di “fast rugby” per frantumare ogni resistenza

Novembre scatta la foto di un’Italia che ha cuore, ma impotente e con poche idee

ph. Fotosportit/FIR

Tre partite, una vittoria, una sola meta marcata, tanta volontà e la capacità di non andare quasi mai in ansia, ma anche poche opzioni e alternative. E una sterilità offensiva davvero preoccupante. Un momento per nulla facile del nostro rugby, l’ennesimo, ma forse ancora più difficile di altri

Che non ha la forza, la possibilità o i mezzi necessari al compimento di una data azione o funzione. Questa la definizione che la Treccani dà della parola “impotente”, perfetta fotografia dell’Italia vista sabato a Padova. Nulla da dire sulla voglia di ben fare messa in campo dagli azzurri, sulla grinta, sul cuore: la prova – se mai ce ne fosse bisogno – è in quel quarto d’ora passato in maniera continuativa nel secondo tempo dentro o appena fuori la linea dei 22 metri springboks a prendere a capocciate i sudafricani nel tentativo di piegarne la difesa e fare punti, ma senza ottenere nulla.
La partita era già chiusa, il sigillo lo aveva messo Kitshoff ad inizio ripresa con una meta che fermava il risultato sul 28 a 6, ma l’Italia non ha mai smesso di provarci. Il fatto è che quel quarto d’ora di azione insistita e inefficace è la fotografia dei nostri pregi e dei nostri limiti, evidenti gli uni e gli altri. Cuore? Sì. Grinta? A valanga, Voglia? Quanta ne volete. Ma anche incapacità di variare il piano tattico, pochi uomini in grado di vincere l’uno contro uno, la lentezza nei breakdown, una sterilità offensiva che è davvero allarmante.

Noi siamo questa cosa, piaccia o non piaccia, da tanti anni ormai. Qua e là troviamo delle pezze, otteniamo dei risultati che sono una panacea ma non servono a curare i mali di cui soffriamo, sono un oppiaceo buono per aiutarci a tirare avanti e a farci credere che davvero abbiamo svoltato, almeno per un po’. Però la realtà – prima o poi – si ripresenta nella sua crudezza.
Se segni una sola meta in tre gare non è che puoi sperare di ottenere un granché
: puoi vincerne una e non di molto, puoi limitare i danni in un’altra e non puoi fare nulla o quasi nella terza. Abbiamo giocato contro tre squadre che ci sono avanti nel ranking? Vero. Però ci sono dei però. Tipo che se viaggi intorno alla 13a-15a posizione di quella classifica e vuoi/devi giocare con le più forti non sono poi tante le formazioni che ti stanno dietro. Poi abbiamo affrontato Fiji che è squadra dalle grande individualità ma che si era ritrovata dopo mesi solo 4 giorni prima della partita: niente stage o raduni per i pacifici, niente preparazione monitorata, i giocatori che vengono utilizzati tanto/tantissimo nel campionato inglese o francese senza che lo staff tecnico della nazionale possa metter becco. Li abbiamo battuti, certo, ma non dominati. Le Fiji viste all’opera una settimana dopo erano già un’altra cosa.
L’Argentina è squadra forte, molto forte, ma indubitabilmente con parecchi problemi e protagonista della sua peggior stagione in termini di risultati da parecchi anni in qua. Il Sudafrica? Ha fatto il suo, non ha entusiasmato, non ha fatto certo stropicciare gli occhi, ci ha preso le misure e poi colpito facendo punti ogni volta che si avvicinava alla nostra area di meta. Un Sudafrica così così nel complesso e che ci ha battuto nettamente.

Qualche giorno fa ho scritto che “l’Italia è in quella fase in cui per vincere una partita del genere tutto deve andare alla perfezione e contemporaneamente dall’altra parte tante cose non devono funzionare a dovere”. Se qualcuno avesse dubbi basta buttare un occhio sul nostro score di un intero anno in cui abbiamo battuto proprio gli springboks a Firenze (nella loro versione peggiore da tanti anni in qua), in cui abbiamo messo in difficoltà l’Inghilterra grazie a uno stratagemma tanto intelligente quanto non ripetibile come la cosiddetta “fox”prendendo alla fine comunque 36 punti, in cui abbiamo perso di poco contro un’Australia che non ci ha affrontato certo con la bava alla bocca (intendiamoci: errore loro), in cui ci siamo fatti beffare da Fiji. In mezzo tanti ko pesanti e incolori.
Possiamo decidere di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, ma non lo è. E non lo è da tanto. Troppo. Il trend dell’ultima annata è purtroppo ampiamente negativo, le vittorie sono spesso exploit isolati e ogni passo avanti sembra se ne si faccia poi due indietro. Oh, lo ripeto, succede almeno dal Mondiale 2007, non da oggi. Il fatto è che siamo tifosi e appassionati, vogliamo bene ai nostri colori e quindi concediamo alibi, giustificazioni e “perché” che ad altri non concederemmo. E’ umano, ma non ci aiuta.

Penso che Conor O’Shea sia un bravo tecnico, la persona giusta per il nostro movimento, gli si sta (finalmente!) permettendo di costruire una struttura che se darà o meno risultati lo scopriremo con il senno del poi ma di sicuro è di buon senso. Sarebbe bello che le idee che sostiene trovassero concretezza, come quell’ascensore tra Eccellenza e franchigie che per qualche misterioso motivo rimane sempre in un cassetto. Detto questo non possiamo accontentarci delle parole del ct nel post partita: “Sono sicuro che rispetto al gruppo di un anno fa abbiamo fatto dei grandi passi in avanti, ma dobbiamo ricordarci che continuiamo a giocare ad alto livello contro grandi squadre. In questo momento la parola chiave deve essere resilienza davanti alla sconfitta. Con questo gruppo stiamo percorrendo un viaggio incredibile e vogliamo fare la differenza in futuro con una profondità di squadra sempre maggiore”.

Spero vivamente che il ct abbia ragione, sono il suo primo tifoso, però sono anni che sentiamo frasi consolatorie di questo genere e ne abbiamo fatto il pieno. Ci si racconta che la nostra è una squadra molto giovane (ma anche no: gli unici veramente giovani sono Licata e Minozzi, gli altri viaggiano dai 23/24 anni in su, la media delle formazioni schierate è attorno ai 27/28 anni), che la concorrenza interna sia aumentata ma alla fine in un mese abbiamo visto praticamente sempre la stessa formazione, che il fit è migliorato e lo è davvero, ma perché è tornato ai livelli di tre anni fa.
Bisognerebbe farsi domande serie sul reale livello tecnico complessivo del Pro14 e sui costi connessi alla nostra partecipazione: è sicuro che oggi il torneo celtico non ha alternative per noi, contro l’Eccellenza attuale ha gioco facile, ma a un’alternativa seria da iniziare a preparare nemmeno ci si pensa. E avere un domestic di livello più alto farebbe comunque comodo a tutto il movimento, sia che il Pro14 sia un’opzione o meno.

Abbiamo una montagna di problemi, una strada lunghissima da percorrere e il rischio che O’Shea diventi il parafulmine su cui scaricarli è alto: si sta esponendo, se i risultati non arrivano il conto verrà presentato soltanto a lui. E non se lo merita. tanto per dire: il presidente federale Gavazzi già dopo il Sei Nazioni aveva parlato di un torneo che lo aveva “lasciato perplesso”.
L’irlandese deve essere messo nelle condizioni di lavorare al meglio: sempre dopo il Sei Nazioni aveva detto che sarebbero state prese decisioni che “avrebbero dato fastidio a qualcuno”, quali siano però non si sa. Ad ogni nodo, per quanto possa magari sembrare paradossale in un momento certo non entusiasmante io gli rinnoverei il contratto già oggi.
Il mese di novembre ha sottolineato quante siano le problematiche che dobbiamo affrontare con armi che non sono al momento sufficienti e il Sei Nazioni è dietro l’angolo e partirà con l’Italia che sarà ancora una volta – l’ennesima – il vaso di coccio in mezzo ad anfore più robuste. Tempo non ce n’è molto e invece ne avremmo bisogno davvero tanto.