Competitività, ignoto, inefficacia, sconfortante, fiducia: parole per “fissare” quasi 20 anni di rugby

ph. Fotosportit/FIR

Un articolo che fa una disamina fredda e quasi inattaccabile della nostra situazione. A farla un nome importante del giornalismo ovale italiano: verrà tacciato di essere un “gufo”?

Una paginetta per scattare una fotografia nitida e senza troppi filtri al nostro rugby. L’ha fatta un monumento del giornalismo ovale italiano sull’ultimo numero di All Rugby. L’articolo si intitola “Quanto è lungo il tunnel?”, la firma è quella di Luciano Ravagnani.
Ecco alcuni stralci, talmente chiari e puntuali da aver poco (nulla?) da controbattere. Buona lettura.

– (…) la vittoria (19-10) di Catania contro Fiji, squadra apparsa – peraltro – permeata da una inusitata tristezza agonistica, non solo ha salvato il bilancio, ma ha ribadito che a un certo livello di impegno la squadra azzurra è competitiva, anche nella gestione del risultato

– Sulla carta (cioè il ranking) l’Argentina era addirittura meno titolata delle Fiji e la batosta arrivata nei 10 minuti finali è risultata disarmante. E allora la fiducia generata dalle Fiji viene meno, la luce si affievolisce e sparisce. Resta il tunnel di ignota lunghezza

– il rugby italiano, quindi anche la sua nazionale, è politicamente sovradimensionato

– Da quando l’Italia fa parte del “Tier 1” (…) ha l’onore, ma anche l’obbligo, di misurarsi sempre con Nazionali forti, molto più forti, con qualche rara concessioni a confronti con le “Tier 2” (…). Insomma l’Italia è stata destinata e costretta dal formato internazionale alle sconfitte a catena

– (…) ci abbiamo messo del nostro per complicare le cose. E chi si attendeva una nostra maggiore competitività nel volgere di pochi anni, ha ora tutto il diritto di essere deluso dopo quasi 20 anni di rugby di alto livello

– (…) le scelte, i programmi, i cambiamenti, l’affannosa gestione di un professionismo senza risorse interne, sono risultate inefficaci. E dall’ottavo-nono posto del ranking siamo caduti al 13-14esimo.

– La conclusione è che è stato distrutto il campionato, sacrificato sull’altare di due franchigie nate senza una cultura della territorialità e vere proprie idrovore di risorse economiche federali, senza corrispettivi risultati dignitosi

– Inoltre il rugby (..) ha un seguito di pubblico modesto e un riscontro sui mass-media sconfortante

– Il tunnel, insomma è ancora lungo. O’Shea ha fiducia e ottiene fiducia. La sua Italia ha chiaramente dimostrato di voler giocare un rugby possibile e questo è già un passo avanti. Crederci e lavorare è obbligatorio, ma rendersi conto che la qualità media non è eccelsa è doveroso. Un bel gruppo di speranze c’è, ma senza stimmate di campioni.

– In un rugby di intensità media l’Italia è un osso duro per tutti. Anche per le grandi. Il problema emerge quando l’intensità cresce. Bastano 10 minuti di “fast rugby” per frantumare ogni resistenza

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30 pensieri su “Competitività, ignoto, inefficacia, sconfortante, fiducia: parole per “fissare” quasi 20 anni di rugby”

  1. caro paolo, posso farti una domanda? Ma a te il periodo natalizio porta una certa tristezza? Traspare non tanto dai tuoi articoli ma dai titoli di questi….si scherza eh

  2. immagino che gli stralci siano esaustivi della policy del giornalista/testata, per quanto mi riguarda da sposare in toto con l’ultimo punto-il fast rugby- particolarmente doloroso(per me)

  3. Le parole di Ravagnani sono in gran parte condivisibili, perchè frutto dell’ oggettivo riscontro della realtà, tipo quelle sul sovradimensionamento politico del Rugby italiano; quelle sul fatto che siamo rognosi per tutti fino a una certa intensità, ma quando si sale di giri non siamo dotati della necessaria cilindrata per reggere il confronto; quelle sul fatto che essendo inseriti tra le Tier 1, l’ assurdo regolamento internazionale ci costringe a disputare match con squadre, troppo spesso, molto più forti e quindi ci condanna a una serie “infinita” di sconfitte e quelle che ci abbiamo messo del nostro e che, finora, le politiche, i cambiamenti e le riforme non hanno dato i risultati sperati; quelle sul fatto che il Rugby ha un seguito modesto e un riscontro sui media risibile; poi, però, parte con la solita tiritera dell’ attacco alle franchigie e del piagnisteo sulla perduta competitività del domestic; io rispetto l’ opinione di tutti. ma non provo simpatia per i nostalgici (a parire da quelli che “Quando c’ era lui…!!”, o pungo alzato, “Bandiera rossa la trionferà” e “O bella ciao”, ecc.)
    Ho letto che Ravagnani, insieme a Munari, è considerato il massimo esperto di Rugby in Italia (ma questo non vuol dire che lo siano anche in assoluto, perchè ci saranno anche un massimo esperto di sci del Burkina Faso, uno di curling della Papua Nuova Guinea, uno di cricket della Groenlandia, del football della Lapponia ecc., ecc.!!!), ma mi permetto di fargli notare come, a detta di tecnici preparati come COS, Bradley,Crowley (che vengono da paesi dove il livello medio basso dell’ essere esperti è di gran lunga superiore a quello dell’ essere i massimi esperti italiani!!) e di tutti i giocatori ripetutamente interpellati in merito, la scelta delle franchigie professionistiche sia irrinunciabile, per sperare di poter continuare a competere ad alti livelli e che le politiche messe in campo per riformare il rugby italiano sono sempre state una scelta a metà, proprio per non scontentare i nostalgici del campionato “semiparrocchiale” nazionale, per cui tutto si riduce al provincialissimo sberleffo tra bersaglieri e onti, o tra veneti e lombardi, ecc., ecc.; vorrei anche fargli notare come in Scozia, chi di dovere, se ne sia fregato e le riforme le abbia fatte veramente e in maniera radicale, lì si che, se i risultati non fossero arrivati, la gente avrebbe avuto il diritto di essere delusa, qui….NO, perchè (cit. prov.) “Il mal voluto un è mai troppo”!!!!!!

    1. credo xhe la critica sia un po’ più articolata di domestic sì, domestic no, ovvero che sia proprio stare nel mezzo il problema, si sono foraggiati due club pro a discapito degli altri, club che non hanno portato nessun risultato a nessun livello, drenando risorse per ritorni personali e non nello sviluppo del movimento (non sono franchigie o similari con ricadute sul territorio), decidendo di rinunciare, se vuoi anche senza decidere di depotenziare, qualsiasi tipo di sviluppo del domestico, che avesse, quest’ultimo, le potenzialità o meno, di creare giocatori competitivi quanto le celtiche.
      la questione non è quale sia la strada giusta o di bandiere, ma che senza i club il rugby in italia, per la sua struttura sportiva, chiaramente, chiude perchè non ci sarebbe più leva, senza le celyiche non ci sarebbe la possibilità di professionismo, che passa anche attraverso le accademie, altro discorso da esaminare per bene, quindi tutto il sistema è necessario, peccato che si sia pensato bene di lasciare tutto ben separato senza creare sinergie e spendendo dove faceva comodo e non dove serviva.
      io l’ho letta così, poi anche le tue posizioni verso il domestico, paiono spesso acritiche e rancorose come se l’esistenza dell’eccellenza, per piccoli interessi di bottega, sia il peso che impedisce alle nostre celtiche di prendere il volo, ma immagino che tu ben sappia che non è quello il problema

      1. Ciao gian, lo so che i piccoli interessi di bottega dei club dell’ Eccellenza non sono il peso che impedisce alle nostre franchigie di spiccare il volo, ma sono la causa della mancata attuazione delle necessarie riforme del movimento, che un giorno potrebbero contribuire a farglielo spiccare.

      2. concordo con te che ci siano, ma credo che il problema, per superarle o per scavalcarle de imperio, sia molto più complesso dell’interesse dei club eccellenti, la mia impressione è che non si vogliano toccare gli interessi degli altri, per quanto minimi, per poter gestire al meglio i propri.
        mi spiego, mettiamo i 3 soggetti in fila, fir gestisce accademie e nazionale, celtiche il loro orticello (stacco per un attimo zebre dalla fed per comodità), eccellenti il loro praticello ed i loro 500 appassionati.
        facendo sistema tutti dovrebbero rinunciare a parte della loro autonomia, anche finanziaria e decisionale, per interagire con gli altri, si è già visto come per prima una celtica abbia messo dei paletti irragiungibili per poter creare franchigia, tanto la fed è sempre disposta a fare, ma ne porta a fondo i discorsi ne, tantomeno, si impone, le domestiche fanno un passo avanti e poi o mezzo indietro o stanno ad aspettare che gli altri gli chiedano qualcosa.
        immagina la fed che debba dire alla domestica x che è parte di franchigia e che quindi deve garantirgli soldi e know how per tutta la filiera, pagare l’accademia alla celtica e al massimo poter indicare la rotta, la celtica deve pagare la domestica per l’uso dei giocatori, gestire l’accademia con l’interferenza federale e dover equilibrare l’uso dei giocatori juniores e seniores con la domestica, la domestica dovrebbe sempre lavorare in prospettiva della celtica rinunciando ai migliori giocatori e al suo pubblico…. non vedo nessuno dei tre soggetti molto interessato.
        detto ciò sono convinto che ci siano realtà che per motivi assolutamente opposti (chi lavora bene sul vivaio o chi lavora principalmente di scouting), che non avrebbero grandi problemi a far parte di un sistema complesso, altri molto radicati sì.
        però è la testa che deve creare il sistema, non certo la coda

      3. Gian, quando si parla di copiare i sistemi celtici, quello scozzese in particolare, si parla proprio di questo, una federazione che è in condizione di imporre la linea, perchè (come qua) i soldi che fanno girare il movimento son frutto degli introiti garantiti dalla nazionale, le franchigie sono federali e quindi può imporre ai club di essere parte della franchigia stessa e così non hanno problemi di interessi in conflitto.

  4. lo trovo fin troppo “violento” nel suo crudo realismo, qualcosa in più c’è da salvare, quanto la potenziale qualità media del materiale umano, però il sale l’ha messo esattamente dove sono le piaghe, attendo con impazienza difese e contestazioni.
    comincio io:
    basta paolo, devi finirla di pubblicizzare i tuoi amichetti disfattisti, non hai vinto le elezioni perchè tu (e i tuoi amichetti) si sapeva aveste fatto peggissimo, fattene una ragione!!!1!123 😉

  5. Alcuni punti condivisibili ,altri molto meno francamente.
    Condivido il pensiero di Hro: preferisco confrontarmi con i più forti che con quelli più deboli di me . Solo così si cresce. Discorso che vale sia per il campionato celtico che per la Nazionale
    Personalnente credo che la luce infondo al tunnel sia ancora ben lontana.. L’unica cosa che mi fa essere fiducioso è che se deciso finalmente di prendere il toro per le corna.
    Ho letto che OS ha detto che solo dopo il mondiale molto probabilmente entreremo nella top ten. Ci attendono altri anni come l’ultimo,ficchiamocelo in testa. Nonostante questo io ho fatto l’abbonamento alle partite interne dell’Italia. Per quanti mi riguarda si rema anche così

  6. Ora CJ Stander ha ricevuto,sembra, un’offerta di oltre 800000Euro da Montpellier.
    Quanto è l’ intero budget di Rovigo per esempio?
    Come porre rimedio e trovare soluzione a questo problema? Sempre per esempio?
    E non è un problema del rugby.
    Nel calcio vengono in italia solo gli svarti.
    Nel ciclismo non abbiamo una squadra pro degna di questo nome.
    Nel basket solo stranieri per giunta scartati dagli altri.
    Perché il rugby dovrebbe essere diverso?
    E dove sarebbe la Benetton senza il contributo FIR?
    Economicamente non possiamo competer con gli altr quindi non ci resta che scommetterw sui nostri giovani ovvero su noi stessi.
    Ravagnani chi? Big mouth come il 99.99% degli addetti ai lavori me compreso che sono addetto a niente!

  7. Sciorinare analisi più o meno professionali o approfondire sul passato serve francamente a poco. Ognuno ha la sua.
    Caso mai, di qualche utilità sarebbe ipotizzare cosa fare oggi di diverso rispetto a quanto si fa. Evitando, magari, di dire che bisogna fare come la Scozia o come la Nuova Zelanda.

    1. Ecco qua una proposta di cosa fare nell’immediato: evitare di mettere ripetutamente in contemporanea dei match molto sentiti, quali il derby celtico Treviso Zebre e il derby domestico Rovigo Petrarca che si terranno sabato alle 15. Quindi, per generalizzare il discorso, iniziare a stillare una programmazione delle partite usando logica e buon senso, creando un efficace coordinamento fra le varie realtà.

      1. Penso che l’orario delle celtiche sia fissato dal board. Sono i nostri com-paesani che non riescono a vedere più in là del cartello del confine comunale. Cosa ci voleva ai presidenti spendere una telefonata: “Tè che disèt? Se pode miga spostà la partita de un par de ore?” E aggiungo io “Pota ciààt!”
        Poi magari ci hanno provato e noi non lo sapremo mai

    2. Riformare il movimento, ingaggiando tecnici stranieri, che formino i tecnici indigeni, così da poter istruire come si conviene, a partire dal mini rugby e a salire, i giocatori; obbligare i club in una struttura piramidale, suddivisa territorialmente, che veda come punto di riferimento le due franchigie, in funzione del vertice rappresentato dalla Nazionale; ascensore bidirezionale, tra tutte le componenti della piramide stessa; accademie direttamente legate alle franchigie, che disputino il massimo campionato domestico. Penso che questo sarebbe un buon inizio, per semplificare avrei fatto prima a dire di fare come in Scozia, ma siamo sotto le festività invernali e voglio farti un regalo.

      1. hai elencato tutte cose che ci si è rifiutati di fare per parecchi anni. Altre che ci si rifiuta di fare tuttora. E a quelle fatte ci si è arrivati perché non ci sono più soldi.

  8. E quindi, Paolo, questo non vuol dire che in passato, come tuttora, non si è voluta seguire la strada necessaria, per favorire le resistenze di chi persegue solamente i propri piccoli interessi di bottega e non riesce a uscire dal proprio provincialismo autoreferenziale?!?!?

  9. Il punto più interessante per me è l’ultimo. Sarebbe meglio cercare di inseguire gli altri sul fast rugby, o lavorare per cercare di imporre il nostro ritmo? A me non dispiacerebbe nessuna delle due opzioni, ma temo che per la seconda, visto la direzione che World Rugby vuole dare a livello di regolamento, sia difficile.

  10. Senza fare analisi di ampio respiro, penso francamente che la lega dei club di Eccellenza che si sta per realizzare non cambierà quasi nulla se il format generale del rugby nostrano rimane tale. Non vorrei fare il guastafeste, perchè la formazione di questa lega è comunque un tentativo lodevole ed è pur sempre meglio l’essere che il nulla, ma non vedo come si possa promuovere un prodotto in queste condizioni.
    Primo. Il meglio del rugby italiano non gioca in questa categoria ed è comunque perfino deriso da chi è meno pratico delle questioni, cioè la grande maggioranza dei potenziali 60 milioni di appassionati di rugby, per usare un’altra delle parole che avrebbe potuto apparire nel titolo.
    Secondo. I ragazzi migliori sono presi nelle Accademie e crescono senza lo spirito di rivalità che costituiva il sale del rugby italico.
    Per cui,
    – La conclusione è che è stato distrutto il campionato, sacrificato sull’altare di due franchigie nate senza una cultura della territorialità e vere proprie idrovore di risorse economiche federali, senza corrispettivi risultati dignitosi…
    non ha vie d’uscita per l’attuale Eccellenza. Che si sono persi anni è evidentissimo, e il nazionalista che se lo sente dire tra le righe anche da O’Shea farebbe bene a non offendersi, ma a prenderne atto. Ma questo è l’ultimo tentativo di costruire qualcosa dalla struttura federale. Se fallisce anche questo, è davvero meglio fare un paio di riflessioni, come ha già fatto capire Parisse, e guardare onestamente in faccia ai risultati ottenuti con due franchigie in Celtic League.

  11. Le “Geremiadi” raccolte in questi pochi post sono esemplicative. Io non ho letto una sola parola su cosa si dovrebbe fare per farsi che il rugby diventi una scelta primaria nei genitori/ragazzi che desiderano far praticare una disciplina sportiva ai propri figli, né ho letto una sola parola sul come operare perché le attuali squadre di minirugby possano raddoppiare. Tutti danno per scontato che ” i ragazzi ci sono , basta allenarli meglio”, affermazione tipica di chi, purtroppo, per mancanza di tempo e/o di voglia, poco o nulla frequenta i luoghi dove i dodicenni e i quattoridicenni si allenano. Lo sport si fa con gli atleti.

    Solo il buon HRO insiste sul modello scozzese ( irlandese, inglese, gallese), peccato sia del tutto inattuabile, salvo cambiare la scuola.

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