ROCK RUCK RUGBY: di Eccellenza, coppe e cose celtiche. E il nostro “grazie” a Carlo Festuccia

Di nuovo dietro ai microfoni, di nuovo con la cuffia in testa: il Grillotalpa e Antonio Raimondi tornano con il podcast ovale più bello che c’è.
Temi della puntata sono le semifinali celtiche, una analisi della finale di Champions Cup che ha visto trionfare ancora una volta i Saracens. Con Vittorio Munari parliamo del lunghissimo momento di stasi del nostro movimento, per le semifinali di Eccellenza graditissimo ospite è Umberto Casellato. Infine una chiacchierata con Carlo Festuccia, che ha da poco annunciato l’addio al rugby giocato ma di cui sentiremo prestissimo di nuovo parlare dalle nostre parti…
Qui sotto potete ascoltare o scaricare la puntata. Per il supporto tecnico si ringrazia come sempre PES!

Problemi da emisfero sud: Australia, un paese che sta “dimenticando” il rugby a 15?

Un documento ufficiale del governo del paese down under dice che il rugby (union) non è nella lista dei 20 sport più praticati

Parliamo spesso, spessissimo di Italia e del suo movimento. Cosa ovviamente inevitabile, ma questo continuo guardarsi l’ombelico ci fa perdere – a volte – il panorama generale in cui si muove il nostro rugby. E a volte anche altri, con nomi (storie, tradizioni) ben più blasonati, passano dei brutti quarti d’ora. Ok, problemi diversi, un po’ come quello che era abituato al filetto e deve magari accontentarsi di un taglio meno nobile mentre noi siamo dalle parti della scelta tra toast e tramezzino.
L’Inghilterra – ad esempio – ha passato qualche anno di crisi da risultati agonistici, la Francia deve registrare meglio il rapporto club-federazione, Irlanda e Scozia hanno messo mano a una produzione (bruttissima parola, ma rende l’idea) di giocatori forse quantitativamente non all’altezza della bisogna. Ci sono i sudafricani, bravissimi a complicarsi la vita da soli. Chi non sembra avere mai problemi, o quasi, è la Nuova Zelanda, ma dalle quelle parti hanno dovuto aspettare 20 anni per vincere un Mondiale pur presentandosi ogni volta al nastro di partenza da favoritissimi. Qualche meccanismo da oliare c’era anche lì, quindi. Va da sé che si tratta di un elenco fatto su due piedi, che questi sono solo alcuni dei problemi che attanagliano qualsiasi movimento. Il paradiso in terra, anche ad Ovalia, non esiste.

C’è poi il caso Australia. Sono capitato per caso su un documento dell’Australian Sports Commission, l’ufficio governativo che si occupa di gestire la pratica sportiva in senso lato nella terra dei canguri. Sul sito ufficiale si legge che “11,3 million Australian adults participate in sport or physical activity three or more times per week” e che “17 million Australian adults participate in a sport or physical activity every year”. Senza dimenticare i più piccoli: “3,2 million Australian children participate in organised sport or physical activity outside of school”, il tutto un paese dove lo sport è parte integrante di (quasi) ogni tipo e livello di scuola. Il contrario di quanto avviene alle nostre latitudini. Ah: l’Australia ha in tutto 24 milioni di abitanti: la percentuale di chi pratica sport in maniera abituale e continua è quindi molto elevata.

Un quadro favorevole (eufemismo) alle discipline sportive. Come è messo il rugby? Male. Malissimo. Perché abbiamo sempre detto che il nostro amato sport deve battagliare con il calcio, il football australiano e – ovviamente – il rugby a 13. Ma l’AusPlay survey, ovvero il documento di cui sopra, ci dice che la situazione in cui si trova a dibattere l’ARU è molto più complicata. Guardate un po’ pure voi:

Rugby a 15 presente solo tra i bambini e nella parte bassa della classifica. C’è poi la classifica aggregata, diciamo così, sotto la dicitura “Club sport (Adults and Children combined) Top activities che vi presento nell’ultimo update di fine aprile:

Dove è il rugby a 15? Secondo il numero di All Rugby in edicola ora è addirittura al 24° posto. Possibilissimo. Non conosco le dinamiche demografiche e culturali della società australiana, ma come dicevo prima stiamo parlando di una realtà in cui lo sport è largamente praticato e in cui non manca certo una cultura sportiva. Dice: sì, ma una cosa è dover fare a gomitate in un panorama di questo tipo, un’altra è dover guerreggiare con un mostro a mille teste come il calcio in un paese con poca cultura sportiva e ove si fa sport solo fuori dalla scuola. Vero, ma l’intenzione non era quella di fare un paragone Italia/Australia, ma di presentare un aspetto (non l’unico) che negli ultimi anni sta minando uno dei movimenti-cardine del rugby mondiale.

Rock Ruck Rugby: un podcast che sa di Leoni di Treviso e profuma di Champions Cup

Il Grillotalpa e Antonio Raimondi di nuovo con le cuffie e di nuovo davanti a un microfono per il podcast ovale più bello d’Italia (o almeno ci si prova…)!
Un appuntamento che parte dalla fine del Sei Nazioni per gettarsi tra le braccia biancoverdi del Benetton Treviso uscito vittorioso dalla partita con gli Ospreys: ne parliamo con Marius Goosen. Graditissimo ospite – come sempre – anche Vittorio Munari, con cui affrontiamo il tema Champions Cup, anche in chiave italiana…
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Dal “paradigma Nadolo” ai punti di bonus con vista sul Galles: il Sei Nazioni arriva nel Tinello di Vittorio Munari

Ancora qualche giorno e finalmente si parte: Scozia-Irlanda e Inghilterra-Francia (sabato 4 febbraio ), poi Italia-Galles (domenica 5) danno il via al torneo più atteso e amato dell’emisfero nord. Vittorio Munari ci presenta l’edizione 2017 partendo dalla sua novità più importante, ovvero l’introduzione dei punti di bonus, per chiudere poi con alcune considerazioni sulla sfida dello stadio Olimpico.
Che dire… kick-off!

In avanti popolo! – Francia, Inghilterra e Italia: affinità e divergenze tra Leghe di club che ci sono o ancora da venire

leghe

Quello che leggete qui sopra è l’articolo 8 dello Statuto FIR attualmente in vigore. Se domani mattina venisse annunciata la nascita della Lega dei Club la normativa quadro e le regole a cui questa nuova entità si dovrebbe sottoporre sarebbe questa.
Facciamo un salto in Francia. Ieri il neopresidente della federazione francese Bernard Laporte ha rilasciato una intervista a Le Monde. Laporte è stato a lungo capo allenatore del Tolone di quel Mourad Boudjellal che è da sempre tra i più strenui sostenitori della LNR – la Lega dei Club transalpina – e comunque delle prerogative delle società nei confronti di nazionale e federazione. E cosa dice il numero uno del rugby francese eletto a inizio dicembre? “Se è possibile gestire il Top 14 senza la LNR? Sì, certo, la FFR può”. Ma Laporte non si accontenta, e decide di toccarla piano anche sul lato economico: “Tutti i diritti commerciali della Lega appartengono alla FFR. Quando diciamo che la FFR ha un budget di 115 o 120 milioni di euro è falso. Il bilancio è di € 260 milioni perché prende anche i 140 milioni di euro che vengono dalla LNR”.

La dialettica club-federazioni non è delle più semplici e tranquille, non sempre almeno, si tratta di entità con fini e interessi diversi che si trovano a nuotare nello stesso mare: a volte vanno a braccetto, a volte no. In Francia però nel Comité Directeur della FFR, paragonabile al nostro Consiglio Federale, ci sono tre membri della LNR. LNR che oltre a gestire il TOP 14 e il Pro D2 sbriga anche i compiti della giustizia sportiva.
E in Inghilterra? OltreManica da una parte c’è la RFU, dall’altra la Premiership Rugby Limited che rappresenta i club, totalmente esterna alla federazione. La PRL gestisce il campionato ma non la giustizia sportiva.
Francia e Inghilterra perciò differiscono sotto alcuni aspetti ma in entrambi i casi le locali Leghe di Club sono istituzionalmente ed economicamente autonome e hanno vari strumenti per farsi sentire. Non solo, siedono anche nei posti giusti per farlo: sia LNR che PRL hanno una poltrona nel board della EPCR (assieme alle regions gallesi riunite sotto la sigla Pro Rugby Wales), l’ente che organizza e gestisce le Champions e Challenge Cup.

In Italia che panorama avremmo? Non semplice dirlo. Lo Statuto FIR parla di “funzioni propositive e consultive”, ma oggi come oggi i club non hanno un posto in Consiglio Federale a loro riservato. Sì, d’accordo, i delegati delle società votano i consiglieri federali, ma non è la stessa cosa.
Come ho scritto e detto più volte sono personalmente convinto dell’utilità di una simile organizzazione nel nostro movimento, che il fatto che la LIRE sia implosa meno di 10 anni fa (non che siano mancate anche delle spinte esterne perché tutta la costruzione crollasse) non deve frenare dal pensare del rimetterla in piedi. Però le cose vanno fatte bene, con un po’ di sale in zucca se si vuole che poi funzionino a dovere.
Per le dinamiche politiche del nostro Paese – espressione da intendere in senso lato – e per la nostra prassi istituzionale una Lega realmente autonoma e propositiva certo non farebbe felice la FIR, abituata a gestire il movimento nella sua pressoché totale complessità. Frizioni non mancherebbero.
Da parte loro i club devono trovare una quadra istituzionale, unità d’intenti, una prospettiva davvero comune e un’autonomia economica che non sembra affatto facile raggiungere. Soprattutto una capacità manageriale che oggi latita. Ma grandi alternative non ce ne sono, a meno che non si voglia il solito pastrocchio all’italiana che non servirebbe a nulla.In quel caso, meglio lo status quo.

PS: domani il tema della Lega dei Club verrà toccato assieme ad altre problematiche in una intervista fatta dal Grillotalpa a un importante rappresentante del rugby italiano.