Quello che leggete qui sopra è l’articolo 8 dello Statuto FIR attualmente in vigore. Se domani mattina venisse annunciata la nascita della Lega dei Club la normativa quadro e le regole a cui questa nuova entità si dovrebbe sottoporre sarebbe questa.
Facciamo un salto in Francia. Ieri il neopresidente della federazione francese Bernard Laporte ha rilasciato una intervista a Le Monde. Laporte è stato a lungo capo allenatore del Tolone di quel Mourad Boudjellal che è da sempre tra i più strenui sostenitori della LNR – la Lega dei Club transalpina – e comunque delle prerogative delle società nei confronti di nazionale e federazione. E cosa dice il numero uno del rugby francese eletto a inizio dicembre? “Se è possibile gestire il Top 14 senza la LNR? Sì, certo, la FFR può”. Ma Laporte non si accontenta, e decide di toccarla piano anche sul lato economico: “Tutti i diritti commerciali della Lega appartengono alla FFR. Quando diciamo che la FFR ha un budget di 115 o 120 milioni di euro è falso. Il bilancio è di € 260 milioni perché prende anche i 140 milioni di euro che vengono dalla LNR”.
La dialettica club-federazioni non è delle più semplici e tranquille, non sempre almeno, si tratta di entità con fini e interessi diversi che si trovano a nuotare nello stesso mare: a volte vanno a braccetto, a volte no. In Francia però nel Comité Directeur della FFR, paragonabile al nostro Consiglio Federale, ci sono tre membri della LNR. LNR che oltre a gestire il TOP 14 e il Pro D2 sbriga anche i compiti della giustizia sportiva.
E in Inghilterra? OltreManica da una parte c’è la RFU, dall’altra la Premiership Rugby Limited che rappresenta i club, totalmente esterna alla federazione. La PRL gestisce il campionato ma non la giustizia sportiva.
Francia e Inghilterra perciò differiscono sotto alcuni aspetti ma in entrambi i casi le locali Leghe di Club sono istituzionalmente ed economicamente autonome e hanno vari strumenti per farsi sentire. Non solo, siedono anche nei posti giusti per farlo: sia LNR che PRL hanno una poltrona nel board della EPCR (assieme alle regions gallesi riunite sotto la sigla Pro Rugby Wales), l’ente che organizza e gestisce le Champions e Challenge Cup.
In Italia che panorama avremmo? Non semplice dirlo. Lo Statuto FIR parla di “funzioni propositive e consultive”, ma oggi come oggi i club non hanno un posto in Consiglio Federale a loro riservato. Sì, d’accordo, i delegati delle società votano i consiglieri federali, ma non è la stessa cosa.
Come ho scritto e detto più volte sono personalmente convinto dell’utilità di una simile organizzazione nel nostro movimento, che il fatto che la LIRE sia implosa meno di 10 anni fa (non che siano mancate anche delle spinte esterne perché tutta la costruzione crollasse) non deve frenare dal pensare del rimetterla in piedi. Però le cose vanno fatte bene, con un po’ di sale in zucca se si vuole che poi funzionino a dovere.
Per le dinamiche politiche del nostro Paese – espressione da intendere in senso lato – e per la nostra prassi istituzionale una Lega realmente autonoma e propositiva certo non farebbe felice la FIR, abituata a gestire il movimento nella sua pressoché totale complessità. Frizioni non mancherebbero.
Da parte loro i club devono trovare una quadra istituzionale, unità d’intenti, una prospettiva davvero comune e un’autonomia economica che non sembra affatto facile raggiungere. Soprattutto una capacità manageriale che oggi latita. Ma grandi alternative non ce ne sono, a meno che non si voglia il solito pastrocchio all’italiana che non servirebbe a nulla.In quel caso, meglio lo status quo.
PS: domani il tema della Lega dei Club verrà toccato assieme ad altre problematiche in una intervista fatta dal Grillotalpa a un importante rappresentante del rugby italiano.
Anch’io concordo che una Lega aiuterebbe il consolidarsi del rugby di vertice. Chiaramente il confronto con la lega francese è improponibile. Ma una serie di sponsor legati a 10/15.000 contatti unici settimanali ( grazie allo streaming esistente) potrebbero saltar fuori.
La realtà odierna è determinata da un’eccellenza più semipro che interamente pro. Ma lo spazio per crescere ci sarebbe.
In ogni caso, una realtà in più in grado di dialogare, nel sistema FIR, non farebbe di certo male.
L’esempio lega Pro nel calcio docet. La gestione dei permit sarebbe il primo banco di prova.
Le società sembrano convinte ( a parte Rovigo, la cui opposizione è più di forma che di sostanza) non resta che aspettare.
Io resto sempre dell’opinione che la lega dei club se fatta debba essere fatta con l’intento di rilanciare il campionato italiano col fine di staccarsi dal Pro 12. far nascere oggi una lega di club in concomitanza al Pro 12 ha senso se la si vuol far nascere per falra crescere senza la pressione dell’intero movimento sulle spalle ma comunque con l’obiettivo di staccarsi poi dal Pro 12 una volta che la Lega ha le sue gambe.
L’idea di avere Pro 12 ed un campionato nazionale di alto livello vero e proprioe’ una chimera, e nessuno e’ ancora oggi riuscito a spiegarmi come cio’ possa avvenire in Italia quando Scozia, IRlanda e Galles con movimenti ben piu’ maturi di quello italiano ci hanno rinunciato da tempo, e chi piu’ chi meno, chi chiudendo un occhio e chi no e’ passato ad avere campionati nazionali al massimo semipro…e molto piu’ semi che pro.
che poi dire semi-pro mica è un offesa, semmai va inteso come un percorso di preparazione a quello che è il rugby di alto livello. Per questo se lega deve essere che coinvolga anche le realtà di serie A che ormai sempre di più riducono il gap con i team di Eccellenza.
La differenza con le leghe straniere purtroppo rimangono sempre i soldi che girano intorno al movimento, troppo pochi da noi per attirare investitori. E se questi ci fossero, di contr altare vorrebbero trovare dei dirigenti federali più smart e pronti a modificare velocemente ciò che è necessario. Stiamo ancora a parlare di doppio tesseramento e accademie celtiche dopo anni di celtic
Ian c’e’ una cosa che non ho scritto sopra perche’ per me ovvia: paraganore una potenziale Lega Italiana con LNR e PRL per m e’ paragonare mele con patate, ma essenzialmente per un motivo: LNR e PRL si interfacciano con al federazione per questioni “macro” se capisci cosa intendo, non hanno un sistema di franchigie pro che partecipano ad un campionato separato che faccia da plateau alla lega/campionato nazionale! LNR e PRL gestiscono il livello piu’ alto dell’attivita per club del loro movimento, una eventuale lega italiana non farebbe questo…LNR e PRL non sono in cotrapposizione e neanche in collaborazione con una sistema di franchigie.
Se la questione e’ doppi tesseramenti, permit ecc non hai bisogno di una lega in realta’ ma la puoi fare molto piu’ semplice, suddivisione geografica per club di eccellenza ed a per le due franchigie ed i club di A ed Eccellenza si scelgono un rappresentante per ciascuna area geografica per interfacciarsi con FIR e Franchigia di riferimento, downgrade dei campionati nazionali e via. Certo accetti che i Cammi escano come sponsors, che i Melegari e Zambelli escano come finanziatori e accetti che i tuooi campionati nazionali siano semi pro/amatoriali, con regole su utilizzo di giocatori pro come avviene qua in AIL che puoi mica scheirare 10 giocatori del Leinster o Munster che sia non impegnati nel week end per UCD o Young Munster.
Bè a dire la verità Cammi mi sembra sia uscito e Zambelli ogni due per tre minaccia di farlo, quindi prima di trovarsi spiazzati dall abbandono di qualche mecenate, io ristrutturerei il tutto e va benissimo come dici tu, in fondo in casa gallese la welsh premiership dà spazio a tanti talenti di emergere oltre che far campare tanti mestieranti.
Da sempre mi auguro che anche in Italia ci possa essere una zonizzazione del rugby in modo da dare spazio a più realtà di tutto il territorio
Ian certo che Cammi e’ uscito, certo che Zambelli minaccia, certo che Melegari e’ gia’ uscito…ma si decida cosa si vuol fare senza illudersi di poter tenere i piedi in due staffe…si cade sempre la’ su quello che dico da anni: si decida e ci si strutturi di conseguenza ma non ci si racconti di poter avere la moglie ubriaca e la botte piena.
Il sistema francese è paragonabile all’Italia nel punto di partenza. L’Italia non ha e non avrà un sistema territoriale di sviluppo e rappresentanza nel rugby come quello delle province nei sistemi anglosassoni. Come non l’ha la Francia. Il Prod2 esiste come parte funzionale del T14 e non vedo perché l’eccellenza non potrebbe diventarlo dellle due Pro12 italiane.
Pro D2 funzionale al T14 la drvi spiegare…non mi sembra che Pau o Lyon o altre squadre abbiano fatto da cantere per il T14…ma vabbeh…couqneu sia non hanno un sistema di franchigie federali o semifederali con cui rapportari come invece Galles, Scozia, Irlanda ed ora Italia hanno che rende la struttura piramidale tutta diversa.
Prima ed ultima volta che ti rispondo, gradirei non dover interagire con te.
Credo che incornicerò queste frasi, perchè come i pezzi unici varranno un sacco di soldi negli anni a venire, ma a me, di interloquire con te, interessa veramente poco.
Sara’ ma non ,manchi occasione nel cercare di provocare…mentre io ti ho ignorato di la’ per mesi prima che tu ti facessi cacciare e fino ad oggi ti ho ignorato qua…ho zero stima di te e non ti cerco, hai zero stima di me? Non cercarmi!
Oooh !
Così vi voglio : maschi, virili e pelosi !
Altro che le vostre cugine…
Hai un ego di non poco conto (quasi quanto il mio). Lungi da me il provocarti non hai l’ironia sufficiente, se ti ho dato questa impressione è sbagliata.
tu l’ironia non sai neanche cosa sia quando scrivi nel blog…saluti!
Stefo, sono felice che finalmente tu sia daccordo con me SU QUALCOSA 😉 :D, la partecipazione al Pro12 (che sia, come ritengo io, o meno, come ritieni tu. l’ unico mezzo per avere un Rugby professionistico, degno di questo nome, in Italia, non importa.) esclude un campionato con velleita pro, o semi pro, dove il “pro” sia più marcato del “semi”; io sono anni che porto ad esempio come le Unions celtiche, che, come dici tu, hanno movimenti ben più maturi e strutturati di quello italiano, abbiano impostato campionati nazionali dilettantistico/spinti, ma sono arrivato a capire che il movimento rugbystico italiano soffre di una forma acuta di …MEGALOMANIA!!
ro guarda che io lo dico dal primo anno della CL che il campionato italiano pro non puo’ coesistere col Pro 12 che bisogna decidersi quale struttura si vuole e comportarsi di consegueza…dal primo anno che lo dico.
Lo so, lo so, era per sottolineare che al meno su questo siamo…DACCORDO!!!! 😀
A me sembra che con il downgrade di fatto che vive l’Eccellenza il livello del campionato sia migliorato ma quello di A sia sceso di livello e mi sembra abbastanza ovvio: i ragazzi hanno finalmente spazio lì ed è ovvio che tra Reggio e Colorno, una volta che l’impegno e le pretese (ma anche lo spazio per giocare e la qualità dell’ambiente) tendano ad equivalersi, scelgano la categoria superiore. L’anomalia sono stati gli anni in cui succedeva che la A esprimesse gioco e ritmi superiori e l’Eccellenza fosse spesso lentissima, fallosa e inguardabile. Il paniere da cui si prendono le mele per fare lo strudel è lo stesso, se ne metti di più da una parte le togli all’altro. Ma per me è un processo virtuoso: uno dei nostri problemi storici è che perdiamo giocatori (di ogni livello) per colpa di una struttura dilettantesca (non dilettantistica) che pretenderebbe da dei dilettanti prestazioni da professionisti. Se anche si dovesse tornare a un rugby autarchico non potremmo certo immaginare campionati come quello francese e inglese, per cui, Celtic o meno, per me la strada di Calvisano o più modestamente dei Lyons (gran bella partita di gente come Masselli e Riedo, per esempio) è quella giusta. Il Petrarca quest’anno ha speso un botto con i 400K, ma è riemerso dai problemi finanziari prima, con una squadra giovanissima e fatta in casa che è andata a prenderseli. Una Lega serve? Non saprei, la posizione di Rovigo che ha contestato la mancanza delle celtiche non è per niente peregrina o pretestuosa: capire di chi e di cosa si stia parlando è indispensabile. Le Leghe hanno senso in un ambito pro: lo Statuto FIR è tipico di una federazione che gestisca uno sport dilettantistico: che poi sia dilettantistico formalmente o meno, è un altro dei nostri problemi. C’è una ambiguità di fondo, che viene da lontano, ma l’equilibrio del sistema (un equilibrio sia chiaro fatto di declino tecnico, agonistico, economico, di pubblico, di fallimenti e di conti non pagati) si è rotto con le due squadre ufficialmente pro. Il professionismo/dilettantismo del nostro rugby è un nodo gordiano, non so davvero quale sia il pezzo di corda da tenere e quello da buttare, ma va tagliato. So che, a oggi e a domani, in ogni caso un rugby autarchico rispetto al professionismo non potrà che essere “modello esportazione”: come l’Argentina per un paragone alto, come la Georgia per essere brutali. Dopodomani magari potrà essere anche diverso, ma ad oggi facciamo fatica a reggere due squadre pro, con risultati disastrosi e solo grazie a imponenti risorse federali. E a dopodomani bisogna decidere adesso come arrivarci, tenendo conto che comunque sarà un percorso lungo e che in Celtic bisogna comunque starci almeno fino a che vigono i contratti.
Ciao, sul fatto che il Rugby italiano, per il momento, non abbia una profondità qualitativae quantitativa da poter esprimere due entità pro di adeguato valore, sono daccordo con te, speriamo che sia possibile in futuro; sul discorso che per mantenerle siano necessari imponenti investimenti federali è lapalissiano e qui si evidenzia quella sindrope di miope megalomania di cui parlavo sopra, il Rugby, di vero livello pro, con entità private in Italia non è possibile, allora basterebbe che la Federazione, ma una federazione, seria, con gli attributi e con il bene del movimento come intento, imponesse delle franchigie, una o due, spieganda che devono servire a far si che la nostra partecipazione al 6Ns possa continuare in maniera decente, dato che è dalla Nazionale che derivano gli introiti che, ormai, foraggiano l’ intero movimento ed il resto degli interlocutori? Obbedire, …allineati, coperti e…fedeli alla linea!!!! 😀
Se mantieni due franchigie (ok, diciamo una e trequarti) fallimentari e ti restano solo gli spiccioli, cioè appena il 5%, da reinvestire sulla base, tu federazione ti stai segando il ramo su cui siedi. Le franchigie, senza alimentazione dal basso, muoiono per prosciugamento.
Giova, non per essere ripetitivo, ma risparmiando i 400.000 € della partecipazione alla Coppetta degli…”sfigati”, tantissimo non ci si farà, ma son sempre soldini che uno potrebbe investire in base e formazione.
Sempre che li si voglia investire davvero in “base e formazione”… 😉
Ciao Hroth, la Scozia come giocatori non sta poi tanto meglio di noi se la Federazione ha addirittura un ufficio ad hoc per la pesca e le facilitazioni agli equiparabili. In confronto, la nostra pesca al mandolone in SA è quasi etica: patetica. Stanno di sicuro meglio quanto ad organizzazione delle franchigie, meglissimo come conduzione tecnica di franchigie e nazionale prima che arrivasse O’S e compagnia in nazionale e Crowley a Treviso (per quanto non impazzisca per Cotter). E che spendano troppo per la Celtic lo sanno benissimo, visto che cercano con molta urgenza di privatizzare. Quest’ultima non è una critica, anzi, dimostrano di essere flessibili e non ideologici, e di affrontare i problemi anziché mettere la testa sotto alla sabbia e il culo al vento. Tanto è vero che decidono di buttare un bel po’ di risorse nel rugby domestico e di base. Da noi non c’è solo la Celtic a sfondare il bilancio ma tutto un sistema dispendiosissimo e folle di selezione al posto della formazione e dello sviluppo dei campionati, giovanili e non. Per poi far felici i tifosi di Glasgow, esattamente come facevamo felici quelli dello Stade, dei Sarries o di Biarritz senza accademie federali.
Ho scritto “al meno” invece di “almeno”, che….ASINO!!!!!!
Stai ancora smaltendo i festeggiamenti del Burns Day… 😉
L’ ho saltata, per impegni professionali, ma gli amici dal pub, tanto per rigirare il dito nella piaga, mi inviavano i video con l’ haggis ed i pipers che suonavano!!!!
Te l’ hai celebrata?
Il 25 gennaio di ogni anno la Scozia celebra una serata un po’ speciale: la Burns’ Night.
Quel giorno si festeggia la nascita di un poeta che ha saputo raccontare la Scozia come nessun altro ha mai fatto: Robert Burns. Nacque alla fine del Settecento in una zona particolare della Scozia: l’estremo sud, le Lowlands e precismente ad Alloway.
La celebrità di Burns nella sua terra è proprio indiscussa. Burns scrisse le sue opere in un’epoca in cui gli scozzesi avevano bisogno di qualcuno che ricordasse loro pubblicamente di quanto forte e bello fosse provenire da quella terra a nord della Gran Bretagna. Ecco perché divenne un eroe a furor di popolo. Egli, come successe anche con Walter Scott, diede energia ai movimenti nazionalisti che, fino al secolo scorso, animavano caldamente le giornate degli scozzesi.
Nella serata dedicata a Rober Burns si mangia solo haggis.
Haggis, cucina tradizionale – Scozia
Sapete cosa si nasconde dietro alla parola haggis? Si tratta del re dei piatti scozzesi, ovvero una sorta di polpettone composto da interiora macinate e impastate con farina di avena, cucinate a vapore dentro lo stomaco di una pecora.
Prima che vi facciate venire mal di stomaco, vi dico che non è poi così terribile come sembra. Anzi.
Se ve lo presentassero davanti e non vi dicessero che sono interiora macinate, lo mangereste senza battere ciglio. L’unica battuta che vi verrebbe da fare è “cavolo, quanto pepe!”.
La preparazione dell’haggis è un’arte e ci sono macellai che fanno solo quello in Scozia.
Questa carne non puzza, non è disgustosa e vi chiede solo di essere assaggiata. Magari proprio durante una Burns’ Night o Burns Supper, come viene chiamata da quelle parti.
Durante la cena del 25 gennaio si svolge un vero e proprio rito che vuole celebrare la Scozia attraverso il ricordo del suo poeta nazionale e grazie a quel piatto di cui tutti parlano e che pochi viaggiatori osano assaggiare.
Haggis, cucina tradizionale – Scozia
La serata comincia con una sorta di benedizione che si chiama Selkirk Grace. Si tratta di una vera e propria preghiera in cui si ringrazia per la cena.
La seconda parte di questo rito prevede che si reciti l’Ode all’Haggis, scritta da Burns. Inizia così:
Fair fa’ your honest, sonsie face,
Great Chieftan o’ the Puddin-race!
Sapete che in molti menu di ristoranti e pub il mitico haggis è proprio chiamato “Great Chieftain of the pudding race” (“gran condottiero dei polpettoni”)? È proprio grazie a Burns che si è guadagnato questo soprannome.
La serata è davvero solenne nel cuore degli scozzesi che affrontano questa cena in abiti tradizionali: gli uomini, infatti, sono in kilt da cerimonia!
La Burns Supper è uno di quei tanti riti a cui il popolo scozzese è fermamente ancorato. Racconta di tanti anni di lotte e di un futuro che deve ancora vedere il suo corso.
Se capitate in Scozia, magari ad Edimburgo, durante la Burns’ Night, vi consiglio di andare a fare un giro verso la zona di Stockbridge. Camminerete lungo Broughton Street e proprio verso la fine di questa via troverete Crombie & Sons.
Edimburgo, Scozia
Si tratta di una delle più famose macellerie della capitale scozzese. Vengono venduti anche dei piatti pronti e loro sono dei veri artisti dell’haggis: ne sfornano ad ogni ora.
Se volete assaggiare un pezzettino di questo piatto tradizionale, quella macelleria è il posto che fa per voi. Se proprio dovete tuffarvi nella storia di Scozia, scegliete il luogo migliore!
Gianni, sarai per sempre nel mio cuore!!!!
Come folgore dal cielo…|||
Nota di costume notevole, anche se tutti qui paiono portare il kilt.
Io porto una Colt
Già vedere i club alla riunione col beneplacito della federazione che gli fa “pat pat” sulla spalla, come dire “Si ragazzino, puoi andare al parco a giocare con gli amichetti”, fa ridere i polli…
Al di là dell’articolo da statuto albertino della FIR, a me pare che il rugby italiano campi all’insegna del “vorrei ma non posso, ma quant’è bello sognar”. Perchè questa Lega non chiamarla Dogi? Suona bene e si prendon due piccioni con una fava 😉 Franchigie o non franchigie, vorrei capire dove una costituenda Lega dei club affonderebbe le proprie radici: nei soldi della FIR? Negli investitori che fuggon via? Negli spalti semivuoti di molte piazze? Nei broadcaster che non si avvicinano più manco con la canna da pesca (e son curioso di vedere quanti abbonamenti hai, quando lo streaming passa da free a pay)? Le leghe citate da Paolo si basano tutte su quei fattori e, per estensione, si posson citare tutte le leghe professionistiche sportive del mondo, a cominciare da quelle americane (NBA, NFL & Co.). Nel momento in cui la Lega si sedesse ad un tavolo per discutere con i vertici FIR, su cosa potrebbe basare il proprio potere contrattuale? Come potrebbe rendersi autonoma su singole tematiche (come ad es.pagare un’assicurazione ai propri giocatori)?
OT: Paolo, aprirei il grillo anche solo per Lilja e Rodchenko.

Augurarsi la “zonizzazione del rugby” sul modello anglosassone significa considerare a valore zero, 160 anni di storia e tradizione sportiva e altrettanto un sistema scolastico che forma atleti a prescindere dallo sport che praticheranno dai 14 anni in poi.
Ora come si possa pensare che l’Italia possa colmare un gap di tale portata con un colpo di bacchetta magica e’ un bel mistero.
Tanto più che la vicenda “Dogi” e’ lì che langue attaccata alla bombola ad ossigeno.
Volendo ignorare la realtà si può amabilmente discutere quale possa essere il retino ( Galles, Irlanda, ……..) da sovrapporre all’Italia, ma credo sia appunto un discorso da bar privo di ogni collegamento reale. Io non dubito che nessuno di coloro che scrivono su questo blog abbia la minima fiducia del lavoro di Aboud, ma un minimo di prudenza, forse, sarebbe d’uopo. Anche se, vedi il caso O’Shea, di prendere scornate interessa poco o niente.
metti insieme capre e cavoli, da 160 anni fa ad oggi è passato un pò di tempo, il sistema scolastico non forma più giovani, nè tanto meno lo fa chi riceve 400k euro l anno per partecipare alla coppa del nonno…allargare il bacino d utenza del rugby darebbe solo spazio a chi per svariati motivi non riesce ad emergere nel rugby italo settentrionale. Non mi dire che questo lavoro lo svolgono le accademie perchè da quest anno a causa di carenze di fondi il campionato delle accademie non esiste più…almeno che non pensi che il sistema così e com’è vada bene….Sul lavoro di Aboud c’è ancora un alone di mistero, poco si sa sul suo mandato, ma per questo c’è ancora tempo…
A volte mi chiedo se sia così difficile da leggere l’italiano. 160 sono gli anni di storia organizzativa del rugby nei paesi anglosassoni , storia che non è ancora finita, e’ in essere.
Come poi tu possa dire che la scuola nei paesi anglosassoni non da formazione sportiva é, quantomeno, singolare. Il fatto che tu non conosca il lavoro di Aboud, é un problema tuo.
non avevo capito che il soggetto fosse il movimento inglese, anche perchè in Inghilterra la zonizzazione non c’è….su Aboud si sa che lavora con i giovani, ma come ancora non è chiaro, ma si sa che tu sei il più informato di tutti…
A me risulta che Aboud stia preparando un dossier su cosa fa, quanto guadagna come e con chi passa le vacanze italiane, da sottomettere per approvazione a coloro che sembra non possano dormire senza saperlo 😂😂😂