La (futuribile) Lega dei Club perde il suo portavoce. Il particolare vincerà sul generale?

Il presidente del San Donà Alberto Marusso non ricopre più il ruolo di portavoce del Coordinamento dei Club di Eccellenza da cui il mese prossimo dovrebbe rinascere la Lega delle società. Il motivo? Un “grave episodio” che vede coinvolta un’altra squadra del nostro domestic (la firma di Ambrosini con le Fiamme Oro, pare) . E’ solo un inciampo o un vero e proprio stop al progetto?

“Alberto Marusso non è più il portavoce del Coordinamento dei Club di Eccellenza. Sabato il presidente della Lafert San Donà ha comunicato agli altri nove colleghi e ai vertici federali la sua irrevocabile decisione, maturata per motivazioni esterne all’attività dell’organo”. La notizia la riporta la Nuova Venezia.
Un trafiletto per una notizia che però potrebbe avere effetti davvero importanti per il nostro movimento. Lo scorso 12 dicembre un comunicato annunciava i primi passi in vista della (ri)nascita della lega dei Club, istituzione che dalle nostre parti è stata affossata dai suoi stessi componenti verso la fine dei cosiddetti anni Zero e mai più ricostituita. Ecco cosa diceva quella nota: “Un portavoce e un tavolo permanente dei presidenti, per affrontare e risolvere le questioni più dirimenti in tempo utile per la prossima stagione, a partire dalla denominazione del campionato. Tra sei mesi, forti dell’esperienza che si auspica positiva, avverrà la nascita di una vera e propria Lega delle società d’Eccellenza del rugby italiano”.
Il portavoce designato era proprio quell’Alberto Marusso che ora lascia l’incarico e che alla Nuova Venezia ha rilasciato poche parole circa la motivazione della sua decisione: “Rinuncio all’incarico alla luce di una grave episodio che ha recentemente coinvolto il San Donà nei confronti di un altro Club di Eccellenza. Dovendo decidere con la massima libertà in che forma procedere a tutela dei nostri diritti, il ruolo di portavoce non era più compatibile con la situazione. Resto comunque fermamente convinto dell’importanza del progetto, di cui il mio Club continua a far parte”.

Una bega tra due società rischia di far naufragare un progetto che riguarda una fetta importantissima del movimento ovale del nostro paese.
Non conosciamo in via ufficiale i dettagli del contendere – secondo le indiscrezioni raccolte nella giornata di lunedì da questo blog il motivo sarebbe la firma di James Ambrosini con le Fiamme Oro – ma quello che qui ci interessa è la dinamica tra il particolare e il generale. Può sembrare una discussione sul sesso degli angeli ma esiste un limite oltre il quale il particolare deve far posto agli interessi generali? E viceversa? E se sì, quale è? Basta una firma di un giocatore in scadenza di contratto per far saltare il banco?
E’ chiaro che non è il San Donà (o qualsiasi altra società) a doversi occupare degli orientamenti generali del Movimento Italia, va da sé che i suoi primi interessi sono quelli specifici che lo riguardano direttamente, ma il San Donà (o qualsiasi altra società) fanno parte di una comunità che ha priorità diverse, più generali e meno particolari.
La decisione deve essere presa nel passo precedente: voglio io far parte di un’associazione di club che si occupi dei principali problemi di gestione del massimo campionato nazionale? Sì o no? Nel momento in cui si risponde in maniera affermativa bisogna essere consci che una parte del proprio particolare va in subordine agli interessi generali. Detta in maniera più brutale: gli interessi della collettività contano e pesano di più di quelli della singola società. E tutti i club devono aver ben presente questa cosa.

Ripetiamolo: un problema tra due società che rischia di far implodere prima della nascita una istituzione la cui mancanza si è sentita moltissimo in questi anni. Perché è innegabile che pur con tutti i suoi limiti un’associazione che rappresenti in via unitaria i club dell’Eccellenza dalle nostre parti servirebbe come il pane.
Due anni fa il progetto subì uno stop che sembrava letale perché qualcuno non ci credeva fino in fondo, oggi le premesse sembrano (o sembravano?) più solide, ma se chi ricopre il ruolo di portavoce decide di fare un passo indietro è evidente che esiste un problema piuttosto grosso, anche se fa sapere che “resto comunque fermamente convinto dell’importanza del progetto, di cui il mio Club continua a far parte”. Una frase che sa molto di circostanza.
C’è bisogno di chiarezza. E c’è bisogno di farla in fretta, o questo scontro rischia di diventare un casus belli (o peggio, un comodo alibi) per chi nella lega ci ha creduto e ci crede poco e ha detto sì solo perché lo hanno fatto anche gli altri. E’ ora che anche le società si prendano le loro responsabilità nella gestione del generale, che altrimenti dar sempre la colpa alla FIR è troppo facile. Tempo se n’è già perso abbastanza.

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In avanti popolo! – Francia, Inghilterra e Italia: affinità e divergenze tra Leghe di club che ci sono o ancora da venire

leghe

Quello che leggete qui sopra è l’articolo 8 dello Statuto FIR attualmente in vigore. Se domani mattina venisse annunciata la nascita della Lega dei Club la normativa quadro e le regole a cui questa nuova entità si dovrebbe sottoporre sarebbe questa.
Facciamo un salto in Francia. Ieri il neopresidente della federazione francese Bernard Laporte ha rilasciato una intervista a Le Monde. Laporte è stato a lungo capo allenatore del Tolone di quel Mourad Boudjellal che è da sempre tra i più strenui sostenitori della LNR – la Lega dei Club transalpina – e comunque delle prerogative delle società nei confronti di nazionale e federazione. E cosa dice il numero uno del rugby francese eletto a inizio dicembre? “Se è possibile gestire il Top 14 senza la LNR? Sì, certo, la FFR può”. Ma Laporte non si accontenta, e decide di toccarla piano anche sul lato economico: “Tutti i diritti commerciali della Lega appartengono alla FFR. Quando diciamo che la FFR ha un budget di 115 o 120 milioni di euro è falso. Il bilancio è di € 260 milioni perché prende anche i 140 milioni di euro che vengono dalla LNR”.

La dialettica club-federazioni non è delle più semplici e tranquille, non sempre almeno, si tratta di entità con fini e interessi diversi che si trovano a nuotare nello stesso mare: a volte vanno a braccetto, a volte no. In Francia però nel Comité Directeur della FFR, paragonabile al nostro Consiglio Federale, ci sono tre membri della LNR. LNR che oltre a gestire il TOP 14 e il Pro D2 sbriga anche i compiti della giustizia sportiva.
E in Inghilterra? OltreManica da una parte c’è la RFU, dall’altra la Premiership Rugby Limited che rappresenta i club, totalmente esterna alla federazione. La PRL gestisce il campionato ma non la giustizia sportiva.
Francia e Inghilterra perciò differiscono sotto alcuni aspetti ma in entrambi i casi le locali Leghe di Club sono istituzionalmente ed economicamente autonome e hanno vari strumenti per farsi sentire. Non solo, siedono anche nei posti giusti per farlo: sia LNR che PRL hanno una poltrona nel board della EPCR (assieme alle regions gallesi riunite sotto la sigla Pro Rugby Wales), l’ente che organizza e gestisce le Champions e Challenge Cup.

In Italia che panorama avremmo? Non semplice dirlo. Lo Statuto FIR parla di “funzioni propositive e consultive”, ma oggi come oggi i club non hanno un posto in Consiglio Federale a loro riservato. Sì, d’accordo, i delegati delle società votano i consiglieri federali, ma non è la stessa cosa.
Come ho scritto e detto più volte sono personalmente convinto dell’utilità di una simile organizzazione nel nostro movimento, che il fatto che la LIRE sia implosa meno di 10 anni fa (non che siano mancate anche delle spinte esterne perché tutta la costruzione crollasse) non deve frenare dal pensare del rimetterla in piedi. Però le cose vanno fatte bene, con un po’ di sale in zucca se si vuole che poi funzionino a dovere.
Per le dinamiche politiche del nostro Paese – espressione da intendere in senso lato – e per la nostra prassi istituzionale una Lega realmente autonoma e propositiva certo non farebbe felice la FIR, abituata a gestire il movimento nella sua pressoché totale complessità. Frizioni non mancherebbero.
Da parte loro i club devono trovare una quadra istituzionale, unità d’intenti, una prospettiva davvero comune e un’autonomia economica che non sembra affatto facile raggiungere. Soprattutto una capacità manageriale che oggi latita. Ma grandi alternative non ce ne sono, a meno che non si voglia il solito pastrocchio all’italiana che non servirebbe a nulla.In quel caso, meglio lo status quo.

PS: domani il tema della Lega dei Club verrà toccato assieme ad altre problematiche in una intervista fatta dal Grillotalpa a un importante rappresentante del rugby italiano.