Rugby in movimento, ma verso quale “dove”. In Francia se lo chiedono: e in Italia?

Una piccola notizia da Parigi diventa lo stimolo per farsi alcune domande su differenze e similitudini tra noi e i nostri cugini d’Oltralpe. Storia e tradizione hanno pesi molto diversi, ma la cosa non rischia di diventare un alibi inconscio per non fare nulla?

Philippe Folliot, chi era costui? Anzi: chi è, visto che gode di ottima salute e vive e lotta insieme a noi. Trattasi di un deputato francese, eletto al Parlamento di Parigi con l’Alleanza Centrista e che nel 2017 ha confermato il suo seggio aderendo però al gruppo di En Marche!, il movimento del presidente transalpino Macron.
Perché ne parliamo qui? Perché Folliot ha organizzato un incontro dal titolo “Rugby di domani: evasione o confronto?”. Una workshop che si è tenuto nientepopodimenoche all’Assemblea Nazionale, nella capitale francese. A discutere di sicurezza e di futuro della palla ovale c’erano, oltre ovviamente al padrone di casa e alla ventina di deputati che fanno parte dell’Amicale parlementaire du rugby, anche il presidente della federazione francese Bernard Laporte, il presidente della federazione transalpina di rugby a 13 Marc Palanques, il numero uno dei club d’oltralpe Paul Goze, oltre a vari addetti ai lavori, medici e personalità ovali.

I motivi della riunione? Così li racconta l’Equipe: “Di fronte alle preoccupazioni causate dalla morte quest’estate di un giovane giocatore di 21 anni, Louis Fajfrowski, dopo una placcaggio, e dal gioco dei Top 14, sempre più fisico, il deputato (Folliot, ndr) ha voluto una tavola rotonda per dare vita a una riflessione fredda sulla vicenda, non legata all’emozione del momento. (…) Quando pesi, velocità, tempi di gioco sono raddoppiati, lo hanno fatto anche gli infortuni, hanno detto i medici della FFR e della Ligue, Thierry Hermerel e Bernard Dusfour (…) medici e i neurologi presenti hanno dettagliato le misure messe in atto per proteggere i giocatori e hanno rilevato una stabilizzazione del numero di commozioni cerebrali, che sono addirittura diminuite dalla stagione 2016-2017 (…) resta da vedere se il rugby francese è pronto a ridefinire la sua identità di gioco”. Sicurezza quindi, ma non solo. La domanda che sembra alzarsi più delle altre è: quale rugby vogliamo?

Deputati, i vertici del rugby francese, medici, rappresentanti dei giocatori, giornalisti… il tutto in una delle massime sedi istituzionali del paese. Non che una giornata-evento del genere possa cambiare da sola le prospettive e il cammino del rugby francese, ci mancherebbe, ma è un passo importante, anche perché non è una cosa estemporanea: altre ce ne sono già state e altre ce ne saranno. Perché in Italia non lo si fa?
Certo, mi si dirà che la tradizione e quindi l’impatto del rugby al di là delle Alpi è enormemente superiore che non nel nostro Paese, ed è verissimo. So bene che questa cosa non è un dettaglio. Come non lo è il fatto che Folliot sia un deputato che arriva dal Tarn, ovvero un dipartimento piuttosto ovale (Albi, Castres: nomi che vi dicono nulla?). Tutto vero, ma a me pare che quello che ne esca sia un piglio e una consapevolezza diversa, che prescinde dall’importanza e dalla solidità del movimento-rugby e cosa che nel medio-lungo periodo possono avere peso enorme.
Anche da noi ci sono incontri in qualche modo assimilabili, ma mai così ecumenici, passatemi la parola. Così aperti anche verso chi non è già “invischiato” da capo a piedi con la palla ovale. Parlare, discutere, confrontarsi e persino scontrarsi sono passi determinanti per capire che cosa vogliamo dal rugby di domani. Noi ce lo stiamo chiedendo davvero?

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In avanti popolo! – Francia, Inghilterra e Italia: affinità e divergenze tra Leghe di club che ci sono o ancora da venire

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Quello che leggete qui sopra è l’articolo 8 dello Statuto FIR attualmente in vigore. Se domani mattina venisse annunciata la nascita della Lega dei Club la normativa quadro e le regole a cui questa nuova entità si dovrebbe sottoporre sarebbe questa.
Facciamo un salto in Francia. Ieri il neopresidente della federazione francese Bernard Laporte ha rilasciato una intervista a Le Monde. Laporte è stato a lungo capo allenatore del Tolone di quel Mourad Boudjellal che è da sempre tra i più strenui sostenitori della LNR – la Lega dei Club transalpina – e comunque delle prerogative delle società nei confronti di nazionale e federazione. E cosa dice il numero uno del rugby francese eletto a inizio dicembre? “Se è possibile gestire il Top 14 senza la LNR? Sì, certo, la FFR può”. Ma Laporte non si accontenta, e decide di toccarla piano anche sul lato economico: “Tutti i diritti commerciali della Lega appartengono alla FFR. Quando diciamo che la FFR ha un budget di 115 o 120 milioni di euro è falso. Il bilancio è di € 260 milioni perché prende anche i 140 milioni di euro che vengono dalla LNR”.

La dialettica club-federazioni non è delle più semplici e tranquille, non sempre almeno, si tratta di entità con fini e interessi diversi che si trovano a nuotare nello stesso mare: a volte vanno a braccetto, a volte no. In Francia però nel Comité Directeur della FFR, paragonabile al nostro Consiglio Federale, ci sono tre membri della LNR. LNR che oltre a gestire il TOP 14 e il Pro D2 sbriga anche i compiti della giustizia sportiva.
E in Inghilterra? OltreManica da una parte c’è la RFU, dall’altra la Premiership Rugby Limited che rappresenta i club, totalmente esterna alla federazione. La PRL gestisce il campionato ma non la giustizia sportiva.
Francia e Inghilterra perciò differiscono sotto alcuni aspetti ma in entrambi i casi le locali Leghe di Club sono istituzionalmente ed economicamente autonome e hanno vari strumenti per farsi sentire. Non solo, siedono anche nei posti giusti per farlo: sia LNR che PRL hanno una poltrona nel board della EPCR (assieme alle regions gallesi riunite sotto la sigla Pro Rugby Wales), l’ente che organizza e gestisce le Champions e Challenge Cup.

In Italia che panorama avremmo? Non semplice dirlo. Lo Statuto FIR parla di “funzioni propositive e consultive”, ma oggi come oggi i club non hanno un posto in Consiglio Federale a loro riservato. Sì, d’accordo, i delegati delle società votano i consiglieri federali, ma non è la stessa cosa.
Come ho scritto e detto più volte sono personalmente convinto dell’utilità di una simile organizzazione nel nostro movimento, che il fatto che la LIRE sia implosa meno di 10 anni fa (non che siano mancate anche delle spinte esterne perché tutta la costruzione crollasse) non deve frenare dal pensare del rimetterla in piedi. Però le cose vanno fatte bene, con un po’ di sale in zucca se si vuole che poi funzionino a dovere.
Per le dinamiche politiche del nostro Paese – espressione da intendere in senso lato – e per la nostra prassi istituzionale una Lega realmente autonoma e propositiva certo non farebbe felice la FIR, abituata a gestire il movimento nella sua pressoché totale complessità. Frizioni non mancherebbero.
Da parte loro i club devono trovare una quadra istituzionale, unità d’intenti, una prospettiva davvero comune e un’autonomia economica che non sembra affatto facile raggiungere. Soprattutto una capacità manageriale che oggi latita. Ma grandi alternative non ce ne sono, a meno che non si voglia il solito pastrocchio all’italiana che non servirebbe a nulla.In quel caso, meglio lo status quo.

PS: domani il tema della Lega dei Club verrà toccato assieme ad altre problematiche in una intervista fatta dal Grillotalpa a un importante rappresentante del rugby italiano.