Del difficile momento della franchigia bianconera ne ho parlato più volte, l’ultima volta soltanto ieri. Questo fine settimana la squadra di Parma ospita il Munster, avversaria che non ha certo bisogno di presentazioni, e per i giocatori agli ordini di Victor Jimenez si tratta di riuscire a mettere in disparte l’incertezza sul futuro e concentrarsi solo sul campo. Ma è possibile farlo in una squadra di cui non si conosce il domani? E’ possibile lasciare negli spogliatoi le preoccupazioni per le proprie prospettive sportive ed economiche? Mentre le voci circa le dimissione del presidente Pagliarini non sono state confermate (no ancora, almeno), di questo – e di altro – ho parlato con il team manager delle Zebre, Andrea De Rossi…
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IN AVANTI POPOLO! – Le Zebre diventano un hashtag per rendere il mondo più sopportabile. Nell’Ovalia italiana invece…

Sui social network l’animale bianco e nero viene usato per rendere meno deprimenti notizie che ci buttano giù di morale, ma chi ha dato il via a questo nuovo trend non ha la minima idea di cosa significhino le Zebre per il rugby italiano, soprattutto in questo momento.
Il futuro della franchigia celtica potrebbe però essere stato già deciso: la nuova assemblea dei soci è fissata per il 28 marzo e qualche giorno prima… Rumors: Troncon e Orlandi nello staff tecnico zebrato?
L’hashtag è #justaddzebras e sta diventando – come dicono i gggiovani – virale. In pratica si tratta di aggiungere una immagine di una zebra (o una gif animata di una zebra che balla) alle notizie che più ci deprimono o ci intristiscono al fine di renderle più sopportabili. Fatevi un giro in rete – su twitter soprattutto, ma non solo – e troverete già decine di esempi. Pare che il tutto sia nato da un giornalista che ha preso spunto da una notizia secondo la quale in Bolivia, nella capitale La Paz, alcune persone vengono assunte per vestirsi da zebre e ballare agli incroci stradali. Il motivo? Attirano l’attenzione, chi sta in macchina rallenta e si riducono gli incidenti. Le zebre migliorano la sicurezza stradale. John Oliver, questo il nome del giornalista statunitense, si è chiesto allora cos’altro potevano fare quegli animali per migliorarci la vita: la risposta è quell’hashtag e quell’idea.
Solo che John Oliver non è italiano e non è un appassionato di rugby (almeno a quanto ci è dato sapere), altrimenti saprebbe che dalle nostre parte le Zebre sono rugbisticamente un problema e sono una notizia/vicenda che intristisce che segue la palla ovale. Filosoficamente: se le Zebre sono il problema possono essere la soluzione?
Vabbé, ok, basta con l’hashtag. Però la questione Zebre rimane ancora tutta. O forse no. Vediamo. Lunedì sera il club bianconero ha diffuso un comunicato davvero succinto, questo:
L’assemblea dei soci di Zebre Rugby ssd srl, riunitasi in data odierna, ha deliberato l’aggiornamento a martedì prossimo 28 Marzo al fine di terminare gli argomenti posti all’ordine del giorno.
Un comunicato con una non notizia. A gennaio il presidente Stefano Pagliarini aveva detto che il futuro della franchigia (lo dobbiamo ricordare? Cassa vuota, stipendi pagati prima in ritardo e poi dalla FIR. Federazione che di fatto ha reso poi possibile ai bianconeri di portare a termine la stagione sportiva) sarebbe stato chiaro nella seconda metà di febbraio: il 24 di quel mese l’assemblea dei soci è stata rinviata per mancanza del numero legale, il 4 marzo la riunione si è tenuta ma è stato tutto nuovamente rinviato ad un’assemblea successiva – appunto quella di lunedì – dove però è stato deciso l’ennesimo differimento temporale al 28 marzo. Quando si deciderà finalmente cosa succederà alle Zebre, dove giocheranno la prossima stagione e altre bazzecole simili. Forse.
L’impressione però è che una qualche decisione importante sia già stata presa: ci sono state le parole del presidente FIR Alfredo Gavazzi che prima ha detto che la franchigia giocherà ancora un anno a Parma, poi che lui vede le Zebre a Roma o a Milano (una contraddizione? Solo apparentemente: quelle due città non hanno strutture pronte che rispondono ai criteri richiesti dal board della Guinness Pro12, quindi la prossima stagione parmigiana servirebbe a sistemare quell’aspetto). Soprattutto va sottolineato il fatto che la nuova assemblea dei soci delle Zebre è stata fissata pochi giorni dopo un nuovo consiglio federale FIR, che verosimilmente prenderà delle decisioni in merito.
Ci siamo quindi. Quasi. Il Consiglio Federale è fissato per questo venerdì, martedì ci sarà l’assemblea delle Zebre. Tempo da perdere non ce n’è davvero più e probabilmente tra una settimana a quest’ora avremo un quadro più chiaro, almeno un po’.
Intanto fioccano già le voci sulle Zebre che verranno, con uno staff tecnico che sarebbe guidato dall’irlandese Michael Bradley con Carlo Orlandi e Alessandro Troncon, che sarebbero così giubilati dall’U20 ma che cadrebbero decisamente in piedi. Da Calvisano arriverebbe poi la tradizionale vagonata di giocatori. Ma sono solo indiscrezioni, qualche giorno e ne sapremo di più. Però, forse, sarebbe meglio usare il condizionale…
Italia Anno Zero: numeri del Sei Nazioni impietosi. O’Shea avvisa: “Non sono qui a perdere tempo, qualcuno deve mettere l’ego da parte”

Il torneo di quest’anno si chiude con dati anche peggiori rispetto al già disastroso 2016. Il ct chiede uno scatto a tutto il movimento, decisive le prossime settimane. Gavazzi “vede” le Zebre a Roma o a Milano: nel capoluogo lombardo eventualmente coinvolta anche l’ASR?
Finalmente è finito. Opinione personalissima, ma quest’anno il Sei Nazioni è stato una vera sofferenza, e sì che noi appassionati italiani un certo callo dovremmo avercelo fatto…
Il torneo 2016 era stato definito praticamente da tutti come il nostro peggior Sei Nazioni di sempre, ma il 2017 non è così da meno: ultimi, nemmeno un punto fatto nonostante l’introduzione dei punti di bonus che 12 mesi fa non c’erano, 6 mete fatte contro le 8 della scorsa edizione quando però ne avevamo incassate anche tre in più: 29 allora, 26 oggi. Differenza punti? Meglio un anno fa: -145 contro gli attuali -151, ma è roba da discussione sul sesso degli angeli. Un senso generale e pressoché continuo di impotenza.
Quando l’Italia se l’è veramente giocata? Nel primo tempo della partita con il Galles e nella partita di Twickenham, quando abbiamo tirato fuori quell’autentico coniglio dal cilindro – non replicabile, tra l’altro – che è stata la “no ruck”, che comunque non ci ha impedito di uscire sconfitti e di perdere in maniera netta 36-15: un risultato maturato negli ultimi 10 minuti (al 69′ stavamo ancora 17-15), verissimo, ma i punti fatti dopo il 70′ valgono uguale a quelli prima. Vogliamo metterci i primi 15′ di Italia-Francia? Mettiamoceli. Rimane un panorama spoglio, deprimente. La ciliegina sulla torta sono i quasi 20mila spettatori in meno in media all’Olimpico.
La fotografia è questa, qua e là qualcuno potrebbe infilarci un mezzo alibi o una parziale scusante, ma quello rimangono: alibi e scusanti.
Nel quadro complessivo bisogna pure aggiungerci la nazionale U20 e quella femminile: anche per loro nemmeno una vittoria in 5 partite, due punti di bonus per gli azzurrini e uno per le ragazze. Tre cucchiai di legno assieme non ci capitavano dal 2009.
Brutto il torneo delle azzurre, soprattutto se paragonato agli ultimi due. Le nostre giocatrici sono apparse spesso contratte e con grosse difficoltà in fase realizzativa, ma va pure detto che tra tutte le nostre selezioni sono quelle che più se la sono giocata con le squadre avversarie. Per loro comunque il peggior torneo degli ultimi anni, non un buon viatico in vista del Mondiale di agosto in Irlanda. Certo, avessero giocato qualche test a novembre… Il ct Di Giandomenico non ha potuto vedere la sua squadra all’opera praticamente per un anno.
Lo stesso non si può dire dell’U20, squadra per la quale il refrain del “miglior gruppo degli ultimi anni” comincia un po’ a stancare: perché da un lato è vero, ma dall’altro in 4 gare su 5 non hanno mai dato l’impressione di poter davvero vincere (il primo tempo con il Galles, toh) e hanno buttato via una occasione gigantesca contro l’Irlanda. Alla fine i numeri di questi ragazzi se confrontati con l’edizione 2016 non sono affatto diversi: un anno fa i punti di bonus non c’erano, il numero di mete subite è assolutamente identico (21) ma quest’anno ne sono state incassate il doppio (8 contro 4) mentre migliore è la differenza punti (-95 a fronte di -117 di un anno fa).
In questo quadro arrivano le parole di Conor O’Shea al termine della partita di Murrayfield: “Sono un positivo, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Ma non sono uno stupido, non sto qui a prendere tempo. Ho fiducia in questo gruppo, resto convinto che possiamo diventare un’ottima squadra. Ma gli investimenti devono essere fatti nell’interesse esclusivo della Nazionale. E’ l’Italia l’unica cosa che conta. Le decisioni che dovremo prendere faranno male a qualcuno, ma Irlanda, Galles, Scozia hanno fatto scelte difficili per il rugby di club, investito sulle franchigie. E’ facile fare questi cambiamenti, a patto di volerlo. Sarà difficile? Sì, ma è fattibile e deve essere fatto. Qualcuno dovrà mettere il proprio ego da parte nell’interesse della maglia azzurra. Vogliamo cambiare molte cose e ci sarà gente che ci resterà male, ma i cambiamenti non possono essere indolore. Ripeto, non si pensi al proprio ego”.
Un mezzo ultimatum? Non so, di sicuro un messaggio chiaro e inequivocabile. Per settimane il ct azzurro ha detto che profondi cambiamenti erano necessari, ieri ha messo in chiaro le cose usando un linguaggio che non necessita di interpretazioni.
A chi erano dirette le sue parole? Un po’ a tutti: dirigenti di club, quelle delle franchigie e ovviamente in federazione.
Le carte sono sul tavolo, che un incontro con il presidente Gavazzi sia già avvenuto o meno. Ma non credo che il presidente federale fosse all’oscuro delle idee di O’Shea. Le richieste le tecnico irlandese? Staff tecnici numericamente e qualitativamente all’altezza, accademie legate alle celtiche, una definitiva e sensata sistemazione del “su e giù” dei giocatori tra Eccellenza e Benetton e Zebre sono i primi fondamentali passi. Idee che dalle nostre parti circolano già da diversi anni, qualcuno le ha messe nero su bianco già all’alba dell’avventura celtica, ma che finora sono state osteggiate o tenute in un cassetto della FIR.
Cambiare idea non è un delitto, anzi (se poi lo si fa in senso migliorativo…) e in federazione non è una novità: solo un paio di anni fa o giù di lì si diceva che le due franchigie dovevano avere uno staff completamente italiano e che pure la nazionale avrebbe dovuto averlo, anche se in una seconda fase. Oggi abbiamo uno staff azzurro che è al 90% composto da stranieri, head coach a Treviso è un neozelandese e pare che pure le Zebre finiranno a un irlandese la prossima stagione (rugbymercato.it parla di apertamente di Michael Bradley). Zebre che nel loro staff hanno da tempo De Marigny, che è in Italia da tanti anni ma certo italiano non è, mentre a Treviso venne negato il tesseramento di Corniel Van Zyl, abbastanza italiano per giocare in nazionale ma non abbastanza per allenare.
Anche sulle accademie c’è stata una bella rivoluzione copernicana: dalla prossima stagione saranno dimezzate quando solo 7-8 mesi fa il presidente Gavazzi girava tutta l’Italia proponendo un programma elettorale nel quale uno dei punti fondamentali era il loro aumento numerico. Non lo dico io, basta leggersi il programma. Ora, per ragioni economiche, si progetta il loro taglio, ma i guai di bilancio erano già sicuramente noti anche la scorsa estate.
Ma al di là di tutto quello che manca al nostro movimento è quell’unità di intenti che traspare dalle parole di O’Shea. Sabato lo ha spiegato Domenico Calcagno dalle pagine del Corriere della Sera: il claim della federazione scozzese è “As One”, espressione che non ha bisogno di traduzione. Da noi si va avanti in ordine sparso, ognuno guarda al suo giardinetto in una continua esibizione di muscoli dal panorama davvero ridotto e che coinvolge tutti, dalla federazione ai club. Un ordine sparso che non dà risultati per nessuno: le nazionali vanno come vanno, le franchigie sono sempre nelle ultime posizioni del Pro12 e l’Eccellenza langue da tanti anni nel disinteresse di pubblico, media e sponsor.
Non conosco bene l’ambiente scozzese ma sono sicuro che pure lì gli interessi particolari non mancano, eppure…
Ripartire con un programma comune a cui tutti partecipino e che veda tutti fare qualche passo indietro sotto un aspetto o un altro è l’unico modo per invertire la rotta, l’alternativa è il nostro quotidiano attuale, che credo non piaccia a nessuno. Ma magari mi sbaglio.
Prima di salutarvi due dichiarazioni, la prima è di Sergio Parisse che in conferenza stampa ha parlato dei suoi compagni di squadra, senza mandarle a dire: “Sono un giocatore che si interroga sempre sulla propria performance, sui propri errori, sugli aspetti del gioco da migliorare. Mi auguro tutti lo facciano, perché uscire dal campo oggi sconfitti per 29-0 è dura. Ora Conor ed il suo staff si incontreranno, faranno le loro valutazioni. Tanti giocatori hanno avuto le loro opportunità, starà ai tecnici valutare con chi continuare a lavorare e chi merita ulteriori opportunità a questo livello“. Chi vuole capire capisca, insomma.
La seconda e ultima è di Alfredo Gavazzi, che sul Messaggero Veneto parla prima di quell’U20 cui ancora solo pochi mesi fa si diceva sicuro dei risultati già quest’anno: “C’è qualcosa che non va se sei una buona squadra, se potresti batterle tutte, meno l’Inghilterra che è di un altro pianeta”. Poi, dopo aver criticato la scelta di Riccioni di firmare per il Benetton Treviso affronta il tema franchigie: “Sono andato a Parma ogni lunedì per un anno, mi sarebbe piaciuto creare una mentalità nella gestione del club. Ora è tanto che non ci tomo. Non so cosa accadrà. So che a Milano c’è un campo che possono rimettere a posto, 5mila posti, poi c’è il Flaminio a Roma che potrebbe essere il campo di una franchigia se andassimo lì. E’ improponibile pensare a una terza franchigia perché non abbiamo i giocatori per alimentarla (anche qui: fino a pochi mesi fa si sosteneva il contrario: ma meglio così, ndr). Saranno due fino al 2020 perché questo è l’accordo con il Pro12. Dico che Milano mi piacerebbe perché farebbe da riferimento al bacino del Nord, ma Roma potrebbe essere il traino per il Sei Nazioni a livello di pubblico”. A Milano nell’eventuale progetto celtico potrebbe essere coinvolta l’ASR che a fari spenti starebbe muovendosi in questa direzione. Pare. Vedremo, le prossime settimane saranno le più importanti per il nostro movimento da tanti anni a questa parte.
In avanti popolo! – Nuove accademie, più che i risultati (negativi) del campo poté la spending review

Il presidente Gavazzi manda in archivio il pilastro del suo programma elettorale 2012 e 2016: dalla prossima stagione le due franchigie avranno una struttura U18 legata a loro, le accademie saranno solo 4, mannaia anche sui Centri di Formazione. Ma i motivi che hanno portato a questo ribaltone sono quelli sbagliati. E la cosa non è un dettaglio. Qui un paio di domande/dubbi su un tema su cui si gioca buona parte del futuro del nostro movimento. E di quello di Conor O’Shea
La notizia circolava da un paio di settimane sotto forma di rumors e indicrezioni ma in maniera strutturata l’hanno data per primi Rugby 1823 e La Tribuna: dalla prossima stagione le Accademie Under 18 dovrebbero scendere a 4 dalle 10 attuali. Cancelli che rimarranno aperti solo a Milano, Treviso, Prato, Roma, con la struttura veneta legata al Benetton Treviso mentre per le Zebre decisiva sarà la collocazione geografica della franchigia bianconera. Comunque ci sarà un’accademia U18 per ogni celtica. E l’U20? Al momento nulla, con la “Ivan Francescato” che dovrebbe essere smezzata tra le due franchigie a partire dalla stagione 2018/2019.
Questo il piano per cercare di snellire e rendere un po’ più funzionale una struttura finora pachidermica, non ben tarata rispetto alla piramide del nostro movimento e soprattutto costosissima. Uso la parola “soprattutto” perché anche questo blog può confermare che il via a questa ristrutturazione ha origine in primis per motivazioni economiche: com’è noto le casse della FIR non se la stanno passando un granché bene e bisogna tagliare un po’ di costi. Spending review quindi e non una sorta di mutamento di indirizzo “politico” dopo una evidente mancanza di risultati anche (ma non solo) rispetto ai capitali investiti. Il fatto che si parta legando una U18 alle franchigie ne è una sorta di prova: legare una accademia U20 avrebbe dato risultati più veloci, ma ha vinto la vil pecunia.
Chi si accontenta gode, dice l’antico adagio. Vero. Però qualche domanda rimane, anche di fronte a una razionalizzazione di questo tipo, che male non farà di certo.
La prima: chi sceglierà i giocatori che entreranno nelle Accademie? A quanto risulta a Il Grillotalpa sarà sempre la FIR, con le franchigie che non verranno coinvolte. E’ un bene o un male? Dipende. Le Zebre sono una entità di fatto slegata dal territorio, sia che rimangano a Parma o – a maggior ragione – se dovessero trasferirsi, con una situazione del genere quella delle scelte federali sembra la soluzione più logica, sensata. Il Benetton è una società vera e propria, con storia e tradizione, ha squadre giovanili e rapporti strettissimi con diversi club del suo territorio. Qui una collaborazione anche per quanto riguarda la scelta degli accademici sarebbe la cosa più razionale.
Razionalità vorrebbe anche un sistema più permeabile e meno categorico. Oggi chi rimane fuori dal circuito accademico non ha praticamente possibilità di rientrarci, bisognerebbe invece dare la possibilità a chi effettua le selezioni di poter rivedere in un secondo momento le proprie decisioni. E tenere una porta mezza aperta anche per i giovani atleti rimasti inizialmente fuori sarebbe un grosso stimolo a migliorarsi.
E questo ci porta alla seconda domanda/dubbio che riguarda il “chi” in campo federale farà quelle scelte. Detto in maniera brutale: quanto peseranno le indicazioni e le volontà di chi per oltre 15 anni ha guidato il settore tecnico del rugby italiano e quanto invece peseranno quelle di O’Shea/Aboud? La vera partita si gioca qui.
Non è questione di simpatia o antipatia, sinceramente non me ne frega nulla visto che non devo andare in vacanza con Ascione, Checchinato oppure con O’Shea. Però i risultati negli anni parlano chiaro, chiarissimo. Piaccia o meno. Mallett e Brunel a un certo punto, quando hanno capito che non avrebbero potuto incidere si sono seduti, adeguati all’andazzo. Ma erano due tecnici con una carriera importante alle loro spalle, con risultati importanti già raggiunti. Conor O’Shea non ha questo tipo di identikit: è giovane, ha vinto trofei importanti con gli Harlequins ma sulla ribalta internazionale deve ancora dimostrare molto. Traduco: non rimarrà qui a farsi rosolare a fuoco lento. Perderlo sarebbe un disastro.
Sono settimane che ogni sua dichiarazione pubblica è corredata da espressioni come “c’è molto da cambiare”, “il movimento ha bisogno di cambiamenti”. Le sue ricette non sono verosimilmente molto diverse da quelle proposte da anni da alcune voci – non molte e tenute isolate – del nostro rugby, ma questo è un qualcosa di secondario. Oggi c’è la possibilità di concretizzarle, l’obiettivo importante è quello. Qualche giorno fa Ivan Malfatto su Il Gazzettino ha scritto un articolo, “O’Shea vuole cambiare il sistema italiano con chi l’ha affossato”. Ecco, magari un titolo che non sarà stato scritto in punta di fioretto, ma sicuramente efficace. E il succo alla fine è quello. Lo faranno lavorare? La prossima stagione è forse la più importante e gravida di conseguenze per il futuro da molti anni a questa parte. A partire dalle accademie.
Cose che succedono in Italia, e alle Zebre: tipo due permit francesi. Dalla serie A.

Fai una franchigia “per far crescere i giovani in prospettiva azzurra”, spendi un sacco di soldi per tenerla in piedi. Una vera valanga di soldi. Quando ci sono i test-match e il Sei Nazioni usi i permit players, proprio per farli maturare. Però capita che con l’Ulster convochi due permit di nazionalità francese. Dalla Serie A. Lo ripeto: francesi, dalla Serie A. Come se l’Eccellenza e/o giocatori italiani non ci fossero più.
Non è un brutto sogno o una barzelletta, succede. Alle Zebre.
