Circa metà della fase a gironi della RWC 2019 è andata in archivio: Vittorio usa la lente d’ingrandimento sulla sfida tra Australe e Galles, sulla clamorosa vittoria del Giappone sull’Irlanda e sulla Scozia. Senza dimenticare l’Italia… Palla a Vittorio!
Categoria: Mondiali 2019
RWC, verso Italia-Sudafrica. Tra ottimismo, sogni, realtà e miracoli chi avrà il sopravvento?

Due vittorie contro Namibia e Canada, il pass per la RWC 2023 in tasca e i due punti di bonus pure. Bene, ma questo era il minimo sindacale richiesto, quello che andava fatto senza se e senza ma. Ora serve il salto di qualità
“I believe in miracles” (non serve la traduzione, vero?) è un canzone dei tardi Ramones: si trova in “Brain drain”, disco che la band del Queens fece uscire a fine anni ’80, uno dei suoi ultimi lavori in studio. Pezzo che mi è sempre piaciuto molto, soprattutto nella versione semiacustica dei Pearl Jam, quella presente in “Live at Benaroya Hall” cantata da un Eddie Vedder con una improbabile capigliatura bionda.
“I believe in miracles” è un po’ la colonna sonora della nazionale italiana di rugby in questi giorni di attesa in vista della decisiva partita con il Sudafrica che si giocherà venerdì mattina davanti ai 50mila del Shizuoka Stadium ECOPA di Fukuroi. Un match da dentro-fuori per entrambe le formazioni: chi vince avrà in tasca il biglietto per i quarti di finale, chi perde avrà ancora da giocare solo l’ultima gara del girone di questa RWC. Oddio, in linea teorica gli azzurri potrebbero anche perdere, a patto poi di battere gli All Blacks… Però diciamocelo: è più facile che prima l’uomo riesca ad andare a vivere in pianta stabile su Marte.
La situazione la conosciamo bene: noi abbiamo battuto – con tanto di punto di bonus – Namibia e Canada, gli Springboks hanno giocato e perso contro la Nuova Zelanda per poi battere senza nessun problema i cugini namibiani.
Come arrivano a Fukuroi le due protagoniste? Bene. Il Sudafrica è uscito sconfitto dalla sfida con i bicampioni del mondo in carica ma ha giocato in maniera tosta e con una intensità a noi sconosciuta. Tanto per non giraci attorno: se giocano così anche contro di noi non abbiamo quai nessuna speranza. Quasi eh. Alla Namibia hanno segnato 57 punti concedendone solo 3 in un test che assomigliava più a un duro allenamento che non a una vera e propria partita, ma il gap tra le due squadre era gigantesco.Inevitabile che finisse così.
E l’Italia? I ragazzi di O’Shea hanno fatto quello che dovevano fare. E di per sé (purtroppo, intendiamoci, ma l’andazzo degli ultimi anni…) questa è già una mezza notizia. Dovevamo superare e prendere il punto di bonus offensivo contro Namibia e Canada e lo abbiamo fatto – insieme al non secondario obiettivo della qualificazione alla RWC 2023 – il ct ha ben dosato il turn-over e il minutaggio dei giocatori per arrivare al meglio alla sfida con i sudafricani. Che poi questo basti è un altro paio di maniche, ma lo si sapeva già prima.
Attorno alla squadra azzurra c’è entusiasmo e ottimismo. Tanto. Un po’ troppo, a voler mantenere la mente fredda. L’Italia ha giocato complessivamente maluccio contro la Namibia (a tratti è stata pure inguardabile) a cui ha sì segnato sette mete ma ne ha pure concesse tre. Partita decisamente migliore con il Canada – non che ci volesse molto a fare qualcosa di più – squadra quella nordamericana che però ha mostrato tutti i limiti attesi e ampiamente pronosticati. Canadesi che comunque nella seconda parte del primo tempo ci hanno limitato e che almeno in un paio di occasione non sono riusciti a marcare una meta solo per le proprie mancanze tecniche di base (leggi: palloni in mano persi malamente, tantissimi. Per non parlare degli altrettanto numerosi placcaggi mancati). Si è sottolineata la prova della nostra terza linea che è vero che è stata devastante quando si trattava di attaccare, ma che è stata meno efficace nella fase difensiva.
La mia speranza personale è che Conor O’Shea e lo staff tecnico riescano in questi giorni a far tenere al gruppo i piedi ben piantati per terra. La buona prestazione con il Canada non deve far dimenticare che i nordamericani e la Namibia sono di gran lunga le formazioni meno attrezzate tra quelle presenti in Giappone, quelle che si sono presentate con il ranking peggiore: prima dell’inizio del torneo canadesi e namibiani erano rispettivamente al posto 22 e 23, con la Russia al 20° e l’Uruguay uno scalino sopra.
Sicuramente le prime due gare del nostro Mondiale sono servite per testare accorgimenti tattici, per non affaticare troppo i giocatori e preservarli da infortuni. Il notevole e incontestabile gap poi sicuramente non ha aiutato a scendere in campo con la proverbiale bava alla bocca però da parte nostra si sono visti errori: svarioni e limiti che non hanno peso con quelle due squadre ma la faccenda con il Sudafrica è totalmente diversa.
Sabato il Giappone ha battuto l’Irlanda al termine di una gara da stropicciarsi gli occhi. Non solo intensità e furia agonistica, ma anche capacità tecniche. Abbiamo visto una squadra capace di “leggere” la partita, di soffrire e incassare poi di ripartire. L’Irlanda, si dirà, ha giocato male ed è sempre molto difficile stabilire un qualche limite tra i meriti propri e i demeriti altrui. Non starò qui a dire che i padroni di casa hanno vinto perché gli altri sono scesi in campo non adeguatamente concentrati (che poi non è vero: nei primi 20 minuti i verdi hanno marcato due mete e si avviavano a chiudere la pratica, semplicemente c’è stato chi lo ha impedito), mi limiterò a osservare che malauguratamente negli ultimi anni abbiamo visto perdere la nostra nazionale contro una Francia dimessa, contro una Scozia bruttissima, contro una Irlanda inguardabile o una Inghilterra supponente.
Non basta che gli altri giochino male, poco conta quale sia il motivo, tu devi metterci il tuo: l’intensità, la tecnica e l’intelligenza tattica di cui sopra. Tutte assieme. E il mazzo completo dalle nostre parti non lo abbiamo quasi mai visto. Come sempre: purtroppo.
Tutto questo vuole affatto dire che non vedremo tutte queste cose nemmeno venerdì, ma che la storia recente e meno recente ci racconta che le possibilità non sono poi altissime. Non lo dico io, lo dicono anni di risultati del campo.
Abbiamo battuto il Sudafrica qualche anno fa a Firenze, ma era tutto un altro Sudafrica: se non lo teniamo bene a mente a Fukuroi non vinceremo mai, nemmeno rimanendo in campo per mille minuti o ripetendo il match 50 volte. Questi Springboks sono dannatamente forti, sono tosti, hanno profondità e hanno un solo risultato a disposizione. Sanno quello che vogliono e sanno come ottenerlo.
Le prestazioni azzurre viste contro Namibia e Canada non bastano, raccontarsi una cosa diversa e cullarsi nel solito refrain dello “stiamo crescendo” servono solo a preparare il terreno per l’ennesima sconfitta. Bisogna mettersi in testa che finora abbiamo fatto solo i passi che dovevamo fare, il minimo sindacale per una nazionale che da 20 anni prende parte al Sei Nazioni, nulla di più. Ora serve un salto di qualità vero. Potrebbe non bastare, ma fare quel salto – e poi confermarlo nei prossimi mesi – sarebbe già una vittoria. Forse la più importante. Poi vedi mai: I believe in miracles…
PS: in questi giorni si è fatto un gran parlare di Sergio Parisse. Al netto delle critiche legittime penso si debba solo rispetto per un campione immenso e per una persona che ha letteralmente tirato avanti la baracca per anni. Non ha più la freschezza dei 20 anni ma nessuno di noi può vantarla, credo. Le critiche civili sono una cosa, gli insulti un”altra.
Altro tema: l’elevatissimo numero di equiparati e giocatori formati all’estero nella nostra formazione. Contro il Canada erano la metà. E’ possibile farlo e lo fanno anche molti altri, tutto legittimo, ma se dopo 10 anni di Accademie (con relativi finanziamenti) interi reparti vengono coperti da giocatori formati al di là delle Alpi è chiaro che c’è un problema. Negarlo o fare spallucce porta solo a mantenerlo nel tempo. Ne riparleremo più avanti.
Il Tinello di Vittorio Munari: All Blacks come Muhammad Ali per aggirare la “rush defence” springboks
La RWC 2019 ha visto la vittoria della Nuova Zelanda sul Sudafrica. I tuttineri hanno sofferto non poco nei primi 20 minuti: siamo di fronte a una nuova strategia? Vittorio Munari ne è convinto.
Qui ne parliamo a lungo. E si affronta anche il sempre spinoso tema-arbitri…
Il primo fine settimana dei Mondiali: lo Zibaldone di Vittorio Munari
E’ andato in archivio il primo weekend della RWC 2019: abbiamo visto partite belle, bellissime, così così e una bruttina. Alcune squadre hanno (quasi) il primo posto in tasca, altre hanno messo serissime ipoteche sul secondo, ma è inutile lamentarsi perché il rugby è questo.
All Blacks e Sudafrica, Francia e Argentina, Irlanda e Scozia, l’Inghilterra, l’Australia e ovviamente l’Italia. Ecco cosa ha visto Vittorio Munari…
RWC 2019, le solite pretendenti scaldano i motori. Eppure quel Giappone lì…

Venerdì il match tra i nipponici e la Russia darà il via al Mondiale. Le favorite sono sempre le solite, ma qualcosa – tra di loro – si sta muovendo. E l’Italia? Beh, la speranza del tifoso è lecita, ma se vogliamo rimanere lucidi…
Il rugby è un gioco complesso, il rugby uno sport in cui l’organizzazione ha quasi sempre il sopravvento sul talento individuale, nel rugby vince sempre il migliore in campo. Sono frasi/assiomi che abbiamo sentito innumerevoli volte e che stringi stringi non possono essere smentite. Lo dicono i risultati, lo dicono le statistiche. La conseguenza inevitabile di quelle premesse è che le sorprese sono molto rare nella disciplina con la palla ovale. Ci sono anche quelle, per carità, ma sono poche. E diventano pochissime quando di mezzo ci sono i Mondiali.
Basta prendere vincitori e finalisti dal 1987 a oggi: la Nuova Zelanda ha trionfato tre volte, Australia e Sudafrica due, una l’Inghilterra. All Blacks che poi una volta sono arrivati secondi, due volte sul secondo gradino del podio per il XV di Sua Maestà e per i wallabies. Qui entra in scena la Francia, tre volte arrivata in finale e tre volte uscita sconfitta. Se allarghiamo lo sguardo anche alla finalina per il terzo e quarto posto vanno coinvolte anche Galles, Argentina e Scozia. Un po’ poco per 8 edizioni iridate, stessi protagonisti quasi sempre, ma così è, la natura di questo sport è elitaria. Anche nelle partite delle fasi a gironi gli exploit si contano sulle dita di una mano: il Giappone che batte il Sudafrica nel 2015, le Fiji vittoriose sul Galles nel 2007. Poco altro.
Venerdì scatta la RWC in Giappone, sarà diversa? Nei nomi dei protagonisti no, ma va detto che i nomi dei pretendenti alla vittoria finale proprio pochi non sono. Nel 2015, in Inghilterra, gli All Blacks partivano come favoriti assoluti, quattro anni dopo le cose sono un po’ cambiate: la Nuova Zelanda è ancora il nome più ricorrente come candidata numero uno alla vittoria finale, ma con una percentuale inferiore. Se alla fine ad alzare la Webb Ellis Cup fosse una tra Irlanda, Galles e Inghilterra non ci sarebbe certo da sorprendersi. Australia e Sudafrica arrivano un po’ a fari spenti ma faranno strada. Francia, Argentina e Scozia hanno carte e capacità di inserirsi, i giapponesi (e Fiji) saranno una mina vagante. E i padroni di casa hanno buone chance di passare il turno, cosa che li farebbe diventare la maggiore novità iridata da un bel pezzo in qua. Poi vengono un po’ tutte le altre, con Russia, USA, Uruguay, Namibia e Canada che sembrano destinate a non lasciare un gran segno. Sembrano eh.
Non semplice indicare i nomi delle semifinaliste, molto faranno gli incroci dei quarti: arrivare primi o secondi nei gironi può fare una differenza enorme.
E l’Italia? Gli azzurri arrivano al torneo dopo alcuni anni decisamente negativi, con poche luci e tante ombre. Il gruppo sembra tranquillo, lo staff si dice sicuro di potersi quantomeno giocare le sue possibilità, che oggettivamente non sono però molte con due squadre decisamente inferiori (Namibia e Canada) e due nettamente superiori (Sudafrica e Nuova Zelanda). Questo dice la carta. Saranno gare non semplici: nelle prime due siamo chiamati a vincere senza se e senza ma, la parola “sconfitta” non va nemmeno presa in considerazione, ma proprio per questo sono due match che possono nascondere insidie mentali e di approccio. Con Springboks e All Blacks la storia sembra essere già scritta, questo può essere un vantaggio e ci può consentire di affrontare impegni che sembrano proibitivi con una “leggerezza” maggiore. Può aiutare, ma i tuttineri sono oggettivamente di un altro sistema solare e il Sudafrica… beh, meno si parla dell’impresa del 2017 e meglio è, che quella che è arrivata in Giappone è squadra che ha ben altre certezze di quella di Firenze.
My two cents: spero nella vittoria di una squadra dell’emisfero nord, Galles o Irlanda, ma attenti al Sudafrica…
Queste le mie previsioni sulla fase a gironi, poi diventa difficilissimo dire chi andrà avanti: come dicevo prima conteranno molto gli incroci. Determinanti diventeranno, inevitabilmente, le energie fisiche e nervose e la situazione nelle infermerie.
Buon Mondiale a tutti
Pool A: Irlanda, Giappone
Pool B: Nuova Zelanda, Sudafrica
Pool C: Inghilterra, Argentina
Pool D: Galles, Australia
