Fare di necessità virtù: Biondelli a metà tra Zebre e Fiamme Oro, ma le norme non ci sono

Un annuncio e un comunicato che svelano (senza rendersene conto?) pubblicamente per l’ennesima volta uno dei problemi della nostra filiera. Un ingaggio con caratteristiche che non sono regolate da nessuna norma attualmente in vigore. Insomma, un Far West.

“Nella prossima stagione 2019/20, in caso non fosse convocato in lista gara con la franchigia federale, Biondelli potrà scendere in campo con il club delle Fiamme Oro Rugby nel Peroni Top12”.
E’ scritto nero su bianco sul comunicato con cui le Zebre annunciano che Michelangelo Biondelli sarà un giocatore della franchigia di Parma a partire da questa estate. Eccola (anche) qua, la soluzione autogestita al tema permit players. Lo fa il Benetton Treviso e ora lo fanno pure le Zebre, che problema c’è?
Qualcuno potrebbe dire “ma non sei tu quel Paolo Wilhelm che ha scritto in lungo e largo che meglio una soluzione del genere che comunque garantisce un’ascensore tra Pro14 e Top12 di un qualche senso invece del nulla predicato per anni?”. Sì, sono io, e continuo a pensarlo e a sostenerlo ad alta voce.

Però i problemi di fondo rimangono. Quell’autogestione – come spesso l’ho definita – è solo una pezza messa a tappare un buco piuttosto grosso nella nostra filiera. E’ una pezza che però non può rimanere così: deve essere normata.
Le Zebre che annunciano l’ingaggio di un giocatore sbandierando il suo utilizzo nel torneo celtico e nel massimo campionato nazionale sono in un campo non regolato, sono nella giungla o nel far west. Il Benetton Treviso che gestisce Michele Lamaro (è un esempio) come ha fatto nell’ultima stagione non pascola in prati molto diversi. Che poi facciano di necessità virtù è un altro paio di maniche, ma – sarò ripetitivo – la situazione va regolarizzata e a oggi non lo è.
Se Biondelli (o Lamaro) può avere un contratto di quel genere è perché qualcuno (chi?) ha detto ai dirigenti delle Zebre che possono farlo. Ma lo ha detto a voce, che la regola ancora non c’è.

L’ultima Circolare Informativa della FIR è stata pubblicata il 28 giugno 2018 (aggiornata però al 25 ottobre dello stesso anno) e non contiene nessun accenno a una normativa che consente movimenti simili. Dopo abbiamo avuto dichiarazione e intenti da Conor O’Shea in giù, ma nessuna regola scritta. Nessuna.
Una situazione non tollerabile, che fa inevitabilmente figli e figliastri. Perché non bisogna essere dei grandi geni per rendersi conto che le società di Top 12 coinvolte in questi accordi sono pochissime e sempre le stesse. Ci sono di mezzo atleti e contratti, quindi giocatori e soldi, la domanda sorge inevitabile: ma questo far west sta bene a tutti i club del massimo campionato italiano, quando è evidente che sono solo poche le società che ne ottengono un qualche vantaggio? Non si accorgono che le trafile per arrivare a questa sistemazione “stabilmente non equilibrata” in qualche modo dopano la filiera del nostro movimento a vantaggio di pochi, se non di pochissimi?
Certo, se esistesse una Lega di club questo sarebbe un tema centrale, ma quella roba lì (la Lega intendo) evidentemente serve solo per far chiacchierare i media ovali un paio di volte all’anno, una buona scusa per i presidenti di trovarsi e cenare assieme. Ma oltre a questo c’è il nulla, un po’ come per la normativa sui permit.

Un applauso a Treviso, irlandesi col fiato corto e un problema chiamato Top 12: il Tinello di Vittorio Munari

Con Vittorio Munari ripercorriamo i risultati delle ultime settimane, partendo dalla squadra veneta, passando per le Zebre, i Saracens e molte altre cose che riguardano l’Italia…
Palla a Vittorio!

Dirigenti eterni e quei fischi azzurri che non sentiremo ai Mondiali

Indovinate un po’: ai Mondiali in Giappone non ci sarà neppure un arbitro italiano. Né come direttore di gara, né come assistente, né come TMO. Zero. Ovviamente il mio “indovinate un po’” iniziale è amaramente sarcastico, visto che nemmeno nelle ultime due edizioni del Sei Nazioni i nostri fischietti sono stati presi in considerazione. Così come nei test-match dello scorso giugno. O nel Rugby Championship 2018. Qualcosina si era visto lo scorso novembre, ma l’evidenza ci dice che è stato un fuoco di paglia. Purtroppo.
I media ovali ne hanno parlato poco o nulla: qualche trafiletto sui quotidiani che per natura o attinenza geografica sono più vicini alla palla ovale, poco anche sul web. Qualcuno ha pubblicato il comunicato di World Rugby senza nessun accenno all’assenza italiana, qualcuno lo ha scritto senza dare molta importanza alla cosa, ma solo “Il Nero e il Rugby” ha dato alla notizia uno spazio tutto suo. Tutte scelte legittime, intendiamoci, ognuno fa quello che vuole, ci mancherebbe.

Le opinioni in merito sono sicuramente diverse ma personalmente trovo incontestabile il fatto che in Italia abbiamo un problema arbitri. Meglio: abbiamo ANCHE un problema arbitri. Qualcuno dirà che ci sono alcuni giovani interessanti che stanno crescendo, altri che pure la Scozia non porta nessun fischietto al Mondiale. E’ vero, entrambe le affermazioni sono corrette, ma sono precisazioni che non spostano di una virgola un problema che ormai è conclamato.
Da ormai 5 anni il Cnar, ovvero la Commissione Nazionale Arbitri, è stata passato sotto la gestione del settore Tecnico Federale. I motivi delle mancate convocazioni dei nostri fischietti arrivano da lontano, hanno diversi “perché”, ma è evidente che quella decisione del Consiglio Federale FIR non ha aiutato. Ci saremmo trovati a questo punto anche senza quel “trasloco”? Forse, non lo sapremo mai. La situazione ormai è questa, e non dall’altro ieri.

E poi,a volte, bisognerebbe mettere in fila gli elementi. L’ultimo è una notizia arrivata poco prima di Pasqua, ovvero che sempre il Consiglio Federale della FIR ha deciso l’assunzione a tempo indeterminato di Franco Ascione, che oggi è “Responsabile area tecnica – Presidente della commissione tecnica federale” ma che di fatto è l’uomo che gestisce e dirige l’apparato tecnico della federazione ormai da quasi 20 anni.
Personalmente non ho proprio nulla contro il professor Ascione e prendo atto della decisione della FIR. Però qualche domanda me la faccio, guardo agli ultimi 15-20 anni, osservo i risultati ottenuti a fronte anche degli investimenti fatti. A quello score tutt’altro che esaltante (eufemismo) ci aggiungo questa cosa degli arbitri e poi mi chiedo se in una qualsiasi altra federazione sarebbe stata presa una decisione simile o se a un qualsiasi dirigente sarebbe stata garantita una simile longevità della carica. Con quei risultati, s’intende.
Io, come dicevo prima, provo a mettere semplicemente in fila gli elementi. Poi ognuno si dia la sua risposta.

La stagione 2918/2019: che cosa ci lascia e cosa si porta via

Benetton Treviso, Zebre, il Top 12 e la nazionale verso il Mondiale di settembre. Ma anche la questione permit players ancora senza una normativa e due “dettagli” spariti da ogni radar: l’Accademia legata al Benetton e l’Accademia dedicata al Seven…

L’annus horribilis delle Zebre, una franchigia ancora in cerca di una identità

“Annus Horribilis in decade malefica”, cantava qualcuno… Un anno fa la stagione della formazione di Parma si era chiusa con qualche buona speranza per il futuro, ma il 2018/2019 non ha fatto registrare nessun passo avanti. E rimane un equivoco di fondo, una specie di peccato originale, che se non viene risolto impedirà ogni progresso davvero significativo

C’è Treviso che sabato si gioca la partita più importante dei suoi ultimi 10 anni (almeno) con la tranquillità mentale di chi sa di aver già ottenuto un grande risultato. Ci sono le prime convocazioni del ct azzuro Conor O’Shea in vista della preparazione al Mondiale che scatta in settembre in Giappone.
Cose abbastanza grosse insomma, ma a me in questi giorni ha colpito un lungo post pubblicato su Facebook dalla pagina “Rugby Bet – Pronostici ovali”. E’ un vero e proprio articolo in realtà, si intitola “Il rovescio della medaglia” e parla di Zebre.
Perché le due notizie di cui sopra, soprattutto quella di Treviso, hanno fatto passare in secondo piano il fatto che quella appena conclusa è stata un’annata estremamente deludente per la franchigia di Parma. Intanto un ampio stralcio del post in questione, ricco di dati sulle Zebre:

“(…)- è stata la peggiore della sua conference e dell’intero campionato;
– ha avuto di gran lunga il peggior attacco (12,4pt a partita) e la peggior differenza punti (-18,1pt di scarto a partita) del torneo;
– è stata la peggiore squadra professionistica europea in trasferta, avendo raccolto solo un punto in classifica e avendo incassato uno scarto di -29,7pt in media lontano dal Lanfranchi;
– al termine della regular season è arrivata a una serie negativa di quattordici sconfitte consecutive, risalendo l’ultima vittoria in campionato al 26 ottobre 2018.
Una stagione storta può capitare: nessuno si sognerebbe di attaccare una squadra che incappa in una stagione fallimentare. Il problema è che questa che si è appena conclusa è l’ennesima stagione fallimentare. Per la seconda volta su due, da quando esiste il sistema delle Conference, si è piazzata ultima nella sua; per la quinta volta sulle sette partecipazioni totali si è piazzata ultima in classifica generale. Segnali di una svolta non ce ne sono (…)

A mio avviso il più clamoroso problema è da ravvisare nel mercato. Imbarazzante è dir poco. Come messo in luce in un vecchio post, si contano sulle dita di una mano gli acquisti riusciti di giocatori stranieri; la maggior parte sono stati elementi mediocri o che hanno comunque deluso le aspettative. (…) le Zebre e soprattutto il rugby italiano ne avrebbe potuto e dovuto far benissimo a meno.
(…) A cosa servono le Zebre? Se sono la franchigia di sviluppo del movimento, perché sono imbottite di stranieri? E perché questi stranieri sono scarsi per giunta? Di solito alla prima domanda si risponde che i tanti stranieri servono perché mancano i giocatori italiani di livello, alla seconda che il budget non consente firme di grido. Personalmente mi sembra evidente il cortocircuito. È grave che non ci siano abbastanza elementi italiani validi ma, assodato ciò, non capisco a che pro andare avanti acquistando stranieri mediocri presi a caso e senza alcun progetto. (…) Se questa è la situazione, forse l’esistenza stessa di questa franchigia è da riconsiderare; contando anche quanti soldi vi vengono investiti, purtroppo male, dalla federazione”.

A mio pare sono due le cose su cui ragionare circa la situazione delle Zebre. La prima, la più contingente, è che la stagione si sia conclusa con una sorta di nulla di fatto. Non c’è stata crescita sotto nessun aspetto. Non parlo dei risultati del campo, parlo proprio di quello che si è cercato di costruire e come è stato “tradotto”. I problemi del gruppo allenato da Michael Bradley sono rimasti gli stessi di 12 mesi fa, identici. Certo qualche alibi c’è, come i non pochi infortuni, ma non basta a spiegare tutto. Si è partiti bene per poi peggiorare sempre più con il passare delle settimane, con i risultati e con le prestazioni.
La seconda, che arriva da lontano ma che è all’origine di tutti gli altri mali: qual è l’identità delle Zebre? E soprattutto: ne hanno hanno una o chi le deve gestire (in maniera operativa) si barcamena tra una idea iniziale che è solo uno slogan o poco più e una realtà quotidiana che invece sembra andare da un’altra parte? Sono una franchigia di sviluppo o una selezione che cerca di essere quello che non è per mancanza di giocatori, progettualità e struttura? Se in FIR non si decidono su questa cosa le Zebre continueranno inevitabilmente a fare poco (nel migliore dei casi) o nulla. E continueranno a far male sia l’una che l’altra cosa.