Verso la RWC: Italia ottimista ma la valigia per il Giappone è piena di dubbi

ph. Fotosportit/FIR

Per il ct O’Shea l’Italia può raggiungere i quarti di finale, quello che il campo ci ha mostrato anche in queste ultime settimane sembrerebbe però dire altro

Ormai ci siamo. La nazionale azzurra è in Giappone e tra un paio di settimane debutta al Mondiale: prima Namibia, poi Canada, quindi Sudafrica e All Blacks. L’obiettivo? Lo staff azzurro ha sempre parlato apertamente di ambizioni di quarti di finale. Quindi battere Namibia e Canada per poi giocarsela con gli Springboks, superati per la prima volta a Firenze nel novembre 2017. Il ct Conor O’Shea ha più volte detto che l’obiettivo è quello di vincere tre gare e che la sua Italia sia la migliore squadra azzurra di sempre, conquistando qui quarti di finale finora mai raggiunti. Lo ha detto chiaro e tondo, senza giri di parole.
Ottimismo come se non ci fosse un domani insomma. In parte comprensibile, intendiamoci: il tecnico non può che cercare di tenere alto l’umore di un ambiente che se si guardassero i risultati del campo non avrebbe molti motivi di stappare bottiglie. Anzi. Però un ottimismo che al sottoscritto – per quello che vale (cioè nulla) – pare eccessivo nei contenuti e nelle forme.
Cose già dette? Certo, anche perché di refrain ripetuti sino allo sfinimento il rugby italiano degli ultimi anni ne è pieno. La vera domanda da farsi è perché questi ritornelli sono sempre di moda. Devo ricordare quante sono le partite vinte negli ultimi Sei Nazioni? O la percentuale davvero bassa di vittorie in generale? Vabbé.

Ad ogni modo cosa ci lasciano le quattro gare che ci hanno accompagnato verso i Mondiali nipponici? Tanti dubbi, conferme di cose che non vanno e poche cose positive. Nulla di nuovo sotto il sole, ma forse qualcosa di più era lecito attendersi: quella con l’Irlanda (29 a 10 per gli irlandesi) è stata una partita davvero brutta che visto in campo due squadre imballate ma nelle settimane successive una delle due formazioni è crescita di tono e di livello. Quella che è scesa in campo in maglia verde.
Francia e Inghilterra? Due ko netti e incontestabili. In un caso non abbiamo saputo approfittare di un XV transalpino molto falloso e contro cui abbiamo anche giocato in 15 contro 13: una volta che i galletti hanno sistemato la disciplina non c’è più stata partita. A Newcastle abbiamo fatto da sparring partner a una Inghilterra che nel primo tempo ci ha “usato” per sistemare alcuni aspetti del suo gioco e che nel secondo tempo ha affondato i colpi senza grosse difficoltà. La Russia l’abbiamo seppellita sotto un diluvio di mete (85-15) ma non si può tacere del gap tecnico esistente
Cosa? Non si può tacere anche del gap che invece intercorre tra noi, gli inglesi, i francesi e gli irlandesi? E’ vero. C’è però qualche sfumatura, chiamiamola così, che non è secondaria: tipo che noi siamo nel Sei Nazioni da 20 anni e la Russia no. Che a differenza della formazione di Mosca noi per questa partecipazione abbiamo ricevuto valanghe di finanziamenti che non sono serviti a diminuire il gap di cui sopra, che si è anzi allargato.

Mischia spesso in difficoltà, lentezza della manovra, rimessa laterale, la consueta difficoltà a colpire l’avversario nei momenti in cui davvero si potrebbe dare uno scossone al match. Tutte cose che sono da rivedere e che destano preoccupazione. Mi ha poi particolarmente colpito in maniera negativa la fisicità deficitaria nei punti d’incontro, cosa su cui in linea teorica partivamo forse con un qualche vantaggio rispetto ai nostri avversari dovuto al fatto che noi andiamo in Giappone tarando la preparazione sulle tre prime partite, che sono quelle che decideranno tutto. Irlanda, Francia e Inghilterra mirano invece al bersaglio grosso o quantomeno ad arrivare il più avanti possibile e la loro preparazione è quindi finalizzata ad avere il proprio picco nel mese di ottobre, non per fine settembre come noi. Invece.

Canada e Namibia sono decisamente meno forti dell’Italia ma saranno comunque due match impegnativi sotto l’aspetto fisico, soprattutto il secondo. Batterli è il minimo sindacale, perderne una trasformerebbe la spedizione azzurra in un disastro. Su questo non ci può essere discussione. Aspettiamo e vediamo.

Di seguito alcune dichiarazioni di ct e capitan Parisse dopo i test di preparazione delle ultime settimane.

  • Dopo Irlanda-Italia, finita 29 a 10. Conor O’Shea: “Credo che oggi sul campo si sia visto che la differenza tra noi e l’Irlanda non è così marcata. Ci sono molti aspetti positivi nella prestazione di oggi, abbiamo un sogno ambizioso per i Mondiali ma siamo sulla strada giusta. Fisicamente abbiamo dimostrato di essere presenti contro una delle migliori squadre al mondo: la differenza tra noi e l’Irlanda si è ridotta, sono quasi contento”.
  • Dopo Italia-Russia, finita 85-15. Conor O’Shea: “Quest’oggi abbiamo mostrato la nostra intensità nel gioco con la palla e senza palla. Siamo sulla strada giusta, io amo ripetere che il nostro obiettivo non è il Sei Nazioni o il tour estivo, ma il mondiale”.
    Sergio Parisse: “La Russia è un avversario rispettabile, anche se obiettivamente di un altro livello rispetto al nostro”
  • Dopo Francia-Italia, finita 47 a 19. Sergio Parisse: “Dobbiamo imparare da questa lezione, il Mondiale non era oggi e non sarà a Newcastle venerdì prossimo, ma dal 22 settembre contro la Namibia.C’è tanta delusione ma si sono viste anche ottime cose oggi; prepareremo l’Inghilterra e poi andremo a giocarci le nostre carte al Mondiale”.
  • Dopo Inghilterra-Italia, finita 37 a 0. Conor O’Shea: “Abbiamo due partite all’inizio del Mondiale, contro Namibia e Canada, se giochiamo come stasera non avremo nessun problema con loro”

L’Italia che se la racconta: il Tinello di Vittorio Munari danza su un mood azzurro

Trovare sempre e comunque un motivo per dire che tutto sommato le cose non vanno poi così male. Uno sport molto diffuso dalle nostre parti, intanto gli anni passano e il movimento si muove poco o nulla. Cosa ci lasciano i test-match di preparazione alla RWC 2019 finora giocati… Palla a Vittorio!

All Blacks, Springboks e Mondiali: ma il Tinello di Vittorio Munari parte dal Petrarca

Focus sulla sfida dello scorso sabato tra le due squadre che l’Italia dovrà affrontare alla RWC di settembre in Giappone. Ma si inizia da un ritorno a casa…

Nelle anonime acque italiane del Seven

Un codice rugbistico di cui si parla molto ma che dalle nostre parti non ha una programmazione vera. Non un campionato nazionale, non un progetto, non una idea forte e precisa. E i risultati inevitabilmente non arrivano. Non potrebbe essere altrimenti.
E’ giunto il momento di fare delle scelte. Oppure di lasciar perdere. Magari è un po’ drastico, ma sarebbe onesto.

Belle storie ovali d’Italia: l’esempio di Parabiago e del suo Rugby Sound

Probabilmente non è una situazione ripetibile, ma è comunque un esempio di come idee e passione a volte possono dare risultati che definire insperati è poco.
Quante volte abbiamo scritto, letto, ripetuto, sentito parlare della difficoltà di reperire risorse economiche da parte delle società di rugby? Tante, infinite volte. E continueremo a farlo.
Nel milanese però da 20 anni c’è un evento creato e pensato proprio per quella bisogna che non solo è diventato enorme ma che ormai si autorigenera diventando ogni volta un po’ più grande. Succede in quel di Parabiago, dove la locale società rugbistica ha dato vita nel 1989 al Rugby Sound. Di cosa si tratta? Di quella che era una festa di fine stagione così come fanno tutti i club e che si è trasformata in un festival musicale tra i più attesi e con i cartelloni più ricchi di ogni estate, quantomeno di tutta la Lombardia e dintorni, rimando stretti. Una cosa non semplice quando alla fine sei una cittadina di nemmeno 30mila abitanti a un tiro di schioppo da Milano, metropoli che proprio nei mesi più caldi vede il proliferarsi di eventi e kermesse musicali con artisti di ogni genere e provenienza.

Eppure è successo: una festa di fine anno nata (anche) per fare un po’ di cassa con panini alla salamella e birre e che ora rappresenta un investimento a quasi sei zeri e che porta guadagni importanti per il Parabiago Rugby. Una voce che consente al club di poter programmare il futuro con una certa tranquillità e che può aiutare non poco nella ricerca e nella raccolta di sponsorizzazioni.
Perché quando riesci a portare sul palco (da qualche anno nella bella location del castello di Legnano) artisti del calibro di Salmo, Subsonica, Coma Cose, Skunk Anansie – sono solo alcuni nomi dell’edizione 2019 che si è appena conclusa – che a loro volta portano un pubblico di varie decine di migliaia di persone, beh, qualche risultato poi lo porti a casa.
Hanno avuto fortuna quelli del Parabiago Rugby? Probabile, possibile, che come dice il poeta senza un briciolo di culo non vai da nessuna parte o quasi. Però bisogna creare le condizioni per poter sfruttare al meglio anche gli imprevedibili aiuti della dea bendata. Loro lo hanno fatto.

Dicevo prima che quello del Rugby Sound non è un esempio replicabile all’infinito, ma se ci pensate bene potrebbe avere tentativi di emulazione in più luoghi di quanto magari non si potrebbe pensare. Bisogna avere perseveranza e pazienza, 20 anni non sono esattamente pochissimi, ma poi i risultati possono arrivare. Grandi risultati.
Qualcuno dirà che nonostante un evento simile, con i relativi incassi, il Rugby Parabiago non gioca nel massimo campionato italiano e che dalle sue squadre di ogni categoria non sono usciti (finora) chissà quali caterve di giocatori d’alto livello.
Vero, però scusatemi, un festival musicale – per quanto di successo – non può garantire risultati tecnici di sorta e non bisogna dimenticare che sul fronte giocatori ci sono società che negli ultimi anni hanno vinto scudetti a mazzi e che non hanno visto uscire dalle proprie giovanili praticamente nemmeno un azzurro. Quindi di cosa staremmo parlando?
Il Rugby Sound è una splendida iniziativa gestita in maniera efficace ed efficiente. Merita solo applausi, e magari anche qualche tentativo di imitazione: dio solo sa quanto ne avrebbe bisogno l’asfittico mondo del rugby italiano. Al 2020.