Tre blogger, qualche birra e una palla ovale: benvenuti dai The Friends of rugby

Rubarsi visibilità e click, succede spesso tra giornalisti di testate diversi. Se poi il piatto non è di quelli poi così abbondanti come nell’Ovalia italiana… Però io, Marco Turchetto e Duccio Fumero siamo amici e ci frequentiamo ormai da anni. Serate tranquille, pinte di birra, qualche chiacchiera. Rugby? Certo, anche quello, ma non solo. Comunque se metti a un tavolo assieme tre simili soggetti qualcosa alla fine accade. Per esempio che Il Grillotalpa, Rugby 1823 e RugbytoItaly si mettano a discorrere di Sei Nazioni. In maniera amena, s’intende, ma dicendo comunque delle cose. Credo.
Queste serate saranno replicate ogni tot, ovviamente al The Friends Pub di Milano (in viale Monte Santo). Eccovi la prima…

Dal “paradigma Nadolo” ai punti di bonus con vista sul Galles: il Sei Nazioni arriva nel Tinello di Vittorio Munari

Ancora qualche giorno e finalmente si parte: Scozia-Irlanda e Inghilterra-Francia (sabato 4 febbraio ), poi Italia-Galles (domenica 5) danno il via al torneo più atteso e amato dell’emisfero nord. Vittorio Munari ci presenta l’edizione 2017 partendo dalla sua novità più importante, ovvero l’introduzione dei punti di bonus, per chiudere poi con alcune considerazioni sulla sfida dello stadio Olimpico.
Che dire… kick-off!

Sei Nazioni U20: la missione azzurra? Allontanarsi da un buco nero

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Che poi il nostro vero cruccio dovrebbe essere il Sei Nazioni U20. Circa un anno fa su OnRugby ho scritto un articolo che raccoglieva le statistiche principali degli azzurrini dal 2008 al 2016: il nostro bottino (si fa per dire) è di 3 vittorie, un pareggio e 41 ko in 45 partite. 
Poi scrivevo un paio di frasi così:

(…) l’Italia ha nel complesso fatto 464 punti e ne ha subiti 1346, per una media-gara di 10,3 punti fatti e 29,9 punti subiti. In sette occasioni non ha fatto nemmeno un punto. La differenza punti dice -882, una roba tipo la temperatura su Plutone o cose così.

E le mete? Se i nostri conti non sono sbagliati l’Italia in tutte le edizioni giocate ha messo assieme 46 mete fatte a fronte delle 169 incassate.

Chiudiamo con la parentesi-amarcord di OnRugby con una tabella che mettevo in calce a quell’articolo:

Questo il dettaglio stagione per stagione, dei punteggi degli azzurrini:
2008 – 54 punti fatti, 100 punti subiti – 5 mete fatte e 8 subite
2009 – 57 punti fatti, 137 punti subiti – 6 mete fatte e 16 subite
2010 – 54 punti fatti, 128 punti subiti – 3 mete fatte e 16 subite
2011 – 39 punti fatti, 179 punti subiti – 2 mete fatte e 24 subite
2012 – 60 punti fatti, 138 punti subiti – 6 mete fatte e 16 subite
2013 – 65 punti fatti, 145 punti subiti – 8 mete fatte e 17 subite
2014 – 46 punti fatti, 143 punti subiti – 6 mete fatte e 19 subite
2015 – 46 punti fatti, 216 punti subiti – 6 mete fatte e 32 subite
2016 – 43 punti fatti, 160 punti subiti – 4 mete fatte e 21 subite

Numeri che certificano una difficoltà che certo non si può dire momentanea, ma strutturale. Nessuna novità, purtroppo. Il nostro movimento non “produce” giocatori quantitativamente e qualitativamente all’altezza dei nostri avversari nel torneo, non a quell’età quantomeno. I nostri ragazzi hanno un processo di maturazione fisico/tecnico più lento e il risultato sono quei dati, quei numeri. Forse anche le guide tecniche non sono sempre state all’altezza, o le più idonee. E comunque stats don’t lie, dicono al di là della Manica.
Statistiche sulle quali c’è poco da discutere e difendere, qualcosa dalle nostre parti non funziona. La nazionale a noi più avvicinabile per risultati è oggi la Scozia, che però con le sue 12 vittorie dal 2008 a oggi è comunque molto più avanti, senza contare che quasi la metà di quelle affermazioni (5) sono state ottenute negli ultimi due anni e questo 2017 è un anno cruciale per quel movimento, forse quello del salto di qualità vero. A Edimburgo e dintorno sembrano aver preso il sentiero giusto anche a livello giovanile, vedremo quest’anno.

Invertire la rotta non è né semplice, né immediato. Serve tanto lavoro oscuro prima di ottenere qualche risultato. Il presidente federale Alfredo Gavazzi sottolinea ormai da un paio d’anni la bontà dei risultati delle selezioni azzurre minori, quell’U17 e U18 che hanno fatto oggettivamente bene, ma basterà?
L’U20 è una nazionale che viene smontata e rimontata per buona parte della rosa ogni anno, anche questo non aiuta moltissimo, ma è un problema che hanno tutti. Gli effetti del lavoro di Aboud e O’Shea anche in questo delicatissimo e importante settore si vedranno tra un po’ ma forse per troppo tempo siamo rimasti fermi. Ripartire non è facile. Migliorare quei numeri non solo non è impossibile (anche perché peggio di così…) ma è assolutamente necessario. Senza dimenticare il dopo, ovvero il garantire ai nostri giovani minutaggi importanti e di qualità una volta terminata l’esperienza con la maglia azzurra U20.

Il Sei Nazioni come un ring: mettiamoci i guantoni e pesiamo tutte le contendenti

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Una settimana abbondante e il Sei Nazioni 2017 vivrà il suo kick-off. Si parte sabato 4 febbraio prima con Scozia-Irlanda, si prosegue subito dopo con le crunch, quell’Inghilterra-Francia che si prenderà l’attenzione di tutta Europa dal sontuoso palco di Twickenham. Primo turno che si chiude domenica con una Italia-Galles quanto mai interessante, perché i Dragoni quest’anno sembrano arrivare al torneo un po’ meno performanti del solito. E quindi un po’ più alla portata dei nostri ragazzi. Poi bisogna vedere in quale formato mentale gli azzurri scenderanno in campo, se più quello modello Sudafrica o quello modello Tonga, tanto per intendersi.

Fare dei pronostici su un torneo come il Sei Nazioni è sempre estremamente complicato. Le sorprese sono all’ordine del giorno, il livello complessivo medio molto alto. Poi è una competizione breve, fatta di partite secche, dove un errore o una giornata storta può diventare irrecuperabile e se questa arriva alla prima giornata…
Ho perciò deciso di mettere le sei squadre partecipanti sulla bilancia, come fossero dei pugili. Il peso o la categoria dicono delle cose, ma non tutto, perché l’approccio mentale o la capacità di incassare colpi senza finire in ginocchio contano moltissimo. Partiamo dall’alto.

Peso Massimo, oltre 90,720 kg: Inghilterra
Perché è la squadra campione uscente, perché un anno fa ha vinto con tanto di Grande Slam, perché il suo 2016 ha registrato solo vittorie, perché ha uno staff tecnico spaventosamente ben assemblato e capace di risollevare il morale e la testa di un gruppo uscito a pezzi dal Mondiale casalingo del 2015. Perché ha un bacino enorme e di grande qualità da cui pescare e perché ha margini di crescita davvero importanti. I favoriti d’obbligo.

Peso Massimo leggero (90,600 kg): Irlanda
Squadra a tratti bellissima, con le idee molto chiare in testa. Migliorata la profondità della rosa ma il gap con l’Inghilterra rimane. Parte con una doppia trasferta in Scozia e Italia: sulla carta un inizio di torneo un po’ più semplice rispetto alle avversari.

Peso Mediomassimo (79,275 kg) o Supermedio (76,104)? Francia
Dopo anni difficili ha imboccato la strada giusta, ma l’impressione è che le cose da sistemare siano ancora un po’. Un parco giocatori quantitativamente e qualitativamente di grande livello, ma la luce si spegne ancora un po’ troppo spesso e la concentrazione mentale non è sempre quella necessaria. Guy Novés ci ha messo un po’ ma sembra aver comunque trovato il bandolo della matassa. Potrebbe essere il torneo del salto di qualità, ma il condizionale è d’obbligo

Peso Medio (72,480 kg): Scozia
Squadra di difficile interpretazione. Sa giocare benissimo, non soffre di grandi black-out ma non è semplice dire quali siano ancora i suoi margini di crescita. Il movimento non è profondo come in altri lidi ma a Edimburgo e dintorni stanno lavorando benissimo, con una programmazione chiara e ben oculata. Vern Cotter ha già annunciato che dalla prossima estate non sarà più il ct ma il cambiamento sembra essere stato gestito al meglio. Può essere la vera sorpresa dell’edizione 2017.

Superwelter (69,762 kg): Galles
Un grande boh. La squadra c’è, i giocatori non mancano, la capacità di rialzarsi e di tirare fuori dal cilindro grandi prestazioni quando proprio non te lo aspetti nemmeno. Però i gallesi sembrano attraversare un periodo di appannamento, con uno staff tecnico che è diventato obiettivo ancora una volta dei British & Irish Lions. Sulla carta ha il debutto più semplice, quello con l’avversaria più abbordabile (l’Italia): potrebbe rivelarsi un boomerang se i Dragoni non dovessero scendere in campo con la giusta concentrazione.

Peso Welter (66,591 kg): Italia
Meglio rimanere con i piedi ben piantati per terra. Il primo a saperlo è il ct Conor O’Shea: “Dobbiamo pensare al breve, medio e lungo termine: essere competitivi al Sei Nazioni è il primo, diventare la squadra che nessuno vuole affrontare ai prossimi Mondiali deve essere il secondo”. Il tecnico irlandese sa che lo aspetta un torneo complicato e così ha messo il vero focus – ovvero “diventare la squadra che nessuno vuole affrontare” – a distanza di un paio d’anni. Che poi quella cosa non significa essere necessariamente vincenti, anche se lo spero ardentemente, come tutti – ma ostici.
Il debutto è contro il Galles, partita difficile ma quest’anno non impossibile, almeno sulla carta. Partire con il piede giusto anche dal punto di vista della prestazione sarà di enorme importanza. Pensare più alla gara con Tonga che non all’impresa con il Sudafrica è la cosa migliore da fare. Potremmo diventare dei Superwelter? Sì, ma attenzione a non scivolare tra i Superleggeri o peggio.

Sei Nazioni, Mondiale e campionato: il rugby delle ragazze aspetta un 2017 da trampolino elastico

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ph. Fotosportit/FIR

Tra un paio di settimane scatta il Sei Nazioni, il primo con una copertura tv (streaming compreso) degna di questo nome, ad agosto il Mondiale in Irlanda, in mezzo un campionato nazionale che ha trovato una sua stabilità ma che deve ancora crescere. Il 2017 del rugby delle ragazze potrebbe rivelarsi davvero importante in Italia. Ne ho parlato con la responsabile FIR del Settore Femminile, Maria Cristina Tonna, nonché vero deus ex machina del movimento…

Che cosa possiamo aspettarci? Decifrare il rugby femminile non è mai semplice, cose e valori cambiano molto più rapidamente che non tra gli uomini, da un anno con l’altro i panorami possono cambiare in maniera repentina anche per fattori che con lo sport hanno poco a che fare, come diventare mamma…
Hai individuato bene il nocciolo della questione: non è semplice programmare perché è un settore che si sta in qualche modo sviluppando, e non parlo solo del caso italiano, è più o meno così quasi dappertutto. Ci sono eventi che ormai fanno parte della tradizione, sono codificati, come il Sei Nazioni o il Mondiale, ma per tutto il resto invece c’è ancora molto da fare, a partire dagli impegni di novembre o le amichevoli di giugno. Gli uomini oggi conoscono in maniera piuttosto precisa quali saranno i loro impegni per i prossimi 2/3 anni almeno, per noi non è così.

Si naviga più a vista?
Non direi così. Piuttosto il mondo femminile è ancora molto legato a quelle che sono le tradizioni che hanno le grandi nazioni che da sempre guidano questo movimento: Inghilterra, Francia, Nuova Zelanda. Sono le squadre che storicamente sono più avanti e la programmazione delle stagioni è ancora molto legata a quelle che sono le abitudini di quei luoghi, dove ci sono accordi che vengono mantenuti vivi tutt’ora e questo si riflette sulle altre realtà.
Spesso si sottolinea che gli uomini non sono professionisti, ma in tantissimi paesi non lo sono nemmeno le donne e ci sono meno investimenti, magari non tanto da parte delle federazioni ma da parte degli sponsor. E’ un cane che si morde la coda.

L’Inghilterra da qualche anno ha un nucleo di giocatrici pagate dalla federazione, delle professioniste vere e proprie. Lo stesso mi pare anche la Nuova Zelanda e pure la Francia. In Italia gli uomini non sono ufficialmente riconosciuti come professionisti, ma almeno nell’alto livello sono pagati come tali. Non sarebbe meglio a questo punto spingere affinché la federazione metta sotto contratto un gruppo di atlete, una decina, che sul medio periodo possano garantire l’ossatura della nazionale?
Le donne hanno sicuramente delle difficoltà maggiori rispetto agli uomini. Basta pensare come dicevi tu alla gravidanza, che è una tappa fondamentale nella vita di una ragazza/donna a prescindere dal fatto che faccia o meno un qualsiasi sport. Sono discorsi molto più ampi che vanno oltre il rugby. Io mi occupo di sport, ma non lo dico per glissare la domanda. Ti posso dire che le ragazze ci mettono una passione incredibile e che nessun tipo di stipendio può fare da deterrente.
Oggi abbiamo questo e andiamo avanti così, chiaramente abbiamo fatto dei risultati e speriamo che la situazione migliori. Il board ha preso decisioni importanti, che ci daranno maggiore visibilità e io sono convinta che arriveranno nuovi sponsor che si interesseranno all’attività rugbistica femminile.

Tornando al Sei Nazioni, cosa dobbiamo aspettarci? Tenendo conto di quella propensione al cambiamento molto rapido che c’è nel mondo femminile quali sono le formazioni che potrebbero avere qualcosa in più da dire? E cosa può regalarci la nazionale azzurra?
Come tutti gli altri useremo il Sei Nazioni come warm-up in vista del Mondiale in Irlanda perché sono le gare di più alto livello che ci sono in programma. Questo non avvantaggerà nessuno e credo che tutti metteranno sempre in campo la migliore formazione possibile.
Inghilterra, Francia e Irlanda sono comunque un passo avanti a tutte le altre e lo hanno dimostrato negli ultimi anni vincendo un po’ a turno il Sei Nazioni, facendo molto bene tutte e tre al Mondiale del 2014. Hanno poi un bacino importante di ragazze che giocano e questo permette loro di avere un ricambio continuo. Noi siamo subito dopo di loro, lo abbiamo dimostrato battendo la Francia due anni fa o battagliando con l’Inghilterra fino alla fine a Ivrea l’anno scorso. Cercheremo di fare del nostro meglio e il fatto di non porci dei limiti pur avendo ben chiaro quali sono i nostri ci da una grande serenità nell’affrontare qualsiasi avversario. Questo è un grande merito di Andrea Di Giandomenico, il ct, che ha insegnato alle ragazze a lavorare sulla prestazione perché con quella poi arriva anche il risultato. Siamo consapevoli di chi siamo e di quello che sappiamo fare.

Il Mondiale invece è ancora troppo lontano per poter dire qualcosa?
E’ un obiettivo che abbiamo raggiunto dopo tantissimi anni, la cosa certa è che non abbiamo nessuna intenzione di andare in Irlanda a fare le turiste. E’ un risultato che abbiamo voluto in maniera caparbia, ancora ricordiamo la grandissima delusione quando fummo escluse dall’edizione francese del 2014 anche per un sistema di qualificazione discutibile e secondo noi inadeguato rispetto a quello che stava diventando il rugby femminile internazionale.
Noi ci stiamo preparando in maniera molto serena, determinata e non sotto i riflettori. Stiamo lavorando bene, in maniera continua e costante: una volta finito il Sei Nazioni e le competizioni nazionali entreremo nella fase finale dell’avvicinamento con due mesi di lavoro assieme in cui faremo delle cose più mirate.

Ci si può sbilanciare sui gironi iridati?
Tutte le poule sono forti, ma d’altronde ci sono 12 squadre partecipanti al torneo e non può essere diversamente. Gironi semplici non esistono. Dobbiamo vedercela con la Spagna che non gode di grande credito ma per quanto mi riguarda avrei evitato e magari incontrato volentieri più avanti; con gli Stati Uniti possiamo dire la nostra e poi c’è l’Inghilterra che è chiaro che è una delle grandissime potenze del rugby mondiale. Arrivano prontissime e hanno un bacino di giocatrici enorme, hanno delle strutture attorno che sono molto più solide delle nostre e hanno più storia. Vogliamo fare bene: stiamo lavorando per arrivare lì con le armi giuste e provare a passare il turno. Non vogliamo fare le spettatrici.

Non ti farò la “solita” domanda sul rapporto risultati ragazze-risultati uomini. Però è innegabile che il fatto che voi abbiate ottenuto dei risultati vi ha aiutato a crescere nonostante il continuo ricambio di giocatrici, cosa che invece non si può dire per i maschietti che godono di una stabilità di gruppo superiore
E’ vero che le ragazze hanno più motivi per smettere, ma va pure detto che noi questo ricambio lo abbiamo sempre ricercato per avere una rosa più ampia e non rimanere con una coperta troppo corta, avendo avuto per tanti anni la coperta cortissima. Abbiamo cercato di imparare dalla nostra storia e cerchiamo di essere più lungimiranti.
E vincere ci ha aiutato moltissimo sul piano della crescita mentale: a volte di vincere si ha paura, non si riesce a superare un timore riverenzialenei confronti di chi fino al giorno prima era il tuo modello. Faccio un esempio: oggi ci è rimasto questo tabù di battere l’Irlanda,  io credo che sia già nelle nostre corde ma dobbiamo raggiungere mentalmente la consapevolezza che lo possiamo fare. Non ti nego che mi piacerebbe molto farlo a L’Aquila il 12 febbraio, anche per i motivi che tutti voi potete immaginare.

A fronte di quel continuo ricambio che c’è nella rosa delle giocatrici la nazionale femminile ha uno staff tecnico e dirigenziale che nel corso degli anni è cambiato pochissimo. Pensi che questo aspetto abbia aiutato?
Io credo di sì perché si è raggiunto un affiatamento importante. Penso che sia un valore aggiunto che ci aiuta a superare anche i momenti di tensione o a correggere immediatamente un errore. Siamo diventati molto bravi in questo, siamo solidali tra di noi pur rispettando i compiti, gli ambiti e le particolarità di ciascuno. Ci diamo una mano senza invadere il campo altrui.

Il Sei Nazioni 2017 avrà finalmente una copertura televisiva degna di questo nome
E’ un passo epocale: il board del torneo ha deciso di schiacciare il pedale dell’accelerazione sul torneo delle donne perchè nel mondo la stessa World Rugby ha capito che il settore femminile è un fattore importantissimo di crescita

Il nostro campionato. Sono stati anni non semplici: cambi di formule, squadre scomparse, altre che si sono fuse. Un movimento sicuramente vivace ma dove i problemi non mancano. Esiste una crescita anche lì?
C’è ovviamente un distacco rispetto ai risultati della nazionale, ma credo che sia fisiologico tanto è vero che questo gap c’è anche nel settore maschile. Il nostro campionato nazionale ha avuto una importante crescita anche numerica alla quale stiamo cercando di dare una risposta qualitativa. La formula del torneo si è stabilizzata e dà pari opportunità alle squadre del nord e del sud. Stiamo cercando di traghettarlo verso la meritocrazia ma serve un numero congruo di squadre, serve tempo.
Io comunque non demonizzerei il campionato perché ci dà dando risultati quantitativi e qualitativi. Sono tante le società che collaborano con le squadre di Serie A grazie alla realizzazione dei tutoraggi, sono tante le ragazze che si stanno avvicinando al rugby a 15, riusciamo ad arrivare al territorio in maniera più capillare. L’azzurro, diciamo così, riesce a penetrare un po’ dappertutto e questo è un bel messaggio anche per la ragazzina che magari vive nel paesino un po’ sperduto e che coltiva questa passione.
E’ vero che alcune squadre sono sparite ma se c’è una cosa di cui non posso certo lamentarmi è la passione delle ragazze. C’è invece da dire che sono poche le società che investono seriamente e in maniera continuativa nel rugby femminile. Il “folclore” del rugby delle ragazze di ormai 20 anni fa dovrebbe essere passato, ma non per tutti è così. Eppure con la nazionale abbiamo dimostrato di quello che siamo capaci, e pure con finali di campionato di buon livello come quella dello scorso anno che ha richiamato duemila tifosi.

Una domanda secca per chiudere: il 2017 è un anno importante ma sarà un punto di arrivo o in qualche modo di partenza per tutto il movimento?
Io credo un bel trampolino elastico d’arrivo e di ripartenza, che ci proietti verso nuove sfide fra cui quella di aumentare i numeri soprattutto fra le bambine.