
Due gare diverse tra loro ma che confermano (sempre in maniera diversa) la crescita delle nostre due principali formazioni, nonostante le sconfitte. Ora c’è da fare un altro salto che non è fisico o tecnico, ma di mentalità. Un salto culturale: dimenticarsi la sfortuna
Le Zebre per un tempo hanno fatto diventare matti i francesi del Pau, attualmente settimi in classifica nel Top 14, a soli 9 punti dalla vetta. Treviso si è vista portare via la vittoria contro il Tolone (ragazzi, il Tolone!) solo nel recupero. Questo è quello che ci consegna il fine settimana di coppe europee.
Partite diverse, avversari diversi e storie diverse. A Parma i bianconeri sono bellissimi nel primo tempo e vanno al riposo sul 30 a 7, alla fine il tabellone però dirà 33 a 38 per Pau, capace di piazzare un parziale di 31 a 3 nella ripresa e di recuperare un gap che sembrava enorme. Al Monigo invece i biancoverdi vengono colpiti a freddo da Semi Radradra, non si disuniscono e lottano punto a punto con l’armata transalpina e vengono puniti all’ultimo secondo da un piazzato di Trinh-Duc che fissa il risultato sul 29-30.
Cosa dire? Che man mano che le settimane passano quanto di buono si è visto in questo primo squarcio di stagione viene confermato. Di più: diventa più solido e importante. Cresce. Treviso a Bath aveva perso 23 a 0 pagando la sua sterilità offensiva, ma il club inglese in mischia aveva sofferto le pene dell’inferno: la sconfitta ci stava, ma quel passivo era eccessivo. I ragazzi di Crowley hanno dimostrato contro una delle squadre più forti, organizzate e complete di tutta Europa che se riescono anche a concretizzare se la possono giocare fino all’ultimo respiro con tutti, o quasi.
Le Zebre hanno un problema di rosa, con i rincalzi che non sono all’altezza dei titolari. Non al momento, almeno. Ad Agen, dove c’era stato un turn-over massiccio, la cosa era subito saltata agli occhi e il secondo tempo di Parma lo ha certificato al di là di ogni dubbio. Non è un problema da poco, le Zebre rischiano di dover lasciare sul campo diverse partite per questa cosa, gare che con una rosa un po’ più ampia e all’altezza potrebbero portarsi a casa. Tipo quella di sabato.
Un’ultima cosa, la più importante. Nei commenti post-partita di tifosi e appassionati in tanti hanno usato la parola “sfortuna” per i ko delle nostre due squadre. Qui la sfortuna conta davvero poco. Se regali un tempo a una squadra come il Pau perdere non è un colpo di sfortuna. Se subisci due mete tecniche, se la disciplina lascia a desiderare e se incassi una marcatura pesante perché hai fatto un passaggio un po’ così favorendo un intercetto la parola “sfortuna” non devi usarla. E il primo a non farlo è stato infatti coach Bradley che nel dopo-partita ha sottolineato più volte gli errori e le mancanze dei suoi uomini.
Allo stesso modo, per quello che riguarda Treviso non puoi parlare di sfortuna se commetti un fallo. Cose che capitano, certo, che fanno parte del gioco ma la sfortuna è altro, è la folata di vento improvviso che cambia la direzione di un calcio. Un fallo non è sfortuna, è un errore.
Se Treviso o le Zebre avessero vinto sarebbe stato per colpi di fortuna? No. Non parliamo allora di sfortuna per queste due sconfitte. Intendiamoci, non voglio dire che la dea bendata non incida in nessun caso ma le squadre vere (che sono quelle che ragionano in grande a prescindere dei risultati) non si aggrappano mai alle casualità e cercano sempre i perché, le responsabilità. Si cresce così. Meglio dire che i risultati di sabato ti provocano incazzature memorabili. Meno elegante magari, ma più corretto.




