Quale e quanta Eccellenza? L’importante è che ci sia un progetto coerente

 

Il rugby discute dell’allargamento del nostro domestic a 12 squadre, ma il vero tema è la prospettiva a medio-lungo termine, che però sembra non esserci: solo tre settimane fa il presidente FIR parlava di un campionato nazionale a 6 squadre, poi si è deciso per un numero di formazioni doppio…

Nello sport la qualità sta nelle cose piccole? A volte. Mi spingo a dire che si potrebbe anche utilizzare la parola “spesso”. Però, alla fine, non esistono regole matematiche certe applicabili a qualsiasi ambito. Le variabili sono troppe, anche all’interno di una stessa disciplina. Quindi rifaccio la domanda: nello sport la qualità sta nelle cose piccole? Dipende.
Venerdì il Consiglio Federale della FIR ha stabilito che nella stagione 2017/2018 per l’Eccellenza (e in Serie A) verranno bloccate le retrocessioni per far sì che dalla stagione successiva il massimo campionato italiano salga da 10 a 12 squadre. Negli ultimi giorni abbiamo letto le tesi più diverse sulla questione e chi ne scriveva portava esempi di sostegno alla sua tesi, esempi concreti e quindi in qualche modo portatori di una loro verità. Validi insomma. Una riprova che non esiste una Verità assoluta.

L’allargamento dell’Eccellenza sarà un bene o un male? Personalmente trovo che non cambierà un granché la situazione attuale, allungherà un po’ un brodo già non molto saporito di suo, ma non provocherà danni eclatanti. Sarebbe stato meglio ridurre il numero delle squadre, probabilmente 8 è il numero ideale, ma anche qui siamo nel campo delle opinabilissime opinioni personali.
Il punto vero della questione però è un altro: quale idea di movimento ha in mente chi gestisce il rugby italiano? Che tipo di struttura? Come organizzare i vari livelli? Come metterli in comunicazione tra loro? Perché avere 6,8, 10 o 12 squadre può essere più o meno proficuo solo se messo in relazione con il resto della piramide.
E il problema è che qui non si capisce bene a quale genere di struttura ambisce la FIR e – nello specifico – il presidente federale Alfredo Gavazzi. Negli anni ha più volte espresso volontà e convinzioni che poi non si sono mai realizzate o che ha dovuto abbandonare lungo la strada (la terza franchigia celtica, l’elefantiaco sistema delle accademie) per motivi economici o per cause di forza maggiore. Altre volte erano solo annunci.

Però la vicenda di questa riforma dell’Eccellenza è un po’ diversa perché solo 20 giorni fa alla presentazione del nuovo sponsor tecnico delle nazionali il presidente federale ha detto che in caso di un futuro senza Pro12 “faremo una Eccellenza a 6 squadre, anche se meno performante”. Era il 3 luglio, non il 2002.
L’impressione è quella di un navigare a vista, senza progetti chiari a medio-lunga scadenza: cosa succederà dopo il 2020, quando l’attuale contratto celtico in essere scadrà? O meglio: che cosa VOGLIAMO fare? A inizio luglio l’ipotetica Eccellenza ideale senza Pro12 e con il ritorno del Benetton Treviso tra i ranghi dei tornei nazionali era di 6 squadre partecipanti, oggi con l’avventura celtica ancora in atto e quindi con i biancoverdi impegnati tra Galles, Irlanda e Scozia le squadre raddoppiano, diventano addirittura 12. Sarò anche prevenuto (ma, a qualcuno sembrerà incredibile, in realtà non lo sono affatto), ma un po’ mi perdo, non capisco come le due cose possano stare assieme. Quantità e qualità per parlarsi devono andare a braccetto e far parte di un progetto comune, oggi l’impressione è che ognuna vada sola per la sua strada.

Zebre, blocco delle retrocessioni dell’Eccellenza e Continental Shield: oggi a Bologna si decide

Oggi pomeriggio a Bologna, a partire dalle ore 15, si tiene un Consiglio Federale FIR piuttosto importante. Generalmente i parlamentini federali di fine luglio sono parecchio “cicciosi” e anche quest’anno sarà così.
Potrebbe esserci la ratifica dei quadri tecnici delle selezioni nazionali giovanili e del riformato parco accademie, ma questo punto potrebbe essere oggetto di un altro Consiglio che si terrà a inizio agosto. Poi ci sono i due piatti forti di giornata.
Il primo è quello delle Zebre, con il Consiglio chiamato a togliere un po’ di nebbia dal futuro e dalla composizione societaria della franchigia bianconera, un passo necessario e propedeutico al via effettivo della nuova stagione, che il ritardo accumulato è già comunque eccessivo visto che il problema era noto da tanti mesi.

Il secondo piatto è quello che invece prevede diverse novità per l’Eccellenza, con il probabilissimo blocco delle retrocessioni per la stagione 2017/2018 per portare dall’anno dopo a 12 le formazioni del massimo campionato nazionale, ovviamente grazie a due promozioni dalla Serie A al posto di quella unica attuale. Secondo OnRugby a essere bloccate potrebbero essere anche le retrocessioni dalla Serie A alla Serie B. I
Infine c’è la faccenda Continental Shield, con la FIR – così come avevo scritto a fine maggio – che spingerebbe per una selezione ma con i club che invece da quella parte non ci sentono un granché bene, anzi… Ad ogni modo il motivo del contendere è tutto economico.
Vedremo quali saranno le decisioni che verranno prese.

Dal Pro12 un giro di carte inevitabile: per l’Italia l’ora di riprendere in mano il suo destino

Nella capitale il summit tra il boss operativo del torneo celtico e Alfredo Gavazzi è andato nell’unico modo in cui poteva andare, con la conferma della pattuglia italiana fino al 2020. Ma bisogna lo stesso muoversi. Mitrea escluso dal panel degli arbitri di Champions Cup e Sei Nazioni?

Ieri l’incontro a Roma tra il Managing Director del Pro12 Martin Anayi e il presidente federale Alfredo Gavazzi. Dopo il vertice non è stato emesso nessun comunicato ufficiale ma sul tavolo c’erano l’ingresso di due franchigie sudafricane nel torneo e la situazione delle Zebre. Per quanto riguarda la prima questione i dettagli verranno resi noti tra una settimana, dopo l’incontro in programma a Dublino del board della competizione, e non è matematico che Kings e Cheetahs entrino a far parte del torneo già dal prossimo settembre. Dettagli ancora non conosciuti nemmeno sulla vicenda Zebre che preoccupa non poco i dirigenti del Pro12 che – lo ricordiamo – hanno affrontato solo una manciata di anni fa un altro crack italiano, quello degli Aironi.
L’incontro ha stabilito che le squadre italiane nel torneo rimarranno due fino al 2020, così come prevede il contratto sottoscritto dalla FIR. Poi si vedrà.

La stampa veneta nei giorni scorsi aveva paventato una possibile esclusione dei bianconeri con il conseguente dimezzamento della pattuglia italiana. Due però le spinte che portavano verso il mantenimento dello status quo: il primo di natura contrattuale ed economica, con la prevedibile penale che la FIR avrebbe dovuto pagato in caso di inadempimento dei termini previsti dall’accordo tutt’ora in essere (ma, rimanendo legati ai biechi numeri: siamo sicuri che i costi di due anni di torneo celtico sarebbero stati superiori alla sanzione?), il secondo di natura politica con la nostra federazione che non poteva permettersi un simile fallimento, con l’estromissione di una sua squadra dopo aver vagheggiato fino a pochi mesi fa la costituzione di una terza franchigia. Lasciando tra l’altro sullo sfondo la questione di una trentina di giocatori a quel punto da piazzare da qualche parte a metà luglio… Come quasi sempre accade in queste cose (quasi, eh) tutto è andato nell’unico modo in cui poteva andare.

Nei prossimi giorni un po’ di nebbia sulle Zebre verrà diradata per forza di cose, ma quello che personalmente trovo più importante è l’atteggiamento nella gestione dei due anni di contratto celtico. Finora l’Italia è rimasta in mezzo al guado, tenuta in quella posizione anche dagli scarsi risultati del campo e da quelli nulli sul fronte economico, ma servono un cambio di marcia e idee chiare su cosa fare oggi, su cosa fare tra due anni e su come armonizzare il resto del movimento meglio di quanto non si è fatto finora (e su questo aspetto ottenere risultati più positivi non dovrebbe essere complicatissimo). E soprattutto l’Italia deve tornare ad essere padrona del suo destino, non solo accontentarsi di essere socio 1minoritario nella stanza dei bottoni in balia delle volontà altrui.

Intanto Rugbymeet racconta di una esclusione ancora non uffiiciale ma che sembra ormai certa di Marius Mitrea dal panel di arbitri della prossima Champions Cup, e di quello conseguente dal Sei Nazioni. Nell’articolo si legge che “(…) qualcuno si era addirittura sbilanciato prevedendo che sarebbe stata quella 2018 l’edizione storica del Sei Nazioni che avrebbe visto la direzione di gara affidata a un membro del CNAr. Invece niente. Pare che il nome di Mitrea non compaia nemmeno nella lista dei primi e dei secondi assistenti. Un’altra versione della sua eliminazione parla più semplicemente di “parabola in ascesa giunta al massimo della sua salita” e di “posti da lasciare ad altri e più giovani pretendenti”. Comunque la si voglia intendere, se confermata, la notizia dice che dal 2000 (anno di ingresso al Sei Nazioni) a oggi l’Italia non è riuscita a esprimere un direttore di gara degno di operare ad alto livello”.

Come scrivevo poco fa bisogna invertire la rotta di questa lenta deriva iniziata 3-4 anni dopo l’ingresso nel Sei Nazioni. E bisogna farlo con i fatti e i risultati in primis sul campo e poi anche nella capacità di generare fatturato (è il professionismo bellezza), lasciando da parte l’orgoglio nazionalista ferito che va forse bene per conquistarsi qualche titolo sui giornali e un po’ di spazio effimero sui social, ma lascia davvero il tempo che trova.

Il vento del Sudafrica sul Pro12 non spazza via le nostre sofferenze celtiche

Le franchigie sudafricane alla porta, un po’ più lontana – ma comunque incombente – pare ci sia anche una selezione statunitense e i colloqui con la federazione tedesca. Ma, cosa più preoccupante per noi, è che tra le mura di casa c’è un gran marasma. Perché siamo all’11 luglio e sulla vicenda Zebre ci sono ancora banchi di nebbia parecchio fitti, tanto che secondo alcuni organi di stampa la corsa dei bianconeri potrebbe essere arrivata davvero alla fine con la non iscrizione al prossimo torneo celtico. Una indiscrezione al momento, ma cerchiamo di essere onesti: se davvero accadesse avremmo di che essere stupiti? Arrabbiati, contrariati, polemici, soddisfatti… tutto quello che volete, ma forse stupiti no.
A Treviso la situazione è decisamente più tranquilla ma anche qui si tengono gli occhi bene aperti con il club ha annunciato il rinvio dell’inizio della campagna abbonamenti per la stagione 2017/2018. Perché? Beh, perché del calendario del prossimo anno ancora non si vede traccia e finché non verrà risolta la questione delle franchigie sudafricane non potrebbe essere altrimenti. Ma in Veneto preoccupa di più quello che succede – o quello che NON succede – a Parma e lanciano un segnale. D’altronde nella Marca la partecipazione all’avventura celtica non è mai stata vissuta come una questione di vita o di morte.

La verità è che dopo 7 anni possiamo dire in maniera inoppugnabile o quasi che il Pro12 è economicamente insostenibile per il nostro movimento. Per parteciparvi abbiamo impoverito il resto della piramide e non siamo mai riusciti a dare una qualche raddrizzata, a metterci anche delle semplici pezze. Allestire le franchigie costa moltissimo, la famigerata tassa d’ingresso è ancora tutta lì nonostante annunci e promesse, non più 3 milioni d’accordo, ma ogni anno paghiamo un milione e 250mila euro per partecipare a un torneo che non porta sponsor o soldi dai diritti televisivi. E’ vero che nella relazione allegata all’ultimo Bilancio Preventivo FIR il presidente Gavazzi parla di trattative per portare le partite del torneo celtico su Eurosport per 400mila euro l’anno, ma si tratta di cifre fantascientifiche per quanto abbiamo visto finora, con incassi bassissimi per la federazione che in gran parte delle scorse annate si è pure accollata i costi della produzione. Credo che nessun gruppo tv sia oggi disposto a sborsare quella cifra per il Pro12, tanto più che non è in corso nessuna asta per vincere la corsa a quei diritti, che infatti sono stati spesso assegnati a campionato già iniziato da diverse settimane. Perdonatemi, ma finché non lo vedo non ci credo.

E sotto l’aspetto tecnico? Qui la questione si fa più dibattuta, con la gran parte di giocatori e tecnici sottolineano l’importanza di prendere parte al campionato celtico. Certo oggi un’alternativa vera non si è voluta/potuta costruire, con l’Eccellenza che è stata prima degradata e poi tenuta a languire in una sorta di limbo che non soddisfa nessuno. Una Eccellenza competitiva probabilmente cambierebbe le carte in tavole, e nemmeno di poco.
Ad ogni modo le nostre due formazioni hanno un gap non indifferente, con una struttura del torneo che oggi penalizza Benetton e Zebre, costrette a continue lunghissime trasferte che di fatto impediscono ai giocatori di allenarsi adeguatamente per buona parte dell’anno. Non lo dice Paolo Wilhelm, ma è una tesi sostenuta da tutti – ribadisco: tutti – i tecnici e i team manager che si sono finora avvicendati sia in campo biancoverde che in quello bianconero. Scozzesi, irlandesi e gallesi hanno trasferte molto più brevi e comode. Certo la geografia li aiuta, ma va anche detto che molte delle formazioni che vengono in Italia accorpano le trasferte a Parma e Treviso in modo da poterle affrontare nell’arco di una settimana. A Zebre e Benetton succede molto più raramente e qui la geografia c’entra pochissimo, ma è il peso politico a contare, la forza di cui disponi per avanzare richieste che sai i tuoi partner non gradiranno perché cambieranno in peggio la loro vita. Ma la scorsa settimana il presidente federale Gavazzi ha detto che “il primo luglio dovevamo diventare soci del Pro12, ma non abbiamo risposte”. Oggi a Roma incontro tra il vertice FIR e quello del board celtico.

IN AVANTI POPOLO! – Un po’ di cose sulla vicenda Zebre, partendo da lontano per guardare oltre domani

Sulla vicenda Zebre le reazioni di tifosi e appassionati sono state le più diverse, si è letto un po’ di tutto, ma l’indignazione – merce piuttosto diffusa in questi tempi – è forse il sentimento più comune. Piccolo passo indietro: poco meno di una settimana fa la FIR ha comunicato che la società bianconera “sarà interamente partecipata dalla Federazione stessa con l’obiettivo di rispettare gli accordi vigenti e garantire la partecipazione di due squadre italiane al Guinness PRO12 sino al 2020”. Le Zebre così come le conoscevamo sono morte, fallite, ne nasceranno altre con una denominazione probabilmente molto simile a quella attuale, che rimarranno a Parma di sicuro la prossima stagione e poi si vedrà.
Indignazione dicevamo, ma alla fine quella che è successa è la cosa più sensata che poteva accadere. Intendiamoci, e non è un dettaglio, sensata per come si erano messe le cose.

Nel corso degli anni ho più volte scritto che uno dei deficit più pesanti del nostro movimento è quello dirigenziale. E’ un problema che riguarda la FIR, dove è ovviamente più visibile data la specificità di quella realtà nel panorama rugbistico italiano, ma che fatte le debite proporzioni interessa la maggior parte di club e società di ogni dove e di ogni livello. La vicenda Zebre, pardon, la vicenda Aironi/Zebre è paradigmatica, quasi un caso da laboratorio. Un po’ tutta la vicenda celtica lo è.
Inevitabilmente salterò un po’ di cose, il mio vuole essere un riassunto per sommi capi, ma a grandi linee sono successe queste cose: a metà del decennio scorso tra i principali sostenitori dell’avventura in Celtic si annovera Alfredo Gavazzi che tanto fa e tanto disfa e che a un certo punto riesce a strappare una bozza di accordo con il board per l’iscrizione italiana a costo zero. Chi gestisce però il rugby italiano in quel momento (Giancarlo Dondi) dice di no, ma la questione rimane comunque per aria per alcuni anni in cui aperture e chiusure verso quel torneo si susseguono. Alla fine arriva il via libero definitivo al costo però di 3 milioni di euro l’anno (la famosa “tassa di iscrizione” che paghiamo tuttora, anche se diminuita a un milione e 250mila euro l’anno) e non senza aver prima vissuto un vero e proprio dramma ovale con la vicenda dei Pretoriani prima indicati al posto del Benetton Treviso e poi messi alla porta perché dossier e candidatura presentata dalla franchigia romana vengono considerati ben al di sotto dei requisiti richiesti.

Si parte quindi con Aironi e Benetton: Treviso viaggia da sola (se bene o male è un discorso che oggi qui non ci interessa) grazie a una struttura ben oliata nel tempo e la presenza di uno sponsor padronale che mette soldi veri da tanti anni e che continua a farlo tutt’ora. Magari meno di un tempo, ma lo fa e in giro non ce n’è molti altri. Anzi.
Gli Aironi incontrano difficoltà tecniche – assolutamente prevedibili, quasi normali verrebbe da dire – e altre economico/societarie: i conti non tornano, alcuni soci smettono di versare i finanziamenti promessi e il presidente Melegari chiede aiuto alla FIR, un sostegno temporaneo di una stagione per superare il momento difficile. Dalla federazione arriva un no, gli Aironi collassano e falliscono, nascono le Zebre che vengono portate a Parma (strano eh?) e tra i soci ci sono anche quelli che hanno fatto saltare la baracca in quel di Viadana.
Le Zebre però sono totalmente federali, chi paga la qualunque è il presidente della federazione, che ora è anche cambiato: non c’è più Dondi, che si sente costretto a ritirarsi dalla corsa di settembre 2012 e che si appoggia Gavazzi, che viene eletto quale suo successore. Tra i due i rapporti sono quantomeno altalenanti, non si piacciono, nelle club house tra una birra e l’altra si raccontano anche di scontri durissimi ma entrambi i diretti interessati sanno che possono aiutarsi a vicenda. Non è una vera alleanza, è più una concomitanza di fattori e di convenienze.

Il nuovo numero uno del nostro rugby dice quasi fin da subito che vuole privatizzare le Zebre, questione di soldi e conti (la franchigia bianconera costa molto, parecchio di più dell’aiuto che Melegari aveva richiesto a Dondi), ci mette un paio di anni abbondanti in cui nessuna grossa azienda e/o sponsor si fa avanti per aprire i cordoni della borsa, soprattutto in maniera continuata, ma alla fine un nutrito gruppo di soci del territorio ducale ed emiliano messi assieme un po’ alla bell’e meglio raccolgono una cifra che serve quantomeno per coprire il capitale sociale (300mila euro circa). Gli attori coinvolti sono tanti, troppi, quelli che hanno più peso specifico sono di fatto gli stessi che hanno fatto andare a gambe all’aria gli Aironi e soprattutto non mettono e non metteranno mai i soldi per fare delle Zebre una vera e propria società privata: i bianconeri vanno avanti esclusivamente grazie ai soldi della FIR, il resto sono chiacchiere.
La situazione, alla lunga, non può che implodere e arrivare esattamente al punto in cui si trova oggi. Quel comunicato federale dell’altro giorno è la naturale conclusione di questa vicenda. E lo ripeto: data la situazione è anche la più sensata.

Il problema però non è l’oggi, ma il domani. E con domani non intendo nemmeno la stagione a venire o quella dopo, il problema è cosa succederà alla scadenza del contratto con il board. Perché l’obiettivo, carta canta, è quello di “rispettare gli accordi vigenti e garantire la partecipazione di due squadre italiane al Guinness PRO12 sino al 2020”. Oggi, martedì 27 giugno 2017, l’odore è quello del tiriamo a campare, del vediamo che succede. Ci sono degli accordi, li devo rispettare e oltretutto la credibilità internazionale italiana che già non è altissima (giratela come volte: due fallimenti in sette stagioni sono un cv che nessuno vorrebbe avere) ne uscirebbe a pezzi. Bisogna arrivare al 2020, cercare di coinvolgere sponsor, amministrazioni comunali e istituzioni in un’avventura che finora non ha portato né risultati sportivi e nemmeno soldi. Mettiamoci una pezza fino al 2020 e poi vedremo. Nel frattempo cerchiamo di farci male il meno possibile e tutto quello che verrà lo avremo guadagnato. Tanto più che ormai l’ingresso di un paio di franchigie sudafricane ormai sembra certo e dopo il 2020 (guarda le coincidenze) le opzioni USA/Canada se non addirittura Germania potrebbero diventare concrete.

Personalmente – per quello che può valere – trovo che il nocciolo della questione oggi sia questo. E lo capisco anche, è un ragionamento coerente. Ma può bastare per il momento, al massimo qualche mese, poi bisogna decidere cosa vogliamo fare da grandi, una volta per tutte. Se essere ancora celtici oppure no, con tutto quello che ne consegue. Progettando piani alternativi che siano comunque compatibili con un sistema e una struttura che va migliorata in più punti, a partire dal nodo-Eccellenza.
La vicenda Zebre oggi ci dice tutto questo. Ho sempre pensato che Alfredo Gavazzi sia una persona molto abile nel momento in cui lo metti con le spalle al muro, lo è meno nella fase della progettazione e della visione a medio-lungo termine (opinione personale, ça va sans dire). Oggi è costretto a farlo. E’ simpatico? Antipatico? E’ la persona adatta alla bisogna oppure no? Sono domande inutili, aleatorie e tutto sommato fuori luogo. Finora ha dovuto gestire una situazione creata da altri, ora la palla ce l’ha lui. Punto. Qualcosa deve combinare. La FIR deve smettere di traccheggiare e prendere una decisione chiara, possibilmente la più condivisa possibile e poi perseguirla con forza. Lo hanno fatto in Scozia, possiamo farlo pure noi. Alternative non ne abbiamo più.