In avanti popolo! – Verso il Galles: quelli che… non sono mai contenti delle formazioni

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ph. Fotosportit/FIR

Ma Campagnaro???  Perché Favaro non c’è? Bisegni all’ala? Ghiraldini in panchina? Benvenuti… boh! Non capisco perché Gori: non si poteva insistere con Bronzini?

Quelli sopra elencati sono un po’ di commenti sparsi raccolti in Rete dopo l’annuncio della formazione con cui l’Italia affronterà all’Olimpico di Roma il Galles nella prima giornata del Sei Nazioni 2017.
Il mio è un piccolo sfogo, perché chiunque segua il rugby anche in maniera un po’ distratta ha capito da tempo che non è che dalle nostre parti abbondino fenomeni e campionissimi (purtroppo, s’intende). Schierare Gori o Bronzini – due nomi a caso – non cambia poi la questione più di tanto. Uno può essere fisicamente più pronto dell’altro, oppure psicologicamente più concentrato e reattivo. Tutte cose che sono sotto il controllo attento di Conor O’Shea e del suo staff, che sarà forse banale ricordarlo ma è di gran livello e un po’ di cose ovali le ha vissute sulla propria pelle. Non sono gli ultimi arrivati. Non vuol dire che ci pigliano/piglieranno sempre, ma qualche carta in regola più di noi direi che a naso ce l’hanno. Di me di sicuro.

La coppia di centri non sembra essere irresistibile per quanto riguarda i placcaggi? Sì, è vero. Sembra. Magari sarà anche così, ma io ancora di pensare a O’Shea come a un autolesionista ancora non ci riesco. Avrà visto quali sono gli uomini più in forma, deciso alcune esclusioni per condizioni fisiche non ottimali (Van Schalkwyk e Favaro: quest’ultima oggettivamente molto pesante), avrà optato per quelli più funzionali al game plan e all’avversario. Sta seminando i semi della concorrenza in un gruppo che quella parola non è che l’abbia mai conosciuta più di tanto. Soprattutto avrà tenuto presente che questo gruppo di giocatori 6 giorni dopo la sfida con il Galles se la deve vedere con l’Irlanda: personalmente “leggo” in quest’ottica la scelta di far partire dalla panchina Campagnaro e Ghiraldini, ad esempio. Ma magari mi sbaglio.

Il ct ha fatto le sue scelte, opinabili per carità, ma è il suo lavoro farle ed è pagato, quello per cui è pagato. Senza dimenticare che è nelle condizioni migliori per poter valutare ogni singolo giocatore. Un po’ più di noi, direi.
E soprattutto: non ha mandato in panchina o in tribuna un Beauden Barrett, un Aaron Smith o un Mario Itoje. Nessun fenomeno si guarderà la partita in tv. Quelli oggi sono i nostri giocatori, la “materia” su cui O’ Shea e i suoi collaboratori devono lavorare. A meno che non si pensi che  tra Canna o Allan passi il giorno e la notte.
“A volte le scelte facili non sono quelle giuste” ha detto O’Shea ieri pomeriggio. Il campo darà la sua sentenza, l’unica che alla fine conta.

In avanti popolo! – Francia, Inghilterra e Italia: affinità e divergenze tra Leghe di club che ci sono o ancora da venire

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Quello che leggete qui sopra è l’articolo 8 dello Statuto FIR attualmente in vigore. Se domani mattina venisse annunciata la nascita della Lega dei Club la normativa quadro e le regole a cui questa nuova entità si dovrebbe sottoporre sarebbe questa.
Facciamo un salto in Francia. Ieri il neopresidente della federazione francese Bernard Laporte ha rilasciato una intervista a Le Monde. Laporte è stato a lungo capo allenatore del Tolone di quel Mourad Boudjellal che è da sempre tra i più strenui sostenitori della LNR – la Lega dei Club transalpina – e comunque delle prerogative delle società nei confronti di nazionale e federazione. E cosa dice il numero uno del rugby francese eletto a inizio dicembre? “Se è possibile gestire il Top 14 senza la LNR? Sì, certo, la FFR può”. Ma Laporte non si accontenta, e decide di toccarla piano anche sul lato economico: “Tutti i diritti commerciali della Lega appartengono alla FFR. Quando diciamo che la FFR ha un budget di 115 o 120 milioni di euro è falso. Il bilancio è di € 260 milioni perché prende anche i 140 milioni di euro che vengono dalla LNR”.

La dialettica club-federazioni non è delle più semplici e tranquille, non sempre almeno, si tratta di entità con fini e interessi diversi che si trovano a nuotare nello stesso mare: a volte vanno a braccetto, a volte no. In Francia però nel Comité Directeur della FFR, paragonabile al nostro Consiglio Federale, ci sono tre membri della LNR. LNR che oltre a gestire il TOP 14 e il Pro D2 sbriga anche i compiti della giustizia sportiva.
E in Inghilterra? OltreManica da una parte c’è la RFU, dall’altra la Premiership Rugby Limited che rappresenta i club, totalmente esterna alla federazione. La PRL gestisce il campionato ma non la giustizia sportiva.
Francia e Inghilterra perciò differiscono sotto alcuni aspetti ma in entrambi i casi le locali Leghe di Club sono istituzionalmente ed economicamente autonome e hanno vari strumenti per farsi sentire. Non solo, siedono anche nei posti giusti per farlo: sia LNR che PRL hanno una poltrona nel board della EPCR (assieme alle regions gallesi riunite sotto la sigla Pro Rugby Wales), l’ente che organizza e gestisce le Champions e Challenge Cup.

In Italia che panorama avremmo? Non semplice dirlo. Lo Statuto FIR parla di “funzioni propositive e consultive”, ma oggi come oggi i club non hanno un posto in Consiglio Federale a loro riservato. Sì, d’accordo, i delegati delle società votano i consiglieri federali, ma non è la stessa cosa.
Come ho scritto e detto più volte sono personalmente convinto dell’utilità di una simile organizzazione nel nostro movimento, che il fatto che la LIRE sia implosa meno di 10 anni fa (non che siano mancate anche delle spinte esterne perché tutta la costruzione crollasse) non deve frenare dal pensare del rimetterla in piedi. Però le cose vanno fatte bene, con un po’ di sale in zucca se si vuole che poi funzionino a dovere.
Per le dinamiche politiche del nostro Paese – espressione da intendere in senso lato – e per la nostra prassi istituzionale una Lega realmente autonoma e propositiva certo non farebbe felice la FIR, abituata a gestire il movimento nella sua pressoché totale complessità. Frizioni non mancherebbero.
Da parte loro i club devono trovare una quadra istituzionale, unità d’intenti, una prospettiva davvero comune e un’autonomia economica che non sembra affatto facile raggiungere. Soprattutto una capacità manageriale che oggi latita. Ma grandi alternative non ce ne sono, a meno che non si voglia il solito pastrocchio all’italiana che non servirebbe a nulla.In quel caso, meglio lo status quo.

PS: domani il tema della Lega dei Club verrà toccato assieme ad altre problematiche in una intervista fatta dal Grillotalpa a un importante rappresentante del rugby italiano.

IN avanti popolo! – Biagi, Guidi e le Zebre: beghe che hanno un senso o no?

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“IN avanti popolo!” è una nuova rubrica di questo blog. Trattasi di corsivi piuttosto brevi sul fatto di cronaca più importante della settimana. E stavolta non posso esimermi dal parlare di Zebre. Partiamo.

“…al presidente Pagliarini non sono piaciute alcune osservazioni di George Biagi sul delicato momento societario”. Così la Gazzetta dello Sport di sabato 21 gennaio commenta il cambio di capitano in casa Zebre, con George Biagi – comunque in campo da titolare contro gli Wasps in Champions Cup – che passa la fascia a Carlo Canna.
Settimana complicata a Parma: lunedì la risoluzione consensuale del contratto con l’head coach Gianluca Guidi, l’improvviso cambio di capitano, l’ormai certo addio di Festuccia (tornerà a Londra dopo solo 9 presenze e un totale di 185 minuti giocati nel torneo celtico). Sullo sfondo la totale incertezza sul futuro della franchigia. 
Qualcuno dice che Guidi e la squadra avevano ormai rapporti difficili. Può essere. Quello che è certo però è che fin dalla scorsa estate e in più occasioni il tecnico ha sempre difeso i giocatori contestando anche pubblicamente alcune scelte societarie e se c’è una spaccatura profonda in seno alle Zebre (e diamine se c’è, ma da tempo) è quella tra dirigenti e area tecnica: alla presentazione milanese del derby celtico di Pro12 il Benetton Treviso era al gran completo dal presidente Zatta in giù, per le Zebre c’erano il team manager De Rossi e l’addetto stampa. Stop. Dirigenti assenti. Avranno avuto cose più importanti da fare, probabilmente.

Però facciamo un giochino e formuliamo l’ipotesi: la presenza di Guidi era diventata nociva per i giocatori e si voleva salvaguardare il clima nella squadra. Si trova un accordo e lo si manda via. Bene, la mossa di togliere la fascia da capitano a Biagi in quale strategia si inscrive? Non sono Sun Tzu, ma direi non in quella di tenere unito e sereno lo spogliatoio. Le due cose fanno abbastanza a pugni tra loro. Biagi è un giocatore esperto, stimato da tutti fuori e dentro il campo, persona dotata di grande intelligenza. Uno che se decide di dire in una intervista certe cose è perché ci ha pensato un milione di volte. Si mormora che possa trasferirsi a Treviso in estate. Forse paga pure questo. Forse.
Comunque il presidente Pagliarini, che non ha gradito le parole di Biagi, non più tardi di un paio di settimane fa ha detto nel corso di una conferenza stampa che le Zebre hanno come obiettivo futuro quello di vincere il Guinness PRO12 e che serve un milione di euro per poter terminare la stagione in corso e salvarsi dal tracollo finanziario. Il tutto nell’arco di una manciata di secondi. Ecco.