In avanti popolo! – Il vero gap dell’Italia? Quello dirigenziale

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I risultati negativi del campo del nostro alto livello sono “figli” anche (soprattutto?) di una scarsa capacità manageriale e di programmazione della classe dirigenziale presa nel suo complesso, federale e di club. 

Andiamo indietro di qualche anno, settembre 2008:
“Vogliamo entrare in pianta stabile tra le prime otto del ranking: penso che sia un obiettivo percorribile, la Nazionale è la massima espressione del movimento, e come il movimento ha voglia di crescere. Ma vogliamo anche allargare la base: poco tempo fa pensare a centomila tesserati era un’utopia, adesso è il nostro obiettivo per i prossimi quattro anni, così come una gestione aziendale dello stadio Flaminio e la creazione di un rugby-day, sempre al Flaminio, dove concentrare le finali dei campionati nazionali. Oggi abbiamo un sito internet estremamente seguito, lo integreremo con un canale webtv da dedicare al rugby italiano. E progetteremo un’Accademia arbitrale, per avere finalmente direttori di gara italiani nelle massime competizioni internazionali”.

A parlare così era Giancarlo Dondi, il 13 settembre 2008, appena rieletto presidente della FIR. Sono passati quasi 9 anni, non proprio pochi, e ben poco di quelle parole si è avverato: la nazionale ha lasciato il Flaminio per l’Olimpico (e questo è stato un upgrade); la concentrazione delle finali dei campionati nazionali era un’ottima idea e tale rimane, ma non l’abbiamo vista concretizzarsi e comunque il Flaminio – anche se fosse utilizzabile e non si trovasse nelle disastrose condizioni in cui oggi versa – sarebbe troppo grande. La Cittadella di Parma andrebbe benissimo.
La web tv? Qualcuno ci sta provando, tra mille difficoltà, ma appunto 9 anni dopo quelle parole e non per input federale. Gli arbitri: Marius Mitrea è al momento l’unico candidato a raggiungere l’obiettivo indicato nel 2008, e ancora non c’è arrivato (ma faccio il tifo per lui, ça va sans dire), è andata meglio in campo femminile negli ultimi due anni con Maria Beatrice Benvenuti. I 100mila tesserati: bene o male ci siamo, ma bisogna pure ricordare che c’è una certa differenza tra le cifre relative ai tesserati e quella dei praticanti effettivi. Però una crescita quantitativa c’è stata. Ah, l’Italia non è mai entrata in pianta stabile tra le prime otto del ranking mondiale rimanendo anzi praticamente sempre fuori dalla top ten.

Perché tirare fuori oggi quelle dichiarazioni di Dondi? Perché in questi giorni difficili per la nostra nazionale a finire nel mirino delle critiche sono soprattutto la FIR, il presidente Alfredo Gavazzi, e qualcuno già punta il dito su Conor O’Shea, che vorrei ricordare ha assunto ufficialmente il ruolo di ct solo 10 mesi fa. Però a me sembrano tutte poco centrate.
Voglio dire, è chiaro che la federazione e il suo massimo rappresentante delle responsabilità ce le hanno, non potrebbe essere altrimenti, ma l’evidente ritardodel nostro movimento che il campo certifica da anni è conseguente a un gap dirigenziale che arriva da lontano e per il quale al momento non vedo grandi inversioni di rotta. Un gap non solo dei vertici FIR ma dell’intera classe dirigente italiana, che negli ultimi 20 anni non è poi cambiata granché. Esempi di eccellenza ce ne sono, ma affogano in un affollatissimo teatrino dove a dominare sono i personalismi, il “vi faccio vedere io come si fanno le cose”. D’altronde l’humus culturale in cui crescono i nostri dirigenti è sostanzialmente quello, perché alla fine il panorama dovrebbe essere poi tanto diverso?
Sono poi personalmente convinto che alcuni – non tutti – dei più fieri oppositori di Alfredo Gavazzi se si sedessero sulla poltrona della presidenza FIR non si comporterebbero in maniera molto diversa da lui. Perché il problema (ammesso e non concesso che lo sia) non è la politica federale propugnata dal suo attuale massimo rappresentante, ma il semplice fatto che vorrebbero trovarsi al suo posto. Farebbero cose diverse? Probabilmente, forse, ma il mood non sarebbe per nulla diverso.

La politica rugbistica italiana è stata negli ultimi 15 anni abbastanza vaga: l’obiettivo forse è chiaro, il come arrivarci proprio no. E anche le strade intraprese non sono state costruite a dovere, difese e rinforzate con la giusta convinzione. L’amico Duccio Fumero di Rugby 1823 ha scritto ieri che “il problema è il Pro12”. Non ne sono molto sicuro: penso che il problema non sia l’avventura celtica in sé. Si può discutere a lungo della sua utilità o meno, ma una volta che la intraprendi devi strutturare l’intero movimento in maniera funzionale, non sperare che le cose poi in qualche maniera si adattino da sole. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e ce lo racconta il campo degli ultimi anni, non il sottoscritto: le nostre franchigie (quasi) sempre abbonate agli ultimi posti della classifica e con uno score di sconfitte lungo da qui a lì, un campionato nazionale depauperato e lasciato languire senza alcun tipo di intervento, una “produzione” di giocatori quantitativamente e qualitativamente non sufficiente, selezioni nazionali che fanno grande fatica e che progrediscono – quando lo fanno – con grande lentezza.

Nessuno ha la bacchetta magica e per ottenere risultati serve tempo. Però siamo entrati nel Pro12 ormai 7 anni fa e le cose cambiate nel frattempo sono pochissime, il “su e giù” degli atleti tra celtiche e squadre di Eccellenza non è mai stato regolamentato se non con il sistema dei permit che è chiaramente una toppa che non soddisfa nessuno. Però è ancora tutto lì, quasi intoccabile.
Il nostro domestic? Si sente sempre dire che va rilanciato, ma finora proposte concrete per cercare di cambiare la situazione non ne abbiamo viste. In 7 anni. E tranne che in pochissimi casi non abbiamo visto presidenti di club sbattere i pugni sul tavolo. Quindi responsabilità della FIR, certo, ma non solo.
Le celtiche? Si va dalla gestione delle Zebre che non ha bisogno di commenti, all’annuncio della necessità di avere tecnici italiani a guidarle così come per lo staff tecnico della nazionale maggiore. Quale sia la situazione attuale (e le carte di identità degli allenatori delle squadre menzionate) la conosciamo tutti.

I tecnici cambiano, i giocatori passano ma i risultati del campo sono sempre gli stessi, al pari di alcuni dirigenti-chiave. E allora qualche domanda bisognerebbe farsela. E sperare che davvero venga lasciata carta bianca a Conor O’Shea e alle persone di cui si è circondato, anche se dopo tanti anni viene naturale chiedersi perché stavolta dovrebbe essere diverso: perché è vero che l’arrivo dell’irlandese, di Catt, Venter e Aboud sono di primissimo livello ma sono anche in controtendenza rispetto alla policy federale perseguita fino a qualche mese fa. Vedremo, attendiamo speranzosi.
Il ct anche nell’immediato dopo Italia-Irlanda ha ribadito pubblicamente che le cose da cambiare nel rugby italiano sono tante, i prossimi mesi in questo senso saranno decisivi, vedremo quali novità verranno approntate in vista della prossima stagione. Anche perché il tecnico di Limerick non è venuto a svernare alle nostre latitudini, non è nella fase conclusiva della sua carriera. Se devo scommettere i miei proverbiali due cent direi che a farsi rosolare a fuoco lento non ci sta proprio.
E’ una occasione da non buttare via: la Scozia non l’ha fatto e guardate nel giro di 3-4 anni dove è arrivata. Il primo passo è avere idee chiare e convinzione: O’Shea le ha, il “lasciatelo lavorare” è d’obbligo. Se poi otterrà l’introduzione di modifiche che vengono sostenute da anni avremo la prova del nove che abbiamo buttato via del tempo, ma meglio tardi che mai. O no?

Dondi e il suo Grande Slam: il terzo posto

Claudio Barbieri per Sky Sport

Il conto alla rovescia per il via del Sei nazioni 2011 è ormai agli sgoccioli. Venerdì il calcio d’inizio del torneo con Galles-Inghilterra, poi sabato il debutto dell’Italia al Flaminio contro l’Irlanda. Gara storicamente difficile quella contro i verdi, mai battuti nel Sei Nazioni.

Il ct Nick Mallett deve fare i conti con alcuni infortuni eccellenti: il più pesante è quello di Mauro Bergamasco, che salterà tutto il torneo per il guaio alla spalla rimediato a novembre. L’obiettivo della squadra, come ripetuto nei giorni scorsi anche dal presidente del Coni Gianni Petrucci, è quello di riscattare una passata edizione deludente (una vittoria e quattro sconfitte, ndr). Dello stesso avviso anche il presidente della Federazione Rugby Giancarlo Dondi, da 15 anni alla guida della palla ovale italiana e artefice dell’ingresso dell’Italrugby nel Sei Nazioni.

Dondi, manca poco all’esordio nel Sei Nazioni. Al ‘Flaminio’ arriva l’Irlanda. Che cosa ci dobbiamo aspettare?
“E’ giusto cercare di vincere sempre, anche nel debutto contro l’Irlanda. Per farlo dovremo dare più del cento percento, vista la forza dei verdi. I ragazzi sono carichi. Il tempo delle belle figure è finito, ora ci aspettiamo dei risultati. Abbiamo già battuto gli irlandesi, anche se mai nel Sei Nazioni. Se guardiamo i risultati delle nostre squadre contro le irlandesi nella Celtic League, allora non abbiamo speranze. Ma in Nazionale tutto è diverso. Inoltre la cabala ci sorride: nel 2000 battemmo la Scozia nella prima gara del Sei Nazioni e nessuno se lo aspettava. Dobbiamo essere ottimisti”.

L’Italia potrà contare sull’appoggio dello Stadio Flaminio. Un aiuto importante, visto che nella storia del torneo gli azzurri hanno ottenuto sei delle sette vittorie tra le mura amiche.
“Avere lo stadio pieno fa piacere, specie dopo le prestazioni non certo esaltanti negli ultimi test-match. L’unica cosa che chiedo è al pubblico di Roma di essere più presente e partecipe. Dalle statistiche in nostro possesso abbiamo visto che sono molti quelli che arrivano da fuori. Per questo mi piacerebbe avere più romani sulle tribune”.

Negli ultimi test match invernali la squadra sembrava aver compiuto dei passi indietro, sia a livello di gioco che di risultati. Dove può arrivare questa Nazionale?
“Dobbiamo dimostrare di essere maturati. Basta con le promesse, perchè a furia di non mantenerle rischiamo di tornare indietro. Abbiamo dalla nostra la gente, che riempie gli stadi e che ci segue in massa in trasferta. Questo è il segnale che il popolo del rugby ci crede. Non siamo molto distanti a livello europeo dalle migliori: Francia e Inghilterra hanno un serbatoio superiore, ma noi dobbiamo metterci subito alle loro spalle”.

Vincere il torneo è ritenuto da tutti un’utopia. Ritenendo Francia e Inghilterra ancora inarrivabili, si può puntare ad un terzo posto?
“Il terzo posto sarebbe un ottimo risultato, sarebbe come vincere facendo il Grande Slam. Noi dobbiamo sempre giocare per vincere, poi se alla fine l’avversario è più forte ci leveremo il cappello. Il nostro obiettivo è di colmare il gap con le migliori. Abbiamo tanti infortunati, ma non dobbiamo piangerci addosso. Abbiamo una rosa di qualità e per questo abbiamo l’obbligo si superare le difficoltà di questo tipo”.

Il ct Nick Mallett, alla guida della Nazionale dal 2008, è a rischio (5 vittorie e 26 sconfitte il record). Questo Sei Nazioni sarà decisivo per la sua permanenza sulla panchina dell’Italia?

“Mallett è una persona intelligente e sa che tutto dipende dai risultati. Anche se c’è la stima umana, non si può confermare un allenatore che vince poco. Tutto gira intorno ai risultati. Per questo abbiamo deciso di comune accordo di parlare del rinnovo alla fine del Sei Nazioni. Giocheremo a carte scoperte in vista della Coppa del mondo, per evitare di ripetere l’errore fatto con Berbizier nel 2007”.

FIR a consiglio, domani e sabato

E’ convocata per venerdì 17 e sabato 18 dicembre, presso la sede dello Stadio Olimpico di Roma, la riunione del Consiglio Federale della FIR presieduto da Giancarlo Dondi.
All’ordine del giorno, per l’ultima assemblea del 2010, l’approvazione del bilancio preventivo 2011.