Rugby e salute: dal Texas una nuova ricerca sulle concussion. E le notizie non sono buone

La ricerca non è specifica sul rugby ma questo aspetto alla fine è solo un dettaglio. Il tema è quello delle concussion, sempre più al centro della scena di Ovalia con tutto il suo bagaglio di preoccupazioni, studi, ricerche e protocolli per scongiurare qualsiasi problema e salvaguardare la salute dei giocatori di una disciplina in cui lo scontro fisico è dominante.
“Traumi alla testa, a volte provocati anche da sport come calcio o rugby, anticipano in media di due anni e mezzo la comparsa dell’Alzheimer”: inizia così un lancio d’agenzia dell’ANSA di martedì pomeriggio.
Ad annunciarlo è una ricerca della University of Texas Southwestern di Dallas, Stati Uniti. I ricercatori hanno studiato ben 2.133 casi di soggetti a cui il morbo di Alzheimer è stato diagnostico dopo la morte in seguito ad una autopsia, una novità in questo particolare ambito scientifico dove fino ad oggi ci si era affidati allo studio di casi riferiti a soggetti in vita.

Uno stralcio dell’agenzia: “Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Neuropsychology, esamina le lesioni cerebrali avute da giovani in relazione a un deterioramento della salute del cervello una volta diventati anziani. I traumi alla testa dovuti allo sport o al gioco sono molto frequenti, tanto che tra gli americani di età pari o superiore a 5 anni se ne verificano circa 8,6 milioni di episodi all’anno. (i ricercatori, ndr) hanno scoperto che le persone che hanno subito un trauma accompagnato da perdita di conoscenza per più di 5 minuti si sono viste diagnosticare il morbo di Alzheimer in media 2,5 anni prima rispetto ai coetanei che non avevano subito tali lesioni alla testa”.

Numeri e dati preoccupanti, così come sono preoccupanti le parole del neuropsicologo responsabile della ricerca, Munro Cullum: “Non sappiamo come e in quali casi le lesioni alla testa aumentino il rischio di problemi neurodegenerativi più avanti nella vita”. Poi sottolinea che la conferma delle varie ipotesi sul tavolo richiederà anni perché le cartelle cliniche oggi disponibili spesso non includono una storia completa di traumi cerebrali. “Dobbiamo aspettare dai 40 ai 50 anni – ribadisce Cullum – ovvero quando gli atleti di oggi avranno 60 e 70 anni per poterli studiare”. Decenni, un tempo lunghissimo che può lasciare dietro di sé grossi problemi tra gli atleti in attività.
World Rugby e le varie federazioni non si stanno comportando come ha purtroppo invece fatto la NFL in passato (pagandone pesantemente le conseguenze) e questo è sicuramente un bene. Il percorso corretto è stato preso ma non bisogna abbassare la guardia nemmeno per un minuto.

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Ci sono una texana, due sudafricane e una tedesca. Il futuro del Pro12 come una barzelletta?

Il miliardario Hans Peter Wild

Il torneo celtico pensa da tempo a un allargamento e dopo le varie sirene nordamericane (si era parlato anche di Canada) e le indiscrezioni su Cheetahs e Southern Kings l’ultimo rumors riguarda la nazionale tedesca, ma solo dopo il 2020

Prima l’attenzione era tutta rivolta agli Stati Uniti, costa est. Città come Boston, Philadelphia, New York che negli ultimi anni sono state sempre più coinvolte nel rugby europeo e che possono garantire una immigrazione “celtica” – leggi: irlandese, gallese e scozzese, nonché italiana – su cui poter lavorare. Il board del Pro12 guardava a quelle latitudini per i suoi mai smentiti progetti di allargamento. Poi la east coast è sparita dal tavolo, dove è arrivato il dossier su Houston, Texas, non prima però di alcuni rumors che davano qualche chance anche a Toronto. La città che fa da sede alla NASA sembrava avere quella con le carte più in regola da un punto di vista strutturale-societario anche se chi governa il Pro12 qualche dubbio sull’interesse del pubblico non lo ha mai nascosto. In più c’è la grana trasferte, con voli da oltre una decine di ore partendo da Londra. Alla fine anche l’opzione a stelle e strisce sembra essere tornata in frigorifero, e sicuramente pesa anche la promessa di battaglia in ogni tribunale possibile annunciata da Doug Schoninger, l’imprenditore che ha dato vita al Pro Rugby USA, il campionato del quale si è giocato una sola edizione e che ha in mano a suo dire un contratto di esclusiva con la federazione statunitense e – tramite quest’ultima – con World Rugby per la formazione di una squadra professionistica di rugby a 15 per quel paese.

Ecco quindi che nelle ultime due settimane salta fuori il Sudafrica, o meglio, i Cheetahs e i Southern Kings. Secondo la BBC ci sarebbe già un invito formale per le due franchigie che stanno per essere tagliate dal Super Rugby, cosa quest’ultima non ufficiale ma che viene data per sicura. Il Sudafrica è lontano? Sì, ma il fuso orario è quello europeo ed è un paese rugbistico, cosa che faciliterebbe non poco l’aspetto business a partire dai diritti televisivi.
Però fermi, aspettate un attimo: secondo i media inglesi il board celtico ha iniziato discussioni preliminari anche con la federazione tedesca, cosa confermata al sito irlandese the42.ie da Klaus Blank, presidente della Deutschen Rugby-Verbandes. Qui ad essere interessato non sarebbe un club ma la nazionale germanica e si andrebbe a dopo il 2020, più in là rispetto all’allargamento che interesserebbe Sudafrica (o USA) e che partirebbe dalla stagione 2018/2019. Il progetto tedesco avrebbe l’appoggio del miliardario Hans Peter Wild, proprietario di una compagnia che vende heath drinks in tutto il mondo talmente appassionato di rugby che è l’uomo che tutti indicano come prossimo proprietario dello Stade Francais…
Ricordo che il contratto che lega il Pro12 alla FIR scade proprio nel 2020.

Nel titolo parlo di barzelletta ma non volevo essere sarcastico (non più di tanto, almeno), era più un “aggancio” per le diverse provenienze geografiche dei protagonisti che potrebbero essere coinvolti in questo allargamento di cui potremmo sapere già molto di più entro la fine del mese.
In realtà siamo di fronte a un torneo che sta cercando disperatamente un modo di crescere sotto l’aspetto del giro di affari più che in quello meramente sportivo. Destinazioni come USA e Sudafrica vanno in questa direzione, l’opzione tedesca è la più debole oggi ma sul lungo periodo potrebbe anche rivelarsi interessante. D’altronde (molto) interessanti lo eravamo pure noi, ma in sette anni di esperienza celtica quella che era l’iniziale promessa italiana non è mai stata mantenuta, sotto un po’ tutti gli aspetti. Almeno finora.