Il ricordo di un personaggio indimenticabile su Rugbypeople
Quaranta anni fa, alle 6,45 del 1° gennaio 1971, moriva all’ospedale di Padova Mario Battaglini, il più grande protagonista della prima stagione del rugby italiano nel dopoguerra. Il rodigino “Maci” era stato vittima qualche settimana prima di una banale caduta dalla bicicletta (mezzo da cui non si separava mai, poichè non aveva la patente), derivando un trauma che l’avrebbe portato al coma e quindi alla tragica fine.
Alla funzione funebre Don Mario Bisaglia cita la parabola di Sansone: «Tu sei stato questo, Maci, un forte e un dolce, tutti ti ricorderanno così». Ad assistere alla cerimonia ci sono migliaia di cittadini, perchè di Rovigo Battaglini è stato uno dei figli più amati. «In fondo al suo cuore durava l’immagine della piccola città di nebbie spinose e di soli cocenti, dove anche lontano dallo stadio teatro delle sue gesta, continuava ad essere protagonista», ha scritto Gian Antonio Cibotto.
Gli ultimi anni di vita di Maci sono intrisi di dolore e nostalgia: resta vedovo della moglie Gabriella nel ’66, dopo una lunga malattia, e nel ‘70 viene allontanato dalla panchina del Rovigo, rimanendo orfano del rugby, sinonimo di una passione assoluta. Dedicati a Battaglini restano oggi uno stadio ed un monumento, ma soprattutto gli affettuosi ricordi che ancora si rincorrono in città. Come quando Maci fece uno stringato ma efficacissimo discorso alla squadra, prima della sfida fra una selezione veneta e i temibili sudafricani della Stellenbosch University. «Loro sono fortissimi, ma se giochiamo come sappiamo li ciavemo». E infatti i sudafricani, reduci da una trionfale tournèe in Francia, persero quella partita 15-8.
Era il 1955 e per la prima volta gli italiani si imponevano ad una squadra di una nazione rugbisticamente avanzata. Pioniere, per il rugby azzurro, Battaglini lo era stato da sempre. Prima della guerra – dopo avere fatto nascere il Rovigo, col fratello Checco, e averlo condotto al titolo nazionale della Gil – Maci era stato il primo “professionista” di uno sport allora ancora ai primissimi passi, ottenendo un ingaggio dall’Amatori Milano (subito uno scudetto nel ‘39-’40). Classe 1919, di umilissime origini, viene arruolato nel Genio e spedito prima in Yugoslavia e quindi sul fronte russo.
Dopo la guerra è il primo rugbista italiano a giocare ed affermarsi in Francia, dove diventa un popolare eroe sportivo grazie soprattutto ai suoi calci da lunghissima distanza e alle sue straordinarie doti fisiche, da cui deriva il soprannome “Maciste” e per apocope “Maci”. Tre stagioni fra Vienne e Toulon fino a che “le mal du pays”, irresistibile, lo riporta a Rovigo. Giusto in tempo per la drammatica alluvione del novembre 1951 ma anche per l’esaltante ciclo di quattro scudetti dei bersaglieri rossoblù, nei quali una terra povera come il Polesine trova identificazione e riscatto. Di quella squadra Maci è giocatore, allenatore, simbolo.
Di carattere effervescente, non va molto d’accordo con arbitri, giornalisti, dirigenti di club e di Federazione: saranno molti i “casi Battaglini” negli anni della sua carriera, spesa anche a Treviso, Padova e Bologna. Battaglini è l’interprete più rappresentativo della prima stagione del rugby in Italia, di uno sport che nasce aristocratico ed universitario per scoprirsi poi contadino e popolano, radicandosi in provincia e dove antichi sono i legami con la terra, la fatica, il sacrificio; un rugby che non conosceva mode e retoriche del terzo tempo ma parlava la lingua vivacissima e autentica del campanile. Gli ultimi successi per Battaglini (tre scudetti dal ’57 al ’60) giunsero da allenatore delle Fiamme Oro, la polisportiva della Polizia di Stato che è quasi una Nazionale grazie al reclutamento dei migliori atleti nel reparto padovano della Celere.
Escluso da un rugby che cambiava velocemente quanto la società italiana, alla fine degli anni Sessanta Maci accetterà un lavoro di bidello ed un posto nella memoria di tutti i bambini di quella generazione. Nella stagione seguente al divorzio con Battaglini, il Rovigo avrà il primo sponsor di maglia – Tosimobili – ed uno straordinario straniero, Alex Penciu. Era già tutto un altro rugby.