
In una intervista a un quotidiano irlandese l’uomo che ha fatto da mentore a O’Shea non usa giri di parole: “Un giorno dovrà guardarsi allo specchio, non puoi continuare a perdere mentre stai dicendo che stai sviluppando. Non puoi fare due lavori, e lui lo sa”
Qual è il ruolo di Conor O’Shea? E’ un ct? Un Director of Rugby? Entrambe le cose? E’ una domanda che spesso addetti ai lavori si fanno. Una questione che secondo alcuni è importante, secondo altri invece lascia il tempo che trova.
Quale che sia l’opinione di ognuno non è comunque facile rispondere. Perché la FIR nel comunicato del 24 marzo 2016 in cui ufficializzava l’arrivo del tecnico irlandese scriveva questo:
La Federazione Italiana Rugby informa di aver raggiunto un accordo quadriennale con Conor O’Shea che ricoprirà dal primo giugno 2016 il ruolo di Commissario Tecnico della Squadra Nazionale e Responsabile della Nazionale Emergenti.
Qui la faccenda sembra abbastanza netta, ma è parso chiaro sin da subito che i compiti e il ruolo di O’Shea non erano quelli di un “normale” ct, di sicuro non come quelli che lo avevano preceduto. Una struttura più ampia, più definita di cui l’ex coach di London Irish e Harlequins è il vertice e il coordinatore. Quindi, nei fatti, più simile a un DoR. Mansione che tra l’altro svolgeva già nei Quins.
O’Shea non è un uomo di campo, non del tutto almeno. E’ più un programmatore, un coordinatore. Meglio: uno sviluppatore. D’altronde se la federazione inglese nel 2005 lo assunse come Director of Regional Academies un qualche motivo ci sarà. Fino all’estate del 2009 ha fatto da coordinatore a una rete di ben 14 accademie con il compito di monitorare, sviluppare e far crescere giovani giocatori per instradarli verso l’elite del rugby di Sua Maestà. Mica bruscolini.
Vi chiederete: ok, va bene, ma perché ci racconti tutto questo? Perché lo scorso 10 febbraio, giorno di Irlanda-Francia, il quotidiano di Dublino The Independent ha intervistato Clive Woodward, indicato come l’uomo “che ha cambiato la vita di Conor O’Shea”, l’uomo che ha portato il futuro tecnico prima ai London Irish e poi in RFU. Una sorta di mentore, oltre che amico. E cosa dice a un certo punto il ct dell’Inghilterra campione del Mondo del 2003? Che l’attuale responsabile della nazionale azzurra deve decidersi:
“Conor sa come la penso, dal momento che il gioco è diventato professionistico, devi essere un allenatore, non puoi distrarti. Joe Schmidt è un allenatore, Eddie Jones, Pep Guardiola: ci si confonde tra coaching e management.
Devi essere in una tuta da ginnastica, sul campo, non sei lì per sviluppare, il tuo ruolo è quello di creare una squadra di successo e grandi giocatori e questo svilupperà il gioco. Nel momento in cui diventi distratto diventerai il secondo ed è quello che dico a Conor: se fai entrambe le cose, potresti cadere in un grosso buco. Devi essere concentrato, devi fare una cosa o l’altra, non è più come dieci anni fa.
L’Irlanda non sostituirà mai Joe Schmidt con nessuno che non sia un allenatore eccezionale: Conor avrebbe dovuto fare qualcosa di eccezionale per poter ambire ad allenare la nazionale irlandese, forse il director of rugby è il miglior ruolo per lui. Ma non lo sapremo, perché sta cercando di fare entrambe le cose. Un giorno dovrà guardarsi allo specchio, non puoi continuare a perdere mentre stai dicendo che stai sviluppando. Non puoi fare due lavori, e lui lo sa”.
Una chiusa che fa riflettere, visto che è stata pronunciata da chi conosce O’Shea come le sue tasche e che potrebbe presagire – condizionale d’obbligo – a qualche cambio per il post-2019 (di ruolo, non altro: credo che O’Shea rimarrà dalle nostre parti ancora a lungo. E penso che perderlo sarebbe davvero grave).