Pichot gioca la carta della Nations League e spariglia il futuro del rugby. Italia compresa

Il vicepresidente di World Rugby propone un torneo che andrebbe a sostituire i test-match. Una competizione che ha pro e contro e che cambierebbe la faccia di Ovalia. L’Inghilterra si dice “perplessa” ma se i conti economici tornassero…

Se dovessimo cercare una parola-guida per definire (molto velocemente) la strada intrapresa dal rugby negli ultimi anni quella più adatta potrebbe essere attractive. La palla ovale deve essere sempre più attraente, sexy, in grado di aumentare il suo bacino di giocatori, tifosi, appassionati e sponsor. Soprattutto questi ultimi. Qualcuno storcerà il naso, ma è il professionismo bellezza.
Negli ultimi anni Vittorio Munari con il suo Tinello ha più volte messo sul tavolo una domanda semplice e brutale: dove sta andando il rugby? Qualcuno sta davvero governando Ovalia oppure World Rugby si trova a cercare di tenere una qualche posizione su una corrente che però non ha deciso?
Domande semplici ma dalle risposte complicate.

Tra i più attivi a cercare di imprimere una rotta ragionata – che non vuol dire necessariamente quella giusta – c’è il vicepresidente di World Rugby, l’argentino Augustin Pichot. Tutto di lui si può dire tranne che se ne stia a scaldare la poltrona che occupa. Tra i principali sostenitori di un restringimento delle maglie dell’eleggibilità dei giocatori per poter giocare in nazionali diverse dai paesi natii, ha più volte sottolineato e sostenuto la necessità di un calendario internazionale che tenesse in conto anche la salute dei giocatori.
Solo qualche settimana fa non si è nascosto dietro a un dito e ha detto apertamente che il rugby internazionale così come è oggi non è più sostenibile, né tecnicamente né finanziariamente.
Alla riunione di World Rugby che si è tenuta a Sydney ha proposto l’introduzione di una Nations League al posto degli attuali e tradizionali test-match. Ecco come la descrive la Gazzetta dello Sport, il media che ha dato più dettagli:
Una World League ovale da giocare a novembre, a partire dal 2020, con le 12 migliori squadre del mondo — sei dell’Emisfero Nord, sei dell’Emisfero Sud — divise in quattro poule da tre. Un calendario che cancellerebbe i test match di giugno e quelli d’autunno — una tradizione secolare del rugby — e che introdurrebbe un format nuovo, simile a quello del volley o del calcio, una specie di «mondialino» da giocare una volta a Nord e una volta a Sud, ogni anno. Si pensa a un sistema di promozioni e retrocessioni — l’Italia, sul piano puramente ipotetico, in questo momento non sarebbe qualificata essendo 14esima nel ranking —. Si giocherebbe su cinque date, le prime tre dedicate alle sfide di poule (potrebbero essere disputate in quattro diverse nazioni), le altre due per semifinali e finali. Il format attrarrebbe nuovi sponsor e ridurrebbe da 6/7 a 5 il numero di partite internazionali a cui sono sottoposti i giocatori, senza toccare i totem stagionali: il Sei Nazioni per l’Europa, il Rugby Championship per l’Emisfero Sud, la Coppa del Mondo e la tournée dei Lions britannici ogni quattro anni.

Meno partite nel complesso e una (probabilissima) maggiore attenzione mediatica: un colpo al cerchio degli interessi finanziari e uno alla botte della salute degli atleti. Una novità che il vulcanico Pichot vorrebbe introdurre dall’autunno 2020. Una proposta che fa molto rumore e che incontra – al momento – la risposta decisamente fredda di una delle federazioni più importanti, quella inglese. Un portavoce della RFU, dopo aver sottolineato che quella di Pichot è una proposta a di cui a Londra e dintorni nessuno sapeva nulla, ha detto “siamo perplessi”.
Non c’è da stupirsi: gli interessi economici al di là della Manica sono enormi e quelli della nazionale non coincidono con quelli dei club, pur essendo tra loro strettamente legati. Senza dimenticare che una riforma del calendario internazionale è già stata stabilita ed entrerà in vigore proprio dopo il Mondiale del 2019, con uno slittamento delle gare estive e un numero più elevato di match tra squadre del Tier 1 e Tier 2.
Cosa succederà? Difficile dirlo. Pichot ha gettato il sasso nello stagno, ha posto un problema oggettivo e una sua possibile soluzione, che ovviamente non fa felici tutti e che al momento viene guardata con un mix di incertezza e sospetto. La data del 2020 pare eccessivamente vicina, ma non si può escludere davvero nulla, soprattutto se riuscirà a dimostrare la convenienza economica della cosa.

E l’Italia? La Gazzetta riporta un virgolettato attribuito al presidente della FIR Alfredo Gavazzi: “L’Emisfero Sud vuole cambiare la stagione globale al di là dell’accordo dell’anno scorso, il Nord non lo vuole e alla fine la maggioranza ce l’ha il Nord. Al Sei Nazioni si è già detto che non siamo in grado di affrontare una riforma del genere”. Un no quindi, e non poteva essere altrimenti vista la nostra situazione tecnico/finanziaria. Il calendario così come è strutturato oggi (e come è previsto a partire dal dopo RWC 2019) garantisce una rendita certa al nostro movimento, la riforma Pichot è oggi per noi un mezzo salto nel buio. Ma il nostro peso non è tale da poter essere determinanti né in un senso e neppure nell’altro, a meno di non ritrovarsi in una situazione di stallo tale da poter diventare l’ago della bilancia. Nostro malgrado.

6 pensieri su “Pichot gioca la carta della Nations League e spariglia il futuro del rugby. Italia compresa”

  1. togliamo subito i dubbi sul fatto che a me ne freghi qualcosa, per questo discorso, dell’italia (a proposito, non andava tutto bene, risultati brillanti, potere politico, etc etc, adesso viene fuori che se ci cambiano le regole siamo nella popò fino ai capelli? stà a vedere che non è poi così rosea la situazione), continuiamo sulla strada di distruggere il rugby sui suoi fondamenti per ridurlo ad uno show che guadagni per poter costruire uno show più bello, questa proposta va a distruggere le basi di uno sport che è cresciuto su una certa mitologia per vil pecunia.
    basket e volley hanno creato delle competizioni mondiali annuali anni fa, perché le loro amichevoli non attiravano audience, lo stesso ha fatto quest’anno il calcio rendendosi conto che giocare partite senza senso non richiamava più pubblico (dato che ormai la gente è assuefatta al prodotto tramite i media),il rugby non ha queste esigenze, nel rugby non esistono le amichevoli,il test match ha il suo motivo di essere fuori da ogni altro fatto, già il mondiale è, per il rugby un episodio, utile, bello ed affascinante, ma di suo in un certo qual modo superfluo, ben venga dare più possibilità alle tier2, quello sì serve al movimento e porta più soldi (ai rugbysti andare a vedere le nazioni più “mitiche” piace, risultato a parte e quindi stadi pieni e televisioni interessate), ma sparare le prime 12 in un torneo a lungo termine, uccidendo la “mitologia” rugbystica dei TM e dei TOUR, può portare un po’ più di soldi in cassa, visto che qualche network sarà disposto a sborsare decisamente di più per un prodotto unico strutturato con il meglio del rugby, piuttosto che tanti piccoli eventi separati non sempre così agonisticamente equilibrati, escludere le nazionali secondarie dalla possibilità di incrociare le migliori, pur limitando gli incontri (basterebbe anche bilanciare campionati e coppe, se è per questo, e limitare comunque a 3 i TM per finestra), mi pare che farà molti più danni che benefici

  2. Approvo pienamente il senso di quanto scritto da gian. Da qualche angolo della memoria emerge un ricordo del football americano (orrore!). Negli anni 70, dopo uno dei primi Super Bowls, ad un giocatore che aveva appena vinto il trofeo scappò detto “ma, se è così importante, perché lo rifanno l’anno prossimo”?

    1. Un po’ come dire : perché continuare a giocare il campionato di serie A tanto lo vincerà la juve ?😅😎😅

  3. La cosa più interessante del rugby è sempre l’apertura mentale della grande maggioranza dei suoi dirigenti-giocatori-tifosi. Arrivano sempre decenni o secoli dopo gli altri, se arrivano: moviola in campo 10 anni dopo i clown della NFL, campionati del mondo 70 anni dopo il calcio, professionismo 100 anni dopo i famosi “barboni poveracci morti di fame” del league. “Largo all’avanguardia…” diceva un grande.

    1. Ma è per questo che il rugby è rimasto mitico.. perché non ha mai assecondato tutto quello che dici.. anzi mi sa che il professionismo lo sta azzoppando..

      1. Scusami, prima rigetta sdegnosamente “la modernita” (termine improprio ma rende l’idea) rifugiandosi sulla torre d’avorio della tradizione. Poi con ritardi di decenni e secoli segue gli altri, ovviamente continuando a disprezzarli. Non è solo snobismo, è snobismo e imbecillità.
        Forse è più questo che lo azzoppa, non tanto il professionismo in se. Forse il professionismo sbagliato, che si pretende di estendere troppo rispetto alle sue possibilità.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.