Il neozelandese è tornato a far parlare di sé per motivi extra-sportivi. Una vicenda fatta di legittime convinzioni e di contratti di sponsorizzazioni (non personali) che non vengono rispettati senza che nessuno paghi un qualche dazio. Una storia, forse, fatta di figli e figliastri. Che inizia dai Radiohead.
A me la vicenda che riguarda lo sponsor sulla maglia di Sonny Bill Williams ha fatto venire in mente i Radiohead. Nell’ottobre 2007 la band inglese pubblicò sul suo sito il disco di inediti “In rainbows”, lavoro che ognuno poteva scaricare in via assolutamente legale a offerta libera: la scelta di dare 50 euro, 10 oppure nulla era a totale discrezione dell’utente/ascoltatore. Il lavoro arrivò nei negozi in forma fisica nel dicembre successivo.
Critica e addetti alla stampa andarono in sollucchero (lo fanno sempre quando di mezzo ci sono Thom Yorke e compagni. Qualunque cosa facciano, in maniera aprioristica) sottolineando quanto fosse rivoluzionaria questa maniera di distribuzione di un disco nuovo. E lo era, intendiamoci, però in pochi sottolinearono un aspetto evidente di quella vicenda: quell’operazione era possibile perché di mezzo c’erano i Radiohead, ovvero una band famosa, amata e stimata in ogni angolo del pianeta. Non conosco i dati economici dell’operazione, ma sono pronto a scommettere che il gruppo inglese alla fine non ci perse un granché rispetto a una vendita tradizionale. Anche perché nel 2007 le vendite dei dischi erano già poca cosa.
Cosa c’entrano i Radiohead con Sonny Bill Williams? Entrambi hanno potuto imporre e mettere in pratica le loro scelte in forza e grazie alla loro notorietà. Che se fossero stati dei signor nessuno… SBW lo scorso fine settimana è tornato in campo dopo il grave infortunio rimediato durante le Olimpiadi di Rio lo scorso agosto dove si trovava con la nazionale neozelandese di seven. Sceso in campo a Dunedin con i Blues nella gara di Super Rugby contro gli Highlanders ha fatto coprire il logo di BNZ presente sulla sua maglia: l’all blacks due volte campione del mondo è infatti musulmano e la sua religione vieta il prestito a interesse, evidentemente praticato dalle banche (quelle musulmane hanno sviluppato negli ultimi decenni diverse pratiche che consentono di superare – rispettandolo – questo ostacolo e il loro tasso di crescita è da tempo a doppia cifra).
Uno di quegli episodi che fanno discutere, con schieramenti che vanno formandosi tra chi difende il giocatore e chi invece sottolinea che il presumibilmente lauto stipendio di SBW è garantito anche da sponsor di quel tipo. E’ uno di quei casi in cui non se ne esce, almeno sul piano dei princìpi: entrambe le parti hanno le loro ragioni, inattaccabili. SBW ha tutto il diritto di manifestare le sue opinioni e convinzioni, BNZ ha dalla sua un contratto che parla chiaro.
A mio parere bisognerebbe centrare meglio la questione, facendo chiarezza sull’oggetto di cui si sta discutendo. E’ legittima la presa di posizione di Sonny Bill Williams? Sì, è una cosa che riguarda unicamente la sua coscienza, ma allora dovrebbe portare alle necessarie conseguenze il suo gesto, la sua scelta, ovvero non giocare per squadre che sfoggiano determinati loghi. Mohammed Alì, uno dei più grandi sportivi di sempre, per la sua scelta di non rispondere alla chiamata alle armi e andare in Vietnam fu accusato di renitenza alla leva, andò in carcere e per alcuni anni non poté salire sui ring perdendo tutti i suoi titoli.
Ora, nessuno chiede a SBW di finire in carcere, ci mancherebbe, ma se tieni tanto a una tua convinzione forse dovresti mettere sulla bilancia anche la possibilità di dover pagare un qualche prezzo. SBW chiede giustamente rispetto per le sue convinzioni, ma dovrebbe rendersi conto che magari non tutto il resto del mondo la pensa come lui e che quelle opinioni meritano il medesimo rispetto. Tanto più se di mezzo ci sono ricchi contratti che non lasciano spazio a molti dubbi. E se un’azienda paga per vedere il proprio logo su una divisa sportiva lo vuole vedere anche su quella dei giocatori più rappresentativi di quella formazione. Soprattutto su quei giocatori. Altrimenti diventa tutto troppo facile.
Sonny Bill Williams è uno degli esempi più lampanti di come il professionismo ha cambiato l’approccio al nostro sport. Complice un talento smisurato ha bene o male sempre fatto quello che voleva, tra rugby a 15, league, seven e pugilato. Si è districato tra contratti e contrattini che prevedevano tutte le scappatoie più congeniali per il percorso che lui si era scelto. E’ stato bravo, furbo e ben assistito. Ma un conto è discutere un accordo che riguarda la tua singola persona, un altro mettere in discussione una sponsorizzazione in essere.
Senza dimenticare il “paradigma Radiohead”: perché siamo sicuri che la NZRU (che ha già annunciato che anche nelle prossime gare il trequarti vestirà una maglia appositamente creata ad hoc per lui, senza gli sponsor “incriminati”) si sarebbe comportata alla stessa maniera se se ad essere coinvolto non fosse quello che oggi è forse l’unico giocatore-copertina del rugby mondiale?