Tra Top 14 e Italia montagne di milioni di differenza, ma il vero gap è dietro la scrivania

In Francia sono stati diffusi gli importi dei budget dei club del massimo campionato nazionale. Cifre enormi che però non sono piovute dal cielo, ma sono “figlie” di capacità e preparazione

Da un lato è un “gioco” fin troppo facile, dall’altro però ci consente di fare qualche ragionamento su aspetti che possono anche non sembrare immediati.
Andiamo con ordine: qualche giorno fa L’Equipe ha svelato i budget per la stagione in corso delle squadre del Top 14. Ecco le cifre, in milioni di euro:
1/ Tolosa 31,5
2/ Clermont 30,5
3/ Stade-Français 27,5
4/ Tolone 25,5
5/ Racing92 25,4
6/ Lione 24,6
7/ Bordeaux 24,2
8/ Montpellier 24,2
9/ Grenoble 21,7
10/ Castres 20,6
11/ Pau 19,6
12/ La Rochelle 18,2
13/ Bayonne 16,8
14/ Brive 16,4

Dieci squadre su 14 sopra i 20 milioni di euro, le altre quattro che sono immediatamente vicine a quella cifra o comunque non molto sotto. Questa è la parte facile del giochino, di cui parlavamo prima: se pensiamo che il bilancio dell’intera FIR viaggio sui 45 milioni di euro… Però appunto è una cosa molto semplice, che non tiene conto delle differenze di storia e tradizione che pesano moltissimo, ci si limita alle differenze quantitative di budget. Buone per farci un titolo, forse, ma lasciano davvero il tempo che trovano… Basti pensare che otto delle 16 squadre del Pro D2 della stagione in corso hanno budget pari o superiori a quelle di Zebre e Benetton Treviso (l’Oyonnax nei bilanci previsionali diffusi lo scorso agosto supera gli 11 milioni, Perpignan ne ha quasi 10, Biarritz oltre i 9 e così via), e stiamo parlando della seconda divisione. Il nostro domestic per mettere assieme 7-8 milioni di budget deve riunire tutte e dieci le squadre partecipanti.

Quali sono allora quegli aspetti su cui si possono fare alcuni ragionamenti meno immediati e che hanno però più costrutto di una semplice giustapposizione di numeri? E’ un discorso che riguarda i dirigenti. Perché è vero che la Francia ha storia, tradizione e un bacino importante di tifosi su cui lavorare, ma bisogna anche sottolineare che quella storia, quella tradizione, quel bacino danno i risultati di interesse mediatico e di successo economico che conosciamo perché nel complesso c’è una classe dirigente che ha saputo ben lavorare e sviluppare le specificità e i punti di forza di quel movimento. Solo ieri ho parlato della vicenda San Donà sottolineando come quel caso fosse una cartina al tornasole anche della formazione della nostra classe dirigente, i numeri dei budget delle squadre del Top 14 ci raccontano una storia diversa, quella cioè di club capaci di attirare soldi, finanziamenti, sponsor e un numero molto largo di tifosi, che a loro volta consentono ormai una vendita di diritti tv da centinaia di milioni di euro.
In Francia c’è una base importante da cui partire, ma c’è stato e c’è ancora oggi un gruppo di dirigenti capaci di sfruttare al meglio quella base e tutte le opportunità offerte dal professionismo.

Non che al di là delle Alpi manchino magagne, problemi, comportamenti discutibili e autentici filibustieri, anzi, però forse sarebbe corretto che in Francia ci sono ANCHE quelle cose. Perché accanto alle difficoltà troviamo il dinamismo, la creatività e una capacità che dalle nostre parti vediamo in maniera davvero molto saltuaria, ad essere buoni. Certo che una situazione con tanti vantaggi come quella francese spinge in maniera costante verso un miglioramento delle condizioni, è più difficile far partire un circuito virtuoso in un movimento come quello italiano che ha difficoltà ad attirare capitali e interesse, ma le due situazioni sono anche figlie del livello qualitativo delle rispettive classi dirigenti. Il salto di qualità tecnico che abbiamo mancato una volta entrati nel Sei Nazioni lo abbiamo mancato anche a livello dirigenziale: siamo entrati nella stanza dei bottoni ma il nostro approccio è rimasto quello del rugby pane e salame. Gli altri viaggiano ad altre velocità. Sì, ok, la metto giù un po’ grossa, però quello che voglio dire credo sia chiaro.
Parliamo spesso di migliorare la nostra filiera, di aumentare la preparazione di tecnici o il numero e le capacità dei nostri giocatori, ma senza una classe dirigenti di livello anche quel tipo di carburanti potrebbero non dare risultati duraturi. I dirigenti sono la conditio sine qua non del successo nel tempo di una singola società. O di un intero movimento.

37 pensieri su “Tra Top 14 e Italia montagne di milioni di differenza, ma il vero gap è dietro la scrivania”

  1. Se avessimo sistemato la filiera, probabilmente avrebbe voluto dire che avevamo dirigenti degni e con il tempo si sarebbero fatti affiancare o sarebbero stati sostituiti da dirigenti di concezione moderna

  2. La vera analisi da fare dopo 15 anni di rugby coi grandi era se l Italia fosse pronta a questo salto tra i Pro. Ovviamente la risposta è no, ma neanche ci siamo impegnati più di tanto per sanare il gap con le altre contendenti, anzi forse è pure aumentato. Su tutto il fastidiosissimo vizio di non riuscire mai ad ammettere un errore, anche quando questo è grande come una casa, d altronde cosa aspettarsi da chi prende scoppole a destra e manca da più di un decennio???
    La scorsa campagna elettorale lo sostenevo ed oggi ne sono sempre più convinto, all Italia serviva si una triade, ma da scrivania; perchè fin quando non si risolvono i problemi fuori dal campo sarà difficile trovare soluzioni alle problematiche dentro al campo.
    Quanto al Top14 contento che Brive e La Rochelle che con i loro budget stanno disputando signori campionati. Il parallelismo con l Italia non lo trovo azzeccato, anche perchè si viaggia si binari diversi, quelli italiani sono budget da Celtic League, e lì mi pare bene o male viaggiano tutti sulle stesse somme, forse le irlandesi sono le più ricche, a fare la differenza sono i vivai che sfornano giocatori in continuo

  3. Effettuare un paragone con il movimento francese è improponibile , dal lato nostro dobbiamo capire i motivi della costanza di tale gap . Dall’ingresso nel 6 nazioni è partito un movimento che andava veicolato e sfruttato con operazioni di marketing e commerciali sfruttando gli ottimi risultati di presenze all’Olimpico e qualche buona annata sportiva . Ciò doveva servire da volano per attrarre sponsor che si affacciassero a questo mondo non solo nel pro12 ma anche nell’eccellenza . Andavano create sinergie a livello comunicativo con i principali media cosi come è stata tralasciata l’importanza social di tutto il movimento rugbistico . Tutto è rimasto abbandonato al caso e per i club è dura riuscire a riempire stadi , vendere spazi televisivi , attrarre nuovi sponsor che vogliano investire su questo prodotto, creare un indotto di marketing nel club e attrarre campioni che potrebbero aumentare la visibilità del club . I risultati degli ultimi anni di franchigie e nazionale poi sono un macigno pesante per lo sviluppo commerciale di questo mondo che oramai vive dei soliti soli appassionati di nicchia .

  4. Ottimo articolo. Qualche pensiero sparso. In quella somma di budget sono presenti (sicuramente per Racing, Tolone e Clermont… credo per ciascuno degli altri) un contributo pubblico da parte del dipartimento, che non può superare una certa cifra, se non sbaglio poco sotto il milione di euro. E anche questo è segno di alcune cose che sono diverse al di là delle Alpi. Inoltre, se andiamo a vedere il sito di qualunque squadra del Top14 (e anche lì… il rugby italiano quanto a siti internet sta messo malissimo), si può vedere come ci siano una serie infinita di sponsor, fra cui spiccano banche, assicurazioni, industrie di beni primari… giù fino a sponsor di rilevanza solamente locale. Da questo punto di vista, i nostri club (sia le franchigie che quelle d’Eccellenza) hanno sempre lavorato abbastanza bene…per quanto riguarda il numero di sponsor. Quanto a entità dei contributi e visibilità dei nomi degli sponsor, casca l’asino. Per i dirigenti… il general manager di Clermont è Neil McIlroy, un ex pilone scozzese che non ha mai giocato nel club ma ha iniziato la carriera come video analista e ha fatto tutta la trafila; il Tolone dei grandi successi aveva come DoR Laporte… cioè un ex giocatore, ma anche ex ministro(!) ed ora presidente della federazione; il Racing… ne ha tre, di formazione prettamente economistica. Insomma, non c’è una via unica, ma quello che conta è saper fare il proprio lavoro. E non necessariamente si trova la figura tra gli ex del club.

  5. “Siamo entrati nella stanza dei bottoni ma il nostro approccio è rimasto quello del rugby pane e salame”; caro Paolo, non la tocchi piano, ma cogli perfettamente il punto. Purtroppo in Italia non manca la volontà, l’impegno, il volontarismo più positivo, ma il caso del San Donà da il passo. Per quanto il tutto non sia chiaro, ma davvero una società non invia una richiesta firmata, timbrata, protocollata con una richiesta di chiarimenti riguardo a un proprio tesserato? Non usa una mail (non dico una pec) da presentare dicendo “noi in data tot abbiamo mandato questa richiesta, a cui abbiamo/non abbiamo ricevuto risposta”? Attrarre gli sponsor è certamente difficile, ma c’è da dire, che dai livelli più infimi (dove gioco) a salire è molto raro sentire parlare di “business plan” di “piani di sviluppo”, ecc. ecc. Perché? Per impreparazione nel migliore dei casi e per una chiusura mentale che vede in un approccio manageriale (da parte dei dirigenti) quasi una bestemmia nel “rugby bello perchè povero”.

  6. Che dire?
    Paolo da una parte cogli in pieno uno dei problemi del movimento rugbystico italiano, ma lo fai portando un esempio completamente errato; infatti, secondo il mio umile e modestissimo parere non puoi paragonare la classe dirigenziale che necessita il movimento d’ elitè francese o quello inglese, dove ci sono dei campionati, che generano interesse, fatturati e introiti, di poco inferiori a quelli del calciopalla, dove ci sono delle leghe che si confrontano alla pari, se non da un punto di forza, con le loro unions e quella che basta ad un movimento domestic come quello italiano, dove c’ è un torneo semi…”parrocchiale”, seguito da quattro gatti, che genera un ritorno di immagine completamente trascurabile, in grado di attirare soltanto piccoli sponsor locali e che genera un fatturato ridicolo; il termine di paragone, a livello dirigenziale, sempre secondo me, va fatto nei confronti dei nostri competitors celtici e a livello federale, perchè il nostro movimento dovrebbe essere strutturato, almeno teoricamente, come i loro, cioè un domestic dilettantistico, legato e funzionale alle franchigie del Pro 12, che, a loro volta, sono funzionali alla Nazionale.
    Quindi che i dirigenti dei club siano inadeguati, per gestire il modesto giocattolo che henno, non è vero, sono soltanto del livello del contesto , le uniche loro colpe sono di non rendersene conto e di pensare che il tutto, sia loro che il loro movimento, sia di un livello che non è e di trasportare questo loro egocentrismo nella gestione della Federazione, perchè quello è il dramma vero del Rugby italiano (in questo momento con Gavazzi e il suo team, ma, se avessero vinto gli altri, non sarebbe cambiato niente lo stesso!!)!!!

    1. @Hrothepert hai indubbiamente ragione; peraltro, quando ci si confronta nel 6N, nel Pro12 e nelle Coppe, non è che ci vengono regalati x punti di handicap perché la nostra struttura non è paragonabile. Tocca a noi dotarci di tutto quanto necessario per competere a quel livello. Prima e attorno al 1995, quando gli altri erano dilettanti quasi puri e noi un po’ di meno, grazie a Benetton, Mediolanum e Scavolini (solo per fare nomi che conoscevano tutti) si aveva un bel campionato pieno di stranieri di prim’ordine, con squadre che in Europa non facevano piangere ed una nazionale che stava gettando le basi per essere inclusa nell’Home Championship. Quando per gli altri sono arrivati the big bucks, noialtri (termine molto generico, lo so) ci siamo seduti sugli allori e abbiamo pensato di tirare avanti col piccolo cabotaggio, accontentandoci di dare nome scintillanti alle cose (dall’Eccellenza all’Accademia). E lasciamo stare l’impatto della crisi, che sul Top14 e oltre Manica ha influito zero o quasi, mentre da noi basta l’esempio di MPS che chiude i rubinetti agli Aironi. Abbiamo voluto la bicicletta, dobbiamo (o meglio, dovevamo) pedalare; altrimenti, come diceva un pilone mio compagno di squadra, “gli dai una bicicletta e pensano di essere Coppi”.

    2. @Hroth
      La sequenza e’ sbagliata: se hai una buona dirigenza allora ti organizzi in modo da l’interesse del pubblico e poi degli sponsor / TV.
      Non e’ che si sia cominciato avendo gli sponsor / TV e poi il pubblico e alla fine sorge la necessita’ di avere i dirigenti validi. E’ il contrario.

      Negli anni ’90 i budget delle societa’ erano piu’ alti in Italia che in Ingjilterra, per esempio.

      1. @Nuvole, forse non sono riuscito a farmi capire,o forse ragioniamo di due cise differenti, io dico che tutto è rapportato, per gestire una squadra di semipro on occorrono le stesse competenze manageriali che si devono avere per un’ entità pro’, con tanto di giocatori dai ricchi contratti, staff numerosi ed onerosi, 20.000/30.000 spettatori,grandi stadi, merchandise, ecc., ecc., i dirigenti dei club italiani sono lo specchio del movimento rugbystico dove si trovano a operare, cioè tra il dilettantistico e il semi pro.

      2. Sara’, ma sono stati i dirigenti PROFESSIONALI (ma non professionisti) Inglesi (per esempio) delle societa’ amatoriali di quel paese (che non potevano competere con i budget delle societa’ falso-amatoriali Italiane degli anni ’90 (infatti i giocatori di livello internazionale venivano in Italia), che hanno fatto fare il salto verso il professionismo (vero) alle loro societa’.
        Noi siamo rimasti falso-professionisti.

        Fatto sta che in partenza i soldi li “avevamo” noi e quindi in teoria avremmo dovuto essere avanti a loro nella strada verso il professionismo negli ultimi vent’anni.
        Il fatto che i soldi ADESSO li hanno loro e noi no e’ una CONSDEGUENZA dell’aver migliori dirigenze, non la CAUSA.

        Se avessimo avuto migliori dirigenze (piu’ professionali, per esempio) avremmo potuto mantenerci all’avanguardia nel professionismo, come eravamo vent’anni fa.
        Invece no.

  7. non ci sono professionisti nemmeno dietro le scrivanie della federazione, che deve gestire un bilancio da 40 milioni di euro, su questi presupposti pretendere che società da quattrocentomila euro abbiano il manager figo mi sembra sinceramente fuori luogo…

    ragione di più quando il sistema è chiuso verso l’alto (come giustamente osservava il buon Zambelli) e anche se ti doti di uno staff meraviglioso ti troverai comunque, bene che vada, a contendere un titolo della miseria a Calvisano…
    il sistema del c.d. alto livello (franchige accademie nazionale) ha affossato il campionato, la cosa fu chiara a tutti già nel 2010 quando si sciolse la LIRE e si chiuse il super10…

    1. fracasso, si ritorna sempre lì con il discorso, che la scelta del Pro 12, in funzione della Nazionale, abbia affossato quel poco che era del campionato domestico, è palese a tutti da anni, il problema è che qui nessuno ha voluto mettere mano a cambiare il movimento, in funzione alla scelta fatta, così adesso ci ritroviamo con un campionato domestico del livello che è (onestamente non è che prima fosse molto migliore!!) e con un sistema, di franchigie pro,inadeguato per competere con quelli degli altre Unions del Pro 12.

      1. Ai tempi del Top10 l’Overmach Parma (qualificata del campionato domestic Italiano, ma praticamente mai in grado di correre per lo scudetto) vinse gli spareggi per le coppe europee contro la qualificata della Celtic League.

        Oggi quale squadra di eccellenza potrebbe vincere uno spareggio importante economicamente (e quindi giocato con la miglior formazione) contro una squadra di media classifica di Pro12?

        Tra l’altro, se ti ricordi, Festuccia in una intervista ha dichiarato che l’Overmach dell’epoca (che NON era a livello da scudetto) era meglio organizzato delle Zebre di oggi.

        Certo, il Top10 non era il massimo, ma non mi dire che l’Eccellenza di oggi e’ piu’ o meno sullo stesso livello.

    2. Nuvole, sinceramente, se quale sia il rapporto tra il livello del Super 10 e l’ Eccellenza non te lo so dire, onestamente, confesso di non aver mai seguito nè l’ uno, nè l’ altra, però una cosa te la posso dire, il livello medio delle squadre celtiche è salito e i risultati delle nazionali celtiche stenno lì a dimostrarlo.

  8. Non mancano le sorprese in questi Lions, da Sinckler a Payne per finire con Seyomur, di questi magari nessuno vedrà il campo nelle series, ma esserci è già tanta roba. Capitano per la seconda volta consecutiva Warburton…Scarlets con 3 giocatori, bonus di 100k a cranio per il club
    Forwards:

    Rory Best (Ireland), Dan Cole (England), Taulupe Faletau (Wales), Tadhg Furlong (Ireland), Jamie George (England), Iain Henderson (Ireland), Maro Itoje (England), Alun Wyn Jones (Wales), George Kruis (England), Courtney Lawes (England), Joe Marler (England), Jack McGrath (Ireland), Ross Moriarty (Wales), Sean O’Brien (Ireland), Peter O’Mahony (Ireland), Ken Owens (Wales), Kyle Sinckler (England), CJ Stander (Ireland), Justin Tipuric (Wales), Billy Vunipola (England), Mako Vunipola (England), Sam Warburton (Wales)

    Backs:

    Dan Biggar (Wales), Elliot Daly (England), Jonathan Davies (Wales), Owen Farrell (England), Leigh Halfpenny (Wales), Robbie Henshaw (Ireland), Stuart Hogg (Scotland), Jonathan Joseph (England), Conor Murray (Ireland), George North (Wales), Jack Nowell (England), Jared Payne (Ireland), Jonathan Sexton (Ireland), Tommy Seymour (Scotland), Ben Te’o (England), Anthony Watson (England), Rhys Webb (Wales), Liam Williams (Wales), Ben Youngs (England)

    1. Te’o (come diceva anche Stefo se non ricordo male) c’era da aspettarselo. Manco invece Ringrose (uno dei migliori in stagione), Launchbury (con Kruis non al meglio) e Gray jr. In terza mi lascia fuori Heaslip e praticamente tutti gli inglesi e un po’ a sorpresa (per me) convoca Moriarty.
      Comunque un bello squuadrone (c’è Nowell e io sono contento)

  9. Siamo andati con i professionisti da dilettanti e tali siamo rimasti, ma perché lo vogliamo noi.
    Bastava guardarsi attorno e cercare di capire come fanno i migliori per poter progettare e programmare qualcosa di meglio. Non vado oltre, tanto si sa di cosa si parla, ma quando non c’è la volontà di cambiare o migliorare . . .

  10. C’è amche da considerare che tutta la professionalità del mondo non ci salverà mai dall’oggettivo problema della quasi nulla visibilità che gli sport minori hanno in questo paese, qualsiasi quotidiano o trasmissione radiotelevisiva sportiva è composta per un buon 70% di calcio, poi motori, ciclisno in stagione, basket, un accenno di volley (sport molto più radicati del rugby e che hanno ottenuto risultati decisamente migliori e, per il volley, li stanno ancora ottenendo, eppure sono sempre lì ed il volley è sotto al decisamente inferiore basket), e poi, a seconda delle manifestazioni di spicco in essere, un 10% di tutto il resto. Anche vincessimo il pro12 ed il 6N per 5 anni di seguito si e no che arriveremmo a superare il volley nei media, con o senza i vari 80000 allo stadio. In italia lo sport è per pochi intimi, o si fanno crescere i carbonari realmente interessati o si rimane ai margini, in questo ha senso puntare su pro12 e nazionale, nel concentrare le forze, e qui, invece, stiamo perdendo la partita

  11. L’Italia è notoriamente il Paese delle partite IVA, delle micro-imprese, dove quasi tutti si ritengono autosufficienti e portatori dell’unica verità (anche se cerco di combatterlo capita anche a me, non mi tiro indietro).
    Come possiamo pretendere che da questa massa di autonominati capetti possa accumularsi nel mondo del rugby una elite di illuminati capaci di pianificare, progettare, fare squadra e lavorare coordinatamente per il benessere comune del sistema prima che per il proprio singolare e personalissimo mini-potere-da-orticello?
    Io sono abbastanza pessimista.

    1. @Paolo, eppure una soluzione ci sarebbe, un presidente/consiglio federale, che facesse uno strappo, chiamasse un DOR, cui dare il compito di IMPORRE i cambiamenti necessari al movimento in funzione franchigie, nazionale (imporlo in Italia non è nemmeno difficile, quella che ha i soldi è la Federazione ed i clu hanno solo tanti discorsi!!) , così come hanno fatto in Scozia!!!

      1. Si chiamerebbe commissariamento, che c eravamo molto vicini, poi si è messo di mezzo il Coni, che forse è ancora peggio della fir…Ma c’è sempre speranza, un bel DoR straniero, di quello che non conosce nessun ex giocatore o chissà quale club storico

      2. Si puo’ fare, ma bisognerebbe anche trovare il modo di rendere il nuovo sistema federcentrico appetibile agli investitori, che quei pochi che sono rimasti se ne stanno gia’ andando. Si rischierebbe di avere SOLO la federazione, a tutti i livelli, cosi’ se la FIR fa un errore strategico (per esempio per carenza di competenza o di conoscienza della situazione locale) non avremmo nessun piano B.

      3. Ah, @Nuvole, adesso ho capito perchè le Unions celtiche, invece di di approntare un sistema federcentrico, hanno preferito rimanere con un movimento incentrato sui club!!!
        Per va del piano…B!!! 😀

      4. Non credo funzionerebbe. Le imposizioni funzionano poco e, anzi, generalmente inducono reazioni. Quello che funziona è un comune “sentire”.

  12. La verita’ e’ che anche in Italia abbiamo avuto i tempi delle vacche grasse, con squadre con budget comparabili con quelli di Francia e Inghilterra (anni ’90 e anche fino al Top 10 – infatti i top player internazionali venivano piu’ da noi che in Francia e Ingjilterra).

    La differenza e’ che i nostri dirigenti-superamatori all’epoca facevano i budget competitivi quasi sempre sfruttando la legge sui bilanci semplificati delle societa’ sportive e le sponsorizzazioni che si detraevano dalle tasse (ovvero l’apporto del pubblico era assolutamente trascurabile, per cui veniva trascurato), mentre in Francia e Inghilterra hanno sempre investito sul pubblico.
    Adesso che la legge sui bilanci semplificati e le sponsorizzazioni e’ cambiata i nostri dirigenti (che sono quasi sempre ancora quelli degli anni ’80-’90 o comunque i loro allievi prediletti) sono ancora fermi li’ a piangere il morto e tuttoggi non si muovono seriamente per coinvolgere maggior pubblico (esempio stupido: ci sono i cartelli stradali che indicano dove e’ lo stadio? credo che oggi non si vedano nemmeno quelli, per cui il clima resta quello del convegno di carbonari).

    Si sono voluti professionalizzare i giocatori (tranne il 27 del mese, pero’…) ma ci si e’ totalmente “dimenticati” di professionalizzare tutto quello che dovrebbe essere attorno a loro.
    E poi ci si meraviglia quando i giocatori che vanno all’estero dichiarano che si sentono “supportati” molto meglio…

    1. Un paio di settimane fa sono salito su a Glasgow e al Glasgow International Airport c’ è ovunque la pubblicità dei Glasgow Warriors, c’ è perfino un pub, in Great Western Road, che ha dipinto sulla facciata lo stemma degli Warriors!!!

    2. Bravo Nuvole! Ottimo discorso!
      E pensare che sarebbe bastato poco per far si che quelle vacche grasse continuassero a restare tali…

  13. Sono stati eletti più o meno nello stesso periodo: il primo, Bernard Laporte, il 3 dicembre 2016 e il secondo, Alfredo Gavazzi, il 17 settembre dello stesso anno.
    Entrambi sono stati giocatori, imprenditori, politici e dirigenti sportivi anche se il primo, fra una cosa e l’altra ha fatto pure l’allenatore.

    Questi due, nel loro ruolo di vertice delle rispettive federazioni, rappresentano perfettamente il divario che esiste tra il movimento FFR e quello FIR.

    Fonte Wikipedia, se volete discutibile perché non necessariamente aggiornata-

    BERNARD LAPORTE

    Da giocatore militò, nel ruolo di mediano di mischia, nel Gaillac e nel Bordeaux-Bègles; da allenatore, ha condotto la Nazionale francese dal 1999 al 2007, classificandosi quarto in due Coppe del Mondo consecutive, nel 2003 e nel 2007. Dimessosi dall’incarico dopo quest’ultima competizione, ricoprì dall’ottobre 2007 al giugno 2009 l’incarico di sottosegretario di Stato con delega allo Sport nel secondo governo Fillon; tornato alla carriera sportiva, è stato dirigente presso il Bayonne e dal 2011 allena il Tolone.

    Dal 3 dicembre 2016 è presidente della Fédération Française de Rugby.

    Sopravvissuto a 20 anni a un incidente automobilistico a causa del quale passò qualche mese in coma profondo[1], Laporte, proveniente dal Gaillac, dal 1984 militò nel Bègles-Bordeaux, club nel quale rimase fino a termine carriera, avvenuta nel 1993 a 29 anni, e con il quale vinse un campionato francese nel 1991.

    Passato alla carriera tecnica, tra il 1993 e il 1995 si formò come allenatore sempre nel Bègles-Bordeaux prima di divenire guida dei parigini dello Stade français, all’epoca in seconda divisione; portò il club in prima divisione nel volgere di due stagioni e, nel 1998, lo condusse alla conquista del campionato e alla semifinale della Heineken Cup. Lasciò il club parigino nel 1999, non prima di aver vinto anche la Coppa di Francia.

    Dopo la Coppa del Mondo di rugby 1999 fu designato dalla Federazione commissario tecnico della Nazionale francese. In tale veste Bernard Laporte vinse quattro tornei del Sei Nazioni, nel 2002, 2004, 2006 e 2007, con due Grandi Slam; giunse due volte consecutive alla semifinale di Coppa del Mondo, nel 2003 in Australia e nel 2007 in Francia, perdendola in entrambe le occasioni contro l’Inghilterra e giungendo due volte al quarto posto finale.

    Dopo la Coppa del Mondo di rugby 2007 Laporte lasciò la conduzione della Nazionale; il suo ultimo incontro fu la finale per il 3º posto della competizione, disputata al Parco dei Principi contro l’Argentina, la quale vinse 34-10.

    Sostenitore di Nicolas Sarkozy nel corso delle elezioni presidenziali del 2007, alla salita all’Eliseo del candidato dell’UMP fu chiamato a ricoprire un incarico sottosegretariale nel II governo Fillon. Affidatario della delega alla Gioventù, Sport e Vita Associativa come sottosegretario alla Sanità, nel rimpasto di governo del 12 gennaio 2009 Laporte rimase assegnatario della sola delega allo Sport.

    La nomina di Laporte a sottosegretario fu aspramente criticata dall’opposizione: il portavoce socialista Stéphane Le Foll sostenne che «[Laporte] non ha nulla a che fare con questo governo» e che la nomina, frutto di «commistione tra sport, affari e politica», si spiega solo con «la forte amicizia che lega Sarkozy e Laporte»[2].

    Tra le proposte di legge presentate da Laporte nel corso del suo mandato politico, le più rilevanti riguardano:

    lotta al doping: istituzione del reato di detenzione di prodotti dopanti e persecuzione d’ufficio del reato stesso;
    rilancio dello sport di vertice tramite la creazione di “campi d’eccellenza”, riduzione del numero di sportivi cosiddetti di vertice da 15.000 a 5.000, passaggio dalla logica burocratica a quella manageriale della gestione sportiva e democratizzazione della rappresentanza in seno al mondo dello sport[3]
    riforma dello sport professionistico, per aumentare la competitività di alcune discipline (come i.e. il calcio, mai del tutto decollato in Francia a livello di club), riformare l’assetto societario dei gruppi sportivi e combattere violenza e razzismo negli stadi[4].
    Dopo avere visto il suo portafogli ridursi, Laporte si dimise nel giugno 2009[5] lasciando il programma parzialmente inattuato, in particolare per quanto riguarda la riforma dello sport di alto livello, a causa dell’opposizione delle principali federazioni sportive nazionali

    Laporte ha — o ha avuto — interessi imprenditoriali in diverse case da gioco in tutto il Paese. Tra le partecipazioni più importanti, quelle in società con gli ex rugbisti internazionali William Téchoueyres e Philippe Saint-André nei casino di Mimizan, Biscarrosse e Lacanau, poi venduti nel 2000

    Dal 2006 gestisce, in comproprietà con un altro ex internazionale, Denis Charvet, il casinò di San Giuliano di Geneva, in Alta Savoia[6].

    A novembre 2010 Laporte assunse l’incarico di direttore sportivo del Bayonne, durante il quale tentò di operare alcune riforme in ambito tecnico, ma dissapori con la presidenza lo indussero a rinunciare alla carica dopo pochi mesi[7]; a settembre 2011 accettò l’incarico di allenatore del Tolone in sostituzione dell’uscente Philippe Saint-André, chiamato a subentrare a Marc Lièvremont alla guida della Nazionale francese dopo la Coppa del Mondo di rugby 2011[8].

    Nel 2013 ha guidato il Tolone al suo massimo risultato sportivo, la vittoria in Heineken Cup[9][10] grazie al quale la squadra si è laureata campione d’Europa.

    Palmarès
    Giocatore: Silver Dish.png Campionati francesi: 1 Bègles: 1990-91
    Allenatore[:
    Silver Dish.png Campionati francesi: 1
    Stade français: 1997-98
    Coppe di Francia: 1
    Stade français: 1998-99
    Heineken Cup Trophy.svg Heineken Cup: 1
    Tolone: 2012-13

    ALFREDO GAVAZZI
    (Brescia, 24 giugno 1950) è un imprenditore, dirigente sportivo, politico ed ex rugbista a 15 italiano, fondatore, giocatore e poi dirigente del Rugby Calvisano e, dal 2012, presidente della Federazione Italiana Rugby.

    Cenni biografici
    Perito meccanico, nel 1970 fu tra i fondatori del Rugby Calvisano[1], in cui militò per 13 stagioni fino al 1983 nei ruoli di pilone e tallonatore e con cui raggiunse la serie A[1].

    Nel 1976 fondò un’impresa di automazione industriale, oggi nota con il nome di Tiesse Robot, della quale è amministratore delegato[2]; nel 1990 divenne consigliere comunale a Calvisano[1], incarico mantenuto fino al 2004. Nel corso della sua attività politica ricoprì anche l’incarico di vicesindaco del comune del Bresciano[1].

    Nella struttura societaria del Rugby Calvisano fin dal suo ritiro come giocatore, fu dirigente del comitato regionale FIR per la Lombardia a fine anni ottanta[1], poi nel 1996 ricoprì incarichi amministrativi in Federazione Italiana Rugby[1] della quale nel 2000 divenne vicepresidente[1].

    Nel settembre 2012 Gavazzi è succeduto a Giancarlo Dondi, di cui fu vice per 12 anni, alla presidenza della stessa Federazione, ricevendo circa il 55% delle preferenze elettorali dei delegati[3].

    1. Un settore con prospettiva di grande sviluppo è l’automazione industriale della cottura delle salamelle. Che se ti devi mettere tu a rigirarle una alla volta diventa lunga e ti bisungi pure.

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