Ct azzurri ma non italiani: al cuore del problema

Enrico Borra per La Meta

Gli allenatori d’elite italiani sono validi tanto quanto i colleghi stranieri? Potrebbe oggi un tecnico nostrano prendere il posto di Jacques Brunel sulla panchina della Nazionale? Una domanda da un milione di euro. Almeno in prima analisi. Partiamo dal presupposto che
non trovo il quesito “interessante”: in un mondo in cui ad allenare l’Australia e il Galles ci sono due allenatori neozelandesi e sulla panchina della Scozia siede un inglese, non trovo infatti per nulla scandaloso che la ben più modesta (per predisposizione storica e socio-culturale) nazionale italiana sia affidata a suafricani o francesi. Il focus è e deve rimanere concentrato sui risultati. Proprio in base a questo indiscutibile criterio, al momento, gli allenatori italiani non possono nemmeno pensare di potersi avvicinare alla poltrona di ct
Azzurro. Non possono infatti dimostrare un “vissuto” vincente (cosa che, al contrario quasi tutti i nostri passati ct possono fare). Ma c’è dell’altro. Pensate a Rowiand Phillips e, oltre al lavoro fatto con un gruppo costantemente ‘ in divenire ‘ (pensate a che squadra il tecnico gallese si era trovato tra le mani a metà della prima stagione e a quella che ha avuto a
disposizione nel suo ‘secondo mandato’) analizzate il modo pacato e sempre tra le righe con cui ha difeso un club con mille problemi, capace di vincere pochissimo e di collezionare anche un 82 a 0 con tanto di critiche pubbliche (e completamente fuori luogo) del neo ct
Azzurro Brunel. Ora pensate se al suo posto ci fosse stato, per esempio, Andrea Cavinato (solo per nominare il tecnico che quest’anno ha vinto tutto quello che c’era da vincere in Italia). Ricordate le sfuriate contro Gavazzi ai tempi del passaggio alla Rugby Parma? O, più recentemente, le esternazioni durante e dopo la Junior Rugby World Cup dello scorso anno? Ecco, vi siete fatti un’idea di quello che intendo. Per chi invoca un ct italiano alla
guida della nazionale dico questo: non siamo pronti.

(…) il compito di formare tecnici di élite internazionale torna esclusivamente tra le mani
della FIR. Preso atto di questo, si dovrebbero allora scegliere altri due tecnici da affiancare a Gianluca Guidi (che al momento rimane l’unico allenatore italiano di formazione federale) e sui quali investire pesantemente nei prossimi otto anni. Io due nome li avrei: Umberto Casellato e Filippo Frati. Giovani, con curricula di tutto rispetto, grande passione, voglia di
aggiornarsi e, soprattutto, una spiccata predisposizione per il rugby totale tanto caro ai rinnovati vertici dell’International Board.

23 pensieri su “Ct azzurri ma non italiani: al cuore del problema”

  1. Beh mi pare che quest’articolo rappresenti lo stato attuale dei problemi Italiani.
    Il giornalista ha descritto in maniera semplice quello che è il grave problema del nostro movimento, ovvero la scarsa preparazione dei nostri tecnici che, di riflesso, colpisce anche il nostro settore giovanile.
    Sinceramente, se qualcuno ha obiezioni da fare, son curioso d’ascoltarle..

    Da

  2. per motivi di lavoro sono spesso oltralpe, e per motivi di passione dove posso approfondisco il tema delle scuole di rugby e della preparazione dei tecnici delle giovanili (anche nelle società minori e periferiche) del sistema rugby francese… la differenza la si comincia a sentire dai 12-14 in su, altro che pensare alla panchina azzurra, qui bisogna cominciare a lavorare seriamente dalle giovanili, magari con meno ex-giocatori che si dedicano (con lo spirito e la capacità pedagogica che ognuno di noi può avere) alla preparazione delle giovanili, è più sinergia con altri sport con i quali ci possa essere (anche) un travaso di giocatori (penso al basket, in particolare, ma non solo)… se si parla poi di preparazione atletica molto approssimativa, di scarsa conoscenza della tecnica applicata ai movimenti “naturali” dei ragazzi, e della motivazione “culturale” che alcuni (troppi) nelle giovanili assimilano al poter concedere birra ai minorenni ed al poter (dover) aver la libertà di esporre il sedere durante i trasferimenti in pullman motivandolo con la crescita del carattere, beh!… c’è un grande lavoro da fare, ma non si può che crescere… o no?

  3. l’unica obiezione seria che mi viene è che da noi nessun tecnico è mai stato testato a livello superiore a quello d’eccellenza (e nel tempo qualche nome mi viene), con i mezzi per far bene sia ben chiaro, se si esclude qualche cocco federale ovviamente. per il resto sono assolutamente d’accordo

  4. I problemi iniziano dal basso, molte società non investono sui tecnici dei giovani e affidano i settori giovanili “a chi ha tempo e passione”, basta spendere poco!!!!
    … e poi chiediamoci in FIR “chi insegna a chi”, il noto MAG’Ascione può essere un docente credibile???, ma non è Lui il responsabile dell’area tecnica?
    .. il pesce inizia a puzzare dalla testa!

  5. Se posso dire l mia sul caso philips e aironi bisogna approfondire il discorso sulla loro basilarità del gioco offensivo e difensivo che si notava..poi si presentavano errori individuali e mica il mister ci poteva far qualcosa (questa è la mia opinione)
    Senza cattiveria ma se mettiamo uno che ha fatto il grande slam come assistente e cavinato allo stesso paragone…Tornando al discorso allenatori bisogna che partiamo da concetto che anche zatta ha espresso che bisogna partire da zero con un team di tecnici che vadano ad insegnare ai nostri tecnici ad allenare, siamo nettamente indietro rispetto alle altre nazioni perchè bisogna imparare. Ci vogliono tavoli aperti alla discussione, ai mega raduni territoriali di preparatori atletici e di video analist con lezioni costanti…andando territorialmente da nord a sud…e allora i tecnici italiani dimostreranno sul campo con i nostri giocatori di dimostrare panchine importanti..ma se in eccellenza si vedono 3 fasi decenti e la quarta ci si perde con giochi piatti e senza senso..non è certo colpa del mister ma se fai correre tutti nella stessa direzione (preparazione-conoscenza-capacità di leggere le situazioni) allora il mister italiano dimostrerà il suo lavoro…

  6. Il problema vero, è che nessuno dei nostri tecnici si prende la briga di fare le valige e andare per un periodo (più lungo che breve) presso federazioni di primo livello ed apprendere con umiltè.. come si lavora sul campo, in ufficio ecc ecc..

  7. Come altri concordo che il vero problema oggi come oggi non sono gli allenatori d’elite, Borra come la Fir pensa subito al tetto della casa, all’elite invece che pensare a costruirne le fondamenta. Se guardiamo all’estero non sono sole le NAzionali ad avere in alcuni casi allenatori stranieri ma anche le squadre d’elite, 3 Provincie irlandesi su 4 il prossimo anno avranno allenatori stranieri, dopo che da anni sia Munster che Leinster sono allenati da “foresti”…l’Edinburgh semifinalista di HC e’ allenata da un irlandese cosi’ come la vera eminenza grigia degli Harlequins post bloodgate e campioni d’Inghilterra e’ irlandese…e potrei andare avanti all’infinito.
    La differenza e’ che alla base, coi giovani come insegnanti di rugby invece tutte le altre Nazioni hanno allenatori propri validissimi che insegnano i fondamentali e gli skills di base ai ragazzi come si deve.
    Dopo la JWC si e’ sparato a zero sull’Accademia che senza dubbio stenta a dare frutti validi con continuita’ ma bisogna anche dire che se uno arriva a 18 anni senza chi gli sia stato insegnato propriamente come giocare per chi lavora in Accademia il lavoro e’ piu’ difficile.
    E’ sugli istruttori giovanili che bisogna lavorare non pensare ai Casellato da affiancare a Guidi, il problema e’ avere allenatori che sappiano veramente insegnare rugby, ed averne un buon numero…da questi in caso si potra’ poio cercare di formare un gruppo di allenatori d’elite.

    Comunque al riguard domando a chi sa: ma un anno o piu’ fa non era stato riassunto Coste proprio nella formazione degli allenatori?C’e’ ancora?Se si che cosa sta facendo?

  8. Chi si sta formando seriamente è emigrato. Penso a Massimo Cutitta che sta facendo un ottimo lavoro con la Scozia e con le squadre di Glasgow e Edimburgo.
    Ho avuto l’immenso piacere di essere allenato da lui (il venerdì, oltre ai mostri scozzesi, trovava il tempo per allenare la nostra squadretta di serie C)…un persona ovviamente preparata, non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto dal grande spessore umano. Mette la stessa passione e lo stesso entusiasmo (a noi diceva..mentendo ovvviamente…che era più bello allenare noi che i pro…) ad allenare Ford e l’Iguana (all’epoca tallonatore della mia squadra)…davvero un mito

    1. No hull, stiamo poponendo di avere istruttori di rugby che sappiano insegnare i fondamentali come si deve, che si metta l’attenzione sulle cose giuste e nei tempi giusti…gli allenatori di minirugby non sono professionisti neanche in Inghilterra, Irlanda, Galles o Scozia e non sono neanche semipro.

  9. Professionismo o semiprofessionismo, per me, non credo siano i termini giusti. Serve formazione e che la FIR investa nella maniera corretta in questo senso.
    Contando che tutti i tecnici sul territorio nazionale fanno l’allenatore per passione (fanno un’altro mestiere per vivere per dirla in breve) sarebbe opportuno che alcuni proventi vengano investiti in corsi di formazione continui, anche di breve durata, così da cominciare migliorare la situazione dalla base. Non penso sia impossibile.

    Ragazzi, volevo porre l’attenzione sull’articolo su Salvan, capo dei tecnici Rodigini. Li credo che si capisca bene quello che è il problema Italiano (ovvero la politica che lo guida..)

  10. Ho letto tutti i commenti fin qui e posso essere d’accordo con tutti voi sicuramente opinioni giuste e condivisibili..ma vi chiedo se avete mai fatto negli ultimi anni un corso allenatori anche di primo livello con relativo esame com’è proposto dalla fir . Io ho avuto la possibilità di farlo e di sviluppare la metodologia proposta (condivisibile o meno) e vi dico che gioco da 28 anni a rugby anche a buon livello..a me ha cambiato modo di interpretare il rugby in meglio e non mi considero un buon allenatore anzi. Però vorrei sapere da voi cosa ne pensate e cosa sia importante insegnare ai ragazzi del gioco del rugby.

    1. per me, in primis, le abilità tecniche (raccolta da terra, passaggio, corsa con e senza palla, presa al volo, placcaggio, 2 contro 1 offensivo e difensivo, tanto per dirne alcune) e la coordinazione motoria; in un secondo momento la solidità mentale (non avere paura di perdere, superamento dei momenti difficili sia mentali che fisici, insomma la grinta), terzo la tecnica individuale (per ruolo), la visione tattica e l’adeguamento alle situazioni. ho dimenticato molte cose, ma non è che sia un tecnico, ritengo per assurdo che il fisico e la schematizzazione del gioco possano essere le ultime cose da inserire in un giocatore, mentre prendere un buco, calciare, placcare, riciclare una palla, sono cose che devono venire automatiche dato che da quando sei piccolo hai le capacità tecniche e motorie (coordinazione) per farlo ed il gioco non è così vincolato dalla prestanza fisica e dalla tattica da permetterti di “impararle”.

      1. @ ciao Gian, secondo me hai detto delle cose giustissime soprattutto quando parli di allenamento mentale. Di regola secondo me,ma lo dice anche il metodo insegnato ai corso fir l’insegnamento di tutte le abilità che hai citato parte dal gioco. La differenza tra un giocatore di alto livello e un principiante dal punto di vista del gioco ( e non fisico..) e’ il vissuto. Ciò significa che se io metto nelle condizioni un ragazzo di fargli provare più situazioni diverse (visto che il rugby e’ uno sport di situazione) fargliele riconoscere, guidandolo ad una soluzione e la prossima volta che gli ricapita la stessa situazione la riconosce e la risolve, io come allenatore ho lavorato e migliorato il suo vissuto.Uno degli errori che secondo me fanno in tanti, ed io ero uno di questi, e’ cedere che insegnando un esercizio o una serie di esercizi miglioro l’abilità tecnica specifica. Attenzione,non sto dicendo che gli esercizi tipo di passaggio,di tecnica di passaggio piuttosto di tecnica di calcio non devono essere fatti. Dico che sono da implementare semplicemente perché fanno parte di un spaccato del gioco. Ma tutto passa nel far giocare,far vivere nel gioco la situazione (il famoso momento tattico),riportarla eventualmente in uno o più esercizi e riverificarla nel gioco. Nel momento in cui, io ho un ragazzo di 16-17 anni che ha ben chiaro come si risolvono certe situazioni tattiche io posso iniziare parallelamente ad allenarlo al potenziamento fisico e atletico. Di sicuro certe cose non se le dimentica e nel gioco abbiamo allenato le abilità coordinative necessarie al gioco del rugby,altre le faremo apprendere per finalizzare il suo lavoro fisico. L’aspetto mentale e’ la pecca più grande perché pochi allenatori allenano questo e non ci sono preparatori mentali che collaborano con le società. Qui si tratta di formare persone oppure seguire dei corsi,informarsi perché credimi quando aumenti la convinzione la stima la determinazione di un giovane questo riesce a superare tantissimi limiti fisici atletici tecnici che siano. E in Italia si lavora poco con queste figure.sei d’accordo?

      2. @manuel allora la strada è quella giusta, secondo il mio modestissimo parere, i miei unici dubbi su questo metodo rimangono sul fatto che, pur banalizzando, se un ragazzo ha una naturalezza dovuta all’abitudine nell’uso della palla, talento a parte che non si può insegnare, gli verrà molto più facile ricevere un brutto passaggio o fare un riciclo senza perdere fluidità nel proprio gioco, e questo si ottiene solo facendo centinaia di volte esercizi movimenti noiosi e ripetitivi anche da seniores (es personale, dopo anni che non toccavo palla vado a giocare a tocco con un po’ di amici, le idee e i movimenti erano giusti, ma la palla andava dove voleva lei, con mio sommo stupore e incazzatura mia e degli altri, ci ho messo un mesetto a riprendere decentemente “mano”), quello di allenare le situazioni è una bellissima idea, ma secondo me, è un passaggio successivo, o cominciare ad introdurlo, all’U14 prima i ragazzi dovrebbero giocare istintivi, se a 12 anni cominci a guardare dove sono gli altri per decidere l’azione migliore, a 16 rischi di diventare una calcolatrice con gli schemi disegnati sul polsino a seconda della situazione, diversamente, se ti abitui a giocare libero e poi impari a pensare (detta malissimo spero tu capisca cosa intendo), lo stesso istinto di giocare “libero” ti aiuta a leggere le situazioni e applicare una tattica. tra l’altro sarei curioso di conoscere la metodologia di allenamento per insegnare l’adattamento situazionale, perchè non lo trovo così semplice da ricreare in fase di allenamento

      3. per terminare per quanto riguarda la testa, è difficilissimo, i corsi e le figure per migliorare la stima e la mentalità sono utili, ma spesso sono convinto che manchi l’idea negli allenatori di essere sì degli educatori, ma prima di tutto dei tecnici che devono far arrivare degli atleti a dei risultati, per carità sono contrario a pompare dei ragazzini di 12 anni come se dovessero giocarsi la finale dei mondiali, è giusto che si capisca che la sconfitta non è una tragedia e fa parte del gioco, ma l’impressione che spesso ho quando ho occasione di vedere dei giovani giocare è che ci sia sempre una vena di buonismo nel rapporto tra giocatore ed allenatore per cui se perdi va tutto bene e se vinci anche. io vengo da un rugby diverso, ma urla, insulti e qualche bel “calcio in c..o” me lo sono preso fin da ragazzino e avendo a che fare con adulti responsabili che poi, magari anche arrabbiati, ti spiegavano il perchè e ti ributtavano a sudare fino a quando non scoppiavi, i rapporti sono sempre stati ottimi e la performance ne guadagnava, perchè perdere ci stà, ma in campo si entra solo per vincere e tutto quello che fai e per quel risultato! sarà sbagliato però a me è capitato sia di vincere che di perdere di 60 punti, ma nessuno mi ha mai regalato un metro nè io ho smesso di lottare fino al fischio finale, dopo ci si trovava in spogliatoio a festeggiare o a masticare amaro e a capire cosa si era sbagliato per dargliene “solo” 60 o perchè i 60 si erano presi e dove migliorare per vincere la prox volta (adesso fa un po’ ridere, ma quella era la mentalità giusta)

  11. sicuramente i corsi fir hanno aiutato molto, in questi ultimi anni, gli istruttori/allenatori… rimane ancora il gap, che in altre nazioni esiste forse di meno, dell’aggancio tra la pratica “specialistica” e la pratica sportiva di base, che deve comunque esserci: resistenza respirazione irrobustimento etc etc… molto spesso i nostri istruttori/allenatori non richiedono tutto quello che i ragazzi sono pronti a dare, perchè essi stessi non conoscono i propri limiti.. la strada è quella di continuare a migliorare la formazione dei formatori, anche, come ha detto qualcuno, con stages e scambi all’estero (per chi può farlo)… ma per questo bisogna uscire dal sistema di autoreferenziazione che è tipico dell’italia, dove alla fine (non essendoci il rigore anglosassone o il cartesianesimo francese) vince il buonismo oratoriale e ci si tara tutti verso il basso e la comune mediocrità…

  12. io ho 22 anni e ho preso il secondo livello da allenatore a marzo…purtroppo i corsi proposti sono spesso inutili e ridicoli…sembra che vogliano infonderci una scienza e non una conoscenza degli aspetti tecnici…ho imparato di piu da un allenatore rumeno ( ex nazionale) che dai nostri “insegnanti federali”

  13. @gian concordo con quello che hai detto e sul discorso mentalita’ banale o stupida io credo che non lo sia. Non ho mai conosciuto nessuno che va in campo per perdere e per non fare il massimo. Non ho mai conosciuto nessuno che non voglia imparare una cosa nuova per migliorarsi se ha l’idea in testa di volersi migliorare nonostante i successi e soprattutto dopo una sconfitta. Una cosa che non concordo con te e’ quando dici che non bisogna applicare un metodo di gioco di situazione a degli u.12.secondi me e’ proprio a questa età che bisogna giocare e far apprendere le situazioni. Non c’è il rischio che a 16 anni si trovino a fare schemi perché sono gli allenatori che vogliono gli schemi non i ragazzi. Comunque se giochi x situazione gli schemi li usi ben poco.

    1. come ti dicevo è una mia idea, magari quello che intendo io è diverso dal sistema applicato per cui è valido anche nello sviluppo di ragazzi così giovani, in fondo come dicevo non sono assolutamente un tecnico, ma, mio malgrado, un semplice appassionato con dei trascorsi agonistici, spero allora che sia l’inizio di un ciclo nuovo per i tecnici fir. (per pura passione, ci sono testi consigliati o specifici disponibili per chiunque sui metodi d’allenamento, o è solo materiale federale per allenatori?). ciao ed in bocca al lupo per la tua esperienza da allenatore!

      1. @gian. No certo che no,dispense,appunti sono disponibili nel sito fir.basta andare in cerca nell area dedicata alla didattica. Bisogna dire la verità…chiunque legge le dispensa almeno la prima volta,nonostante l’esperienza magari da giocatore,non capisce tutto. A me ha aiutato molto immedesimarmi nelle cose che spiegano immaginando cosa normalmente faccio in campo..(ad es. Cosa faccio in campo quando sono davanti alla difesa?). l’ideale e’ fare il corso allenatori e non partire sempre prevenuti, ma con l’ idea di imparare qualcosa (io la vedo così..) perché fare un corso e credere di saper tutto di rugby e’ il modo migliore per non capirci niente..poi ripeto, il metodo può essere condiviso o meno, piacere o non piacere, ma ha una sua logica,che a mio parere può portare a risultati se applicato bene.

  14. Scusate l’Off Topic, ma avete visto questo articolo sul Corriere? Mutatis mutandis sembra che parlino di rugby e non di calcio…. mi sa che e’ un problema culturale…

    Ma l’avete vista, nella pagina a fianco, la lista dei nuovi stranieri della serie A? Di «top player», naturalmente, nemmeno l’ombra. Soltanto i superesperti, però, ne conoscono più di 4 o 5. Troppo poco, davvero, su un totale di 33. Abbondano le promesse, soprattutto le scommesse. A basso costo, con la speranza di pescare all’estero il giocatore da crescere e poi rivendere con plusvalenze cospicue. Come fa da anni l’Udinese, ad esempio.

    Ora, con l’austerity che picchia duro, ci provano tutti. Perché per far quadrare i conti i metodi più rapidi sono due: vendere tanto e bene, comprare poco e al risparmio. Finora, in questo mercato, nessuno ha ricavato tanto come i nostri club: 118 milioni di euro per Thiago Silva, Ibrahimovic, Lavezzi, Borini e Verratti . Ma anche 13 per Veloso ed Elia, tanto per citare giocatori rinunciabilissimi. Soldi che danno sollievo a casse malmesse, posti che si liberano. Volendo pensare positivo, opportunità che si schiudono, come sempre capita in tempi di crisi.

    In concreto, per il calcio italiano potrebbe essere l’anno zero, il momento giusto per rifondarsi tecnicamente rimettendo al centro un colore importante solo quando ci sono da giocare Europei e Mondiali: l’azzurro. Le stelle straniere sono diventate irraggiungibili? E allora, più spazio agli italiani, ai giovani che scalpitano su panchine nobili e nelle serie minori.

    Pare, invece, che non stia cambiando nulla. I club tirano la cinghia, è vero. Da Milan e Inter in giù, esempi fino all’altro ieri di gestioni tutt’altro che virtuose, c’è molta più attenzione ai bilanci. Ma nelle formazioni-tipo di mezza estate i nomi italiani continuano a scarseggiare, anche perché le liste della spesa restano piene di stranieri. Con due differenze evidenti rispetto al passato: l’età dei prescelti e il loro costo. Venti su 33 nuovi arrivati sono Under 23, il più vecchio (il viola El Hamdaoui) ha 28 anni: mai successo. E il più caro (Leandro Castan) è stato pagato dalla Roma solo 5 milioni. Un record, anche questo.

    Abbondano i parametri zero, come Ederson, Pogba e quel Riverola formatosi nella «cantera» del Barça. C’è la solita Udinese che con gli 11 milioni incassati dall’Inter per Handanovic ha preso i brasiliani Maicosuel, Marques, Willians e il francese Heurtaux: le basta azzeccare un colpo solo (ma di solito sono di più) per alimentare il circolo virtuoso. Chi ci rimette, di certo, sono intanto Prandelli e Mangia, neo tecnico dell’Under 21. Anche, se non soprattutto, nella prossima stagione per vedere giocare i loro prospetti più giovani dovranno collegarsi con l’estero: dopo Balotelli, ora Borini e Verratti. Dei loro coetanei, chi resta rischia di stare spesso a guardare, schiacciato dalla concorrenza, dagli intoccabili e dalla paura di «bruciare» un talento, alibi che troppe volte non regge. Quante partite farà, ad esempio, uno come Giovinco, riscattato per 11 milioni da una Juve che insegue sempre il famoso top player? O Insigne, eroe di inizio ritiro, che nel Napoli del 3-5-1-1 dovrà vedersela almeno con Cavani e Pandev. Per non parlare di Destro, destinato alla Roma dove, Totti e Osvaldo a parte, ci sono già Lamela e Bojan. Baby pure loro. Stranieri, però

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