Che succede in Inghilterra? Ce lo dice Right Rugby
L’attualità inglese racconta diversi stati d’animo e umori, tra federazione e club impegnati su due fronti diversi che alla fine convergono ad un punto solo, quello sullo stato di salute del rugby d’Oltremanica. Mentre in Italia apprendiamo che ormai Dahlia Tvsta tirando gli ultimi e c’è agitazione perché la Celtic League rischia di rimanere all’oscuro (in caso contrario, sintonizzarsi su RR che – quando può – è live da Monigo o Viadana), inPremier si torna a parlare di una questione ormai vecchia, ma non per questo attuale: il salary cap.
Northampton Saints, Leicester Tigers, London Saracens e Bath spingono perché venga alzato il tetto al monte ingaggi previsto dalla Premiership Rugby allo scopo di gareggiare con i club francesi e trattenere così i propri talenti. I numeri dicono che Oltralpe le società hanno un salary cap a disposizione di otto milioni di sterline, due volte quello delle rivali inglesi. MaMark McCafferty, chief executive dell’organizzazione che raccoglie i top team inglesi, ha messo in guardia le pretendenti: il rischio è di fare il passo più lungo della gamba e di finire al verde. Tutto questo alla vigilia delle contrattazioni per la stagione 2012/13 che cominceranno alla fine del mese.
McCafferty guarda lontano, vuole che i “suoi” club siano ancora in circolazione da qui a 50, 60 anni, “non solo nei prossimi tre o quattro“. Non sono poche le società infatti che devono far quadrare i bilanci: la crisi economica che ha investito la Gran Bretagna ha avuto forti ripercussioni sul mondo dello sport, come hanno potuto constatare soprattutto nel calcio.
Il chief executive ha anche sottolineato come nell’ultima stagione le media degli spettatori agli stadi sia scesa del 4%, attestandosi a quota 12.478 persone, mentre nel Top 14 sono cresciuti del 2,5%. E un sondaggio mostra che diversi appassionati giudicano tutt’altro che eccellente il gioco espresso in Premier. Altri numeri che sembrano puntati direttamente contro i management dei singoli club: se il prodotto non piace, non è per colpa del salary cap troppo basso rispetto a quello francese.
Intanto la Rugby Football Union si prepara al futuro. Il capo John Steele (nella foto) in un’intervista rilasciata al quotidiano The Daily Telegraph lo scorso 6 gennaio aveva lasciato presagire l’arrivo di volti nuovi in federazione, a partire dal ruolo di élite rugby director ora ricoperto da Rob Andrew. Questione di darsi una nuova immagine nell’anno dei Mondiali – e probabilmente di affiancare al manager della nazionale Martin Johnson qualcuno che la coppa l’ha vinta non da giocatore, come Johnno, ma come allenatore. Tanto che i nomi che circolano sono quelli di Sir Clive Woodward, che guidò proprio l’Inghilterra in Australia 2003, e Jake White, l’artefice del successo del Sud Africa in Francia quattro anni fa. “Nessuno si è fatto vivo, ma certo che considererei la proposta. E’ un lavoro fantastico“, ha detto l’ex coach degli Springboks.
Che, immancabilmente, è passato al lato tecnico. “Ho sempre detto di considerare l’Inghilterra molto simile al modello sudafricano. Hanno molti giocatori e passione e tra i migliori record ai Mondiali, dal momento che hanno giocato tre delle sei finali“. L’ultima volta proprio contro il Sud Africa. Un dato di fatto: per quanto gli inglesi tra un’edizione e l’altra del campionato mondiale navighino in acque agitate, si ritrovano per l’appuntamento e finiscono per vestire i panni dei protagonisti. Non hanno voglia di perdere tempo, a Londra.