La Drola, un progetto che vince le sbarre della prigione. Anche in campo

Romano Sirotto per le pagine torinesi de La Stampa

Ha sorpreso tutti con una striscia vincente da record: otto vittorie consecutive nelle ultime otto giornate di campionato. Un totale di nove successi (l’ultimo col Binasco per 54 a 3) e 11 sconfitte: solo la fine del campionato ha fermato La Drola, ormai inarrestabile. «Un rapporto di 56 mete fatte contro 41 subite è uno score invidiabile per una squadra alla prima esperienza», afferma soddisfatto Walter Rista, direttore sportivo del club nato tra le
mura del carcere «Lorusso Cotugno» delle Vallette. Il progetto «Ovale oltre le sbarre» ha assemblato lo scorso settembre una trentina di detenuti provenienti soprattutto dal nord Italia, tutti digiuni di rugby. «I ragazzi sono cresciuti molto e certi problemi legati alla situazione particolare della loro vita sembrano lontanissimi», spiega il coach.
Una parola, «ragazzi», insolita all’interno di un carcere. Natale De Lorenzo, presidente dell’Ovale oltre le sbarre, si sofferma su questo ed altri aspetti, colore e sostanza al tempo stesso dell’idea, unica in Europa, di educare chi sconta una pena detentiva attraverso la formazione sportiva del rugby e le sue regole. «Il direttore della casa circondariale di Torino, Pietro Buffa – ha esordito – una volta chiese ad un secondino deve poteva trovare i detenuti del braccio speciale. La risposta fu: i ragazzi sono fuori che si allenano. Mai si era sentita quella parola pronunciata da un agente di custodia. Era il segno che il rapporto detenuto-agenti stava cambiando».
Miglioramenti ancora più evidenti da quando si sono trasmesso t ra i giocatori. «In carcere – afferma De Lorenzo – l’individualità si esprime alla massima potenza, così come i gruppi si formano e vivono sull’individuo. Nel rugby si ha invece l’estremizzazione del gruppo sociale». Questo perché in campo bisogna «placcare, avanzare, sostenere», così chi avanza palla in mano deve avere il sostegno dei propri compagni. Sa che, se il giocatore diventa «solista» o rinuncia a un placcaggio, è tutta la squadra a risentirne. «Nel tempo è aumentato il senso di responsabilità verso gli altri: qualcosa di impensabile lo scorso settembre», ha concluso il presidente, ex rugbista. (…)

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