Scozia, un modello in crisi

La rubrica “Mischia aperta” di Antonio Liviero su Il Gazzettino

E’ sempre interessante tenere una finestra aperta sulla Scozia. Non solo perché è il nostro avversario diretto nel Sei Nazioni, ma perché è al modello scozzese (con due sole franchigie a rappresentare l’elite professionistica) che l’Italia si avvicina di più. Di questi tempi gli orgogliosi highlanders hanno le cornamuse nel sacco. E non solo per via della nazionale ma a causa soprattutto dei cattivi risultati delle franchigie, Edimburgo e Glasgow, mai riuscite a raggiungere le finali di Celtic League e di Heineken Cup. Preoccupa soprattutto un modello rigido che non lascia intravedere cambiamenti a cominciare dalla fuga all’estero dei giocatori. Nelle ultime sei stagioni è emigrata un’intera nazionale: Sean Lamont agli Scarlets, Danielli all’Ulster, Parks a Cardiff Southwell allo Stade Frangais, Ansbro al Northampton. (…) I tifosi sono furibondi. E la loro rabbia, unita alle critiche feroci della stampa, ha spinto a far cadere nei giorni scorsi la testa di Gordon McKie, chief executive della federazione. Alla base di tutto la mancanza di soldi. I dieci milioni di sterline di spesa per le due franchigie non sono sufficienti né a trattenere i giocatori né a rendere competitive le squadre. E ciò nonostante il buon lavoro nei settori giovaniliche ha portato in primavera l’Under 18 a sconfiggere l’Inghilterra. «Perché non si vince niente con i ragazzi» ha tuonato l’autorevole Scotsman citando una frase famosa di Alan Hansen, gloria locale del football e ora columnist per il sito della Bbc. (…)
Si chiede di rendere forti, più ricche e vincenti le franchigie. Nella convinzione che il resto, cioè i successi della nazionale, verranno di conseguenza. «Guardiamo l’Irlanda – ha scritto Allan Massie, acuta penna scozzese -il Grande slam e le triplici corone sono seguite ai successi del Munster e Leinster». Per questo da più parti si levano voci per rendere autonome le franchigie, attualmente gestite dalla federazione, al contrario di quanto accade in Irlanda e Galles. Una strada per attirare risorse finanziarie da privati e aziende. (…)
Di fondo c’è anche il fatto che le franchigie “pubbliche”, col loro centralismo, hanno creato disaffezione alla base: nei club, nei tifosi e nel territorio. Insomma: niente autonomia, niente spettacolo né pubblico. Niente pubblico, niente diritti televisivi. E niente vittorie in Europa. Una catena infernale. Caso da seguire.

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