Edoardo “Ugo” Gori a tutto campo

Intervista al giovanissimo numero 9 su QS in edicola oggi

EDOARDO GORI, uno dei pochi giovani emergenti di tutto lo sport italiano, non solo del
rugby. Quasi un’eccezione. «Lo so, e se sono contento per me, lo sono molto meno per tutti gli altri ragazzi meno fortunati».
Non è solo fortuna, sì è meritato l’esordio a vent’anni in Nazionale. Ma in generale, è dura per i giovani, anche nello sport.
«È molto difficile trovare spazio. Sarà che i più maturi, in campo come nella società, fanno di tutto per tenersi i loro posti ben stretti. Ma non è solo questo. Mi sembra che in giro ci sia poca voglia di faticare e di mettersi in gioco».
Il dibattito è in corso. Certo che il rischio è di perdere tempo. Non solo nello sport.
«Mi dispiace, quando sento parlare di fuga di cervelli. Segno che la nostra società li respinge».
Nello sport italiano si fatica a trovare talenti.
«I giovani devono essere costruiti e fatti giocare. Ma richiede impegno e investimenti
mirati».
Il rugby dalla prossima stagione avrà un’under 20 in Serie A. Prandelli vorrebbe fare altrettanto nei calcio, con una rappresentativa giovanile in serie B.
«Sono buone idee, occasioni per chi ha la mia età».
Bisognerebbe ripartire dalle scuole.
«Il rugby ha le Accademie, centri di formazione per i ragazzi. Ma nel confronto con i college britannici, ad esempio, nella nostra scuola lo sport quasi non esiste».
I pochi fortunati che hanno talento, vedi Balotelli, rischiano di buttarlo.
«Ci vuole poco, quando si guadagnano tanti soldi a vent’anni, a sentirsi il re del mondo. In questo, il rugby è diverso.».
Il codice etico da voi non serve.
«Diciamo che certi valori dello sport ci vengono messi in testa fin da piccoli. Le teste calde ci sono anche da noi, ma vengono isolate».
Lei guadagna bene con il rugby?
«Mi dà da vivere, in futuro si vedrà. Sono iscritto a Scienze Motorie, ma non è facile conciliare lo studio con un impegno di cinque ore al giorno».
Lei viene da due operazioni.
«Spalla e ginocchio. Dovrei essere pronto per inizio luglio».
In tempo per la convocazione per i Mondiali in settembre-ottobre in Nuova Zelanda.
«Ci spero tanto, so che il nostro ct, Nick Mallett, ha fiducia in me, sarà dura, ma ci provo».
Come si sta avvicinando l’Italia al Mondiale?
«Nel Sei Nazioni c’è stata l’impresa storica con la Francia, ma contro Irlanda, Galles e Scozia non siamo riusciti a concretizzare. Ci manca ancora qualcosa a livello mentale».
Ma dietro ai Parisse, ai Masi, ai Castrogiovanni, c’è un ricambio, in prospettiva?
«È dura. Come tesserati, in Francia ne hanno dieci volte di più rispetto a noi e in Inghilterra non se ne paria nemmeno. Si torna lì: il futuro va costruito con i giovani».
In questo senso, grande vetrina in Itala in giugno con il Mondiale under 20 in Veneto.
«Un’occasione promozionale unica. Andate a vedere le partite, ragazzi, vi divertirete. E potreste scoprire una passione».

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