Ebbene sì, il Grillotalpa ha rilasciato una intervista. La trovate su Rugbryca
Questa potrebbe essere l’alba di un giorno storico oppure la solita mattinata che farà da anticamera ad una sconfitta. La sensazione, però, è che mai come quest’anno la nazionale vestita d’azzurro abbia la possibilità di spostare l’asticella un pezzettino oltre, rosicchiando terreno nei confronti delle altre cinque sorelle maggiori. Rugbryca ha parlato di Sei Nazioni (e di altro) con Paolo Wilhelm, giornalista di Radio101, che nei mesi scorsi ha ideato Il grillotalpa, utile aggregatore di notizie concernenti il rugby.
Che Sei Nazioni sarà per l’Italia?
Frase fatta ma vera: dipende tutto dalla gara con l’Irlanda. Se battiamo – come è possibile – il XV in maglia verde possiamo fare un torneo di tutto rispetto, forse il migliore dal nostro ingresso del Sei Nazioni. Già tra una settimana scenderemmo in campo a Twickenham non con l’animo dell’agnello sacrificale. In caso di sconfitta invece le cose si metterebbero male, quantomeno sotto il profilo dell’approccio alle gare.
Le altre sono ancora troppo distanti?
Galles e Irlanda ci sono superiori, in questo momento forse anche la Scozia. Però possiamo batterle tutte e tre. Inghilterra e Francia sono invece fuori target, ma provarci comunque non costa nulla.
Il loro torneo di cosa vivrà?
Del Galles si parla poco: è vero che è in una fase di transizione, con parecchi infortunati e molti giovani, ma c’è un sacco di talento e la tradizionale grinta. La sconfitta interna nella gara inaugurale con l’Inghilterra può però essere pesantissima e lasciare strascichi: il rischio ora è di perdersi e di lasciarsi andare un po’ troppo agli umori del momento. L’Irlanda è la lontana parente della squadra che nel 2009 ha dominato il torneo. Una squadra che inizia ad avere un’età media un po’ troppo alta e con dualismi tecnico-tattici non risolti. L’orgoglio questa volta potrebbe non bastare. La delusione annunciata? Infine la Scozia: con l’Italia è un po’ la squadra più enigmatica. Tecnicamente – al pari degli azzurri – è quella meno dotata, ma solo due mesi fa ha fatto polpette del Sudafrica. Un gruppo comunque in crescita. Inghilterra e Francia saranno comunque le protagoniste.
Insomma la vittoria finale è una corsa a due?
In molti dicono Inghilterra. Gli uomini in maglia bianca dopo un anno abbondante di appannamento hanno effettivamente dato dei bei segnali nella tornata autunnale dei test-match. Dalla loro hanno anche una guida tecnica con le idee chiare e una forza mentale impressionante: giocheranno anche male, ma non muoiono mai. A me però la Francia pare avere ancora qualcosa in più. La squadra di Lievremont oggi non sarà bellissima come quella che un anno fa ha dominato il torneo, ma ha un tasso tecnico secondo solo a quello della Nuova Zelanda. Se il ct la smette di far girare schemi e giocatori, non ce n’è per nessuno.
A proposito di giocatori, chi sarà l’uomo del Sei Nazioni?
Difficile dirlo, dipende dall’andamento delle singole squadre. Mi aspetto molto da Shane Williams.
E tra gli italiani?
Accanto al “solito” Castrogiovanni è facile dire Mirco Bergamasco. Ma terrei d’occhio uno di cui si parla molto poco, quell’Alberto Sgarbi che negli ultimi mesi è cresciuto tantissimo e che – a mio parere – è stato il migliore tra gli azzurri in tutto il mese di novembre.
Da giornalista, secondo lei quale è il ruolo giocato dai media nella crescita del rugby in Italia?
A mio parere i media hanno avuto un ruolo piuttosto marginale. Cosa che è addirittura più vera se guardiamo al momento in cui la nostra nazionale ha spiccato il vero salto di qualità, e cioè alla metà/fine degli anni ’90. Può sembrare un paradosso, ma soprattutto la tv è andata a rimorchio dei risultati degli azzurri. Poi – forse – i ruoli si sono un po’ invertiti. Però in Italia i media seguono quasi esclusivamente la nazionale, basta vedere le difficoltà del rugby nell’affaire Dahlia. Comunque non ritengo che questo sia necessariamente un male, perché aiuta l’ambiente in qualche modo a preservarsi.
Guardando al mondo edulcorato del professionismo?
Soldi e rugby non sempre vanno d’accordo: a metà anni ’90 Berlusconi è entrato di prepotenza nell’ambiente e il suo Milan ha raccolto subito successi. Poi se n’è andato con la stessa velocità con cui è entrato, e a Milano se ne stanno ancora pagando le conseguenze. E’ un ambiente strano, ancora molto “artigianale”. Può essere un limite, sicuro, ma non impedisce di portare sempre 30-40mila persone in uno stadio (lasciamo perdere gli 80mila di San Siro, quelli non fanno testo) per 5 o 6 volte all’anno. Un numero enorme che impallidisce davanti al tasso di crescita del numero dei giocatori, ancora più rilevante. Credo che alla lunga la “marginalità” dei media possa portare più benefici che altro. Certo, qualche volta un minimo di attenzione in più non guasterebbe, ma non lamentiamoci troppo.
