La promessa di Mallett: “Vinco e resto”

Andrea Buongiovanni per La Gazzetta dello Sport

Nick Mallett naviga a vista. Il suo mare è un computer della ristrutturata hall della Borghesiana, tradizionale quartiere generale della sua Nazionale, il et . sudafricano «rema» da un sito all’altro. Forse a caccia di notizie sul suo futuro. Nel Sei Nazioni al via, si gioca tutto. I più sostengono che, dovesse andar male, il francese Jacques Brunel, sostituto designato, arriverà sulla panchina azzurra già dopo il Torneo. Altri che, comunque vada, il passaggio di consegne avverrà al termine della Coppa del Mondo, in ottobre. Lui, però, passionale come e più di un italiano, di abdicare non ha alcuna intenzione. Mallett, con quale stato d’animo si appresta a vivere questa nuova avventura? «Sono sereno e motivato. Con la coscienza pulita e la certezza di avere giocatori e staff dalla mia parte». E il presidente Dondi? «Anche: con me è sempre stato corretto». Però ha già pronto il suo successore… «Quando ho letto che Brunel aveva firmato un quadriennale, gli ho chiesto chiarimenti». Li ha ottenuti? «Ha ufficialmente smentito e gli credo. Così come capisco che abbia dovuto guardarsi in giro per tempo. Anche perché forse io, a novembre, non sono stato chiarissimo». In che senso? «Mentre sul mio conto giravano voci infondate, per esempio quella che voleva fossi stato contattato dai Saracens, non ho subito specificato che era mia intenzione rimanere a guida dell’Italia». Perché non lo ha fatto? «Volevo riflettere insieme alla mia famiglia. Sono fortunato: potrei permettermi di stare a far nulla. Ma ho 54 anni, mia moglie non mi vuole a casa, mi ha minacciato… E amo troppo il rugby per restarne lontano». Perché insistere con l’Italia? Per lo stipendio? «No. Per non lasciare a metà dell’opera». In Inghilterra le hanno offerto il prestigioso ruolo di supervisore di tutte le Nazionali e uno da commentatore televisivo… «Non sono uno da riunioni e mangiate. Sono uno da campo. E con Skyil discorso è aperto: ci risentiremo in autunno». Ma uno come lei, che ha vinto tutto, non é stufo di perdere tanto e ricevere critiche? «Di questi ragazzi sono orgoglioso e all’ambiente mi sono affezionato. Sto bene, qui. Ci sono molti margini di crescita e i bilanci della mia gestione si possono leggere in tanti modi». Cosa intende? «Non basta confrontare la mia percentuale vinte-perse con quella di chi mi ha preceduto. Nelle “mie” 31 partite, abbiamo affrontate 10 volte le tre grandi dell’Emisfero Sud, sei volte all’estero, subendo solo una volta più di 34 punti. In casa con la Nuova Zelanda e in Sudafrica abbiamo subito i minori scarti nella storia degli scontri diretti. Abbiamo vinto in Argentina, abbiamo battuto la Scozia due volte su tre, per la prima volta abbiamo superato Samoa». Però, in tutto, ha vinto cinque volte… «Ma misurandoci quasi sempre con formazioni meglio piazzate nel ranking mondiale. E, poi, soprattutto, occorre essere realisti e pensare al vero valore del movimento: le due franchigie, nelle ultime quattro uscite, complessivamente hanno subito 28 mete». Troppe, non crede? «Fosse quello il nostro livello, poveri noi. Si dev’essere trattato anche di un problema di motivazioni. Ma garantisco: in Nazionale nessuno s’è mai tirato indietro». Non si imputa alcun errore? «Certo, in oltre tre anni ne ho commessi diversi. Ma sempre per andare a caccia di soluzioni a determinati problemi». A proposito; parte il Sei Nazioni e la terza linea, con Mauro Bergamasco, Derbyshire, Barbieri, Vosawai e Favaro infortunati, è decimata… «In touche non dovremo aver problemi, anzi. Ma rischiamo di soffrire nel gioco a terra». Ha fiducia in Burton-Gori? «L’assenza che si avvertirà di più è quella di Gower, per l’esperienza e in difesa. In questo momento il limite maggiore è che tutti i miei mediani, nei club, hanno pochi spazi. Ma sulle loro qualità non ho dubbi. E poi abbiamo McLean, un giocatore sottovalutato che col suo piede sinistro ci aiuta a risolvere molte situazioni». E’ vero che un’Irlanda così debole, dati i tanti forfeit, non s’è mai vista? «Chi pensa così, ragione da arrogante. Questa Nazionale è figlia di Leinster e Ulster, franchigie promosse ai quarti di Heineken Cup e del Munster leader in Celtic League. Sommiamoci la loro storia: il resto sono chiacchiere». Arrivederci o addio? «Non sono pronto per la pensione»

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