In volo sul Flaminio, il palcoscenico perfetto

La Gazzetta dello Sport. La firma è di Nicola Melillo

Un valore aggiunto. L’ingresso ufficiale dell’Italia nel Sei Nazioni è una data storica. Certo per il significato sportivo. Ma soprattutto per la «contaminazione», giunta in Italia con la palla ovale, di un certo modo di vivere un evento sportivo. Che poi è «il modo»: un happening lungo almeno 7 ore. L’arma vincente. il 5 febbraio Fotogrammi. Nel 2000 uno stadio Flaminio da 26.000 posti con ampi spazi vuoti, preponderanza di tifosi scozzesi, qualche venditore di sciarpe e maglie fuori. Questo 5 febbraio Flaminio da 32.984 posti, tutti occupati, quasi tutti colorati d’azzurro, ma con migliaia di irlandesi che si mischieranno con appassionati arrivati da tutta Italia. Tantissimi bambini felici come una Pasqua. E qui siamo a Carnevale: vedremo in tribuna centurioni e pinocchi, pulcinella e cardinali. Tutti storditi: un po’ per la musica sparata nel pre e il post partita al Villaggio, un po’ per la birra che avrà riempito migliaia di pance e svuotato centinaia di barili, un po’ per aver azzannato chili di prodotti tipici arrivati da ogni angolo d’Italia e distribuiti da gruppi organizzati che ormai hanno il loro punto di riferimento. Conquista Roma e l’Italia hanno sposato l’evento di pari passo all’amore per gli azzurri. Le forze dell’ordine hanno capito che qui l’incontro fra tifoserie non potrà mai essere uno scontro. Cosa ci manca? I cori, quelli verranno col tempo. «Swing low, sweet chariot» cantano gli inglesi. Per ora i tifosi azzurri ruggiscono, cantano l’Inno, ogni tanto hanno intonato la Marcia trionfale dell’Aida, sui siti propongono «Azzurro» o «Volare». Ma sono caldi, molto più caldi di quel 5 febbraio 2000. Kirwan disse: «Il Flaminio, col boato della nostra gente, è il nostro Colosseo». Castrogiovanni ha ribadito: «Formidabili tifosi. Se cadi ti rialzano». L’impianto L’evento crea un indotto di circa 20 milioni di euro. Ma non è solo una questione di soldi. Per la cultura sportiva in Italia vale molto di più. L’hanno scoperto le città che hanno ospitato lìtalrugby nei vari test match novembrini. Roma ha capito presto, non solo per la spinta del Board del Sei Nazioni, che il Flaminio andava adeguato, ampliato, ammodernato. Rifatti in questi 11 anni spogliatoi, sala stampa e tribuna, è stata ampliata la capienza con strutture mobili. Ora siamo alla svolta: la Federazione entro breve prenderà in gestione quella che diventerà ufficialmente la «casa del rugby»: speciale, con una necropoli romana (scoperta sotto la tribuna e che ha rallentato i lavori) che diventerà nel 2013, grazie all’ole della Soprintendenza, un ingresso in perfetto stile «Roma Imperiale» di un impianto da 42.800 posti costruito intorno all’opera d’arte creata nel 1959 da Pierluigi Nervi. Il Flaminio avrà completato il suo percorso: sarà uno stadio da Sei Nazioni

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