Lo Cicero, il Barone guarda lontano

Pasquale Notargiacomo per Repubblica.it

Nuova Zelanda, Rjo De Janeiro e poi Nemi, piccola cittadina alle porte di Roma. Se non è un giro del mondo poco ci manca. Il protagonista di questa traversata è Andrea Lo Cicero, 34 anni, 82 caps in azzurro. Il Barone o La Machine, come lo chiamano i francesi, dopo il ritorno in Nazionale nei test match di novembre, fissa le tappe della sua seconda giovinezza. Prima un Sei Nazioni, il decimo, da vivere intensamente, in cui il biglietto da visita è quello dell’autorevole Midi Olympique: miglior pilone sinistro del Top 14 nel 2010. Poi l’obiettivo Coppa del Mondo (la quarta personale) per portare l’asticella della storia del rugby azzurro ancora un po’ più su, ai quarti di finale. Infine visto che di solo rugby non si vive e, l’uomo non è banale, il pensiero va a Rio 2016 e a una qualificazione olimpica per l’altro sport del cuore: la vela. Perché uno che ha fatto il diciottesimo su Luna Rossa sa bene che il peso aiuta gli scafi e il mare rinsalda i legami tra gli uomini anche più della mischia.

L’ultima tappa è un’azienda agricola alle porte di Roma. Il progetto di chi non si nasconde che l’esperienza ovale prima o poi finirà e che tanto tempo libero, allora, sarà meglio destinarlo a qualcosa che oltre a se stessi sia utile anche agli altri. Perciò ben vengano gli asini e il loro latte, per aiutare i bambini più svantaggiati. D’altronde poter dare una mano è nel Dna di quest’alfiere girovago del nostro rugby, che ha tra i ricordi più cari una medaglia al valore Civile per l’esperienza in Croce Rossa. Catania, Bologna, Rovigo, Roma, Tolosa, L’Aquila, Parigi, le tante storie diverse nel suo curriculum sportivo. Con in mezzo un momento buio: la depressione vinta e raccontata senza paura. Adesso la rinascita nel quarto anno all’ombra della Torre Eiffel, perché i francesi sembrano apprezzarlo più degli italiani. Lui un po’ ci soffre, ma all’Italia e alla sua Sicilia pensa sempre con amore “viscerale”. Si informa attraverso tv e notiziari e vive con dolore i fatti che appannano di questi tempi la nostra immagine all’estero.

Lo Cicero, quali sono i segreti del suo momento felice?
”Per me non è cambiato nulla. Il fatto di essere premiato in Francia, per esempio, è soltanto il riconoscimento per aver sempre giocato a un ottimo livello. La riconquista della Nazionale è la conseguenza del mio gioco. Forse tra le ragioni di questa nuova giovinezza c’è la consapevolezza di scendere in campo con meno preoccupazioni, meno teso, anche grazie all’esperienza”.
L’Italrugby arriva al Sei Nazioni con l’esigenza di vincere. Che torneo sarà?
”La nostra è una Nazionale giovane, dove ci sono ragazzi che hanno molta voglia di riscatto. Certo è molto difficile fare pronostici. Per quanto ci riguarda non ci siamo prefissati obiettivi minimi né partite da vincere a tutti i costi. Se dovessimo dire aspettiamo la Scozia, per esempio, dovremmo giocarci tutto sull’ultima partita del torneo. E’ evidente che questo tipo di discorso non è fattibile; forse qualche anno fa potevamo ragionare così, ma non oggi”.
E’ il più esperto tra gli uomini di Mallett, qual è il suo ruolo in questo gruppo?
”Non mi interessa essere un riferimento, una guida, non sono qui per parlare con gli altri come se io fossi chissà chi. Sono un ragazzo come tutti quelli che fanno parte del gruppo. Cerco soltanto di mettere la mia voglia e il mio entusiasmo in campo”.
La mischia può essere ancora determinante?
”I test di novembre hanno dimostrato che la mischia dell’Italia ha ricominciato a fare i suoi punti. Certamente nel rugby moderno la possibilità di studiare i propri avversari in ogni dettaglio determina una continua evoluzione. Con i miei compagni di reparto l’intesa è ottima. E anche se non abbiamo giocato assieme per un po’ la ruggine sapremo levarla in fretta”.
Le voci sul futuro della panchina che peso hanno nello spogliatoio?
”A me le voci che girano non interessano. In questo momento davanti ho un allenatore e basta”.
E il suo rapporto con Mallett?
”E’ un rapporto onesto, tra giocatore e allenatore. Lui cerca di farci assimilare le sue idee, noi dobbiamo cercare di applicarle. Poi fuori dal campo c’è spazio per convivialità e rispetto”.
Come vede il suo futuro?
”Il Mondiale è il mio obiettivo finale, poi ci sono altri progetti al di fuori del rugby. Noi non viviamo nell’oro e c’è un po’ di paura da parte mia che finita quest’esperienza di vita non mi rimanga nulla in mano e mi resti tanto tempo libero. Per questo sto avviando un’azienda agricola nel comune di Nemi (alle porte di Roma ndr) per la produzione di latte d’asina e la pratica dell’onoterapia rivolta ai bambini che hanno problemi fisici e mentali. Poi c’è un altro progetto, legato allo sport: cercare di qualificarmi alle Olimpiadi in una classe olimpica della vela. Chiaramente non sarò da solo, ma aiutato da persone che già praticano questo sport. Per quanto mi riguarda posso mettere a disposizione la mia forza e il mio peso (112 Kg ndr) che nella vela non guasta,  soprattutto se c’è vento”.
Quando smetterà di giocare?
”Il mio contratto con il Racing scade nel 2012, anche se la società mi ha fatto già sapere che vorrebbe rinnovarlo. In Francia mi sono arrivate anche molte altre offerte. In Italia invece non ci sono richieste per me. Una cosa di cui mi dispiace enormemente.  Al momento mi sto prendendo un po’ di tempo per pensarci, valutare anche la mia condizione fisica. Non è soltanto un problema di scegliere una squadra. Bisogna vedere se si è ancora in grado di giocare ad alti livelli e a me non piacerebbe trascinarmi in campo”.
Non ha mai nascosto di aver attraversato anche momenti bui nella sua vita
”Capita di trovarti in situazioni in cui ti sembra tutto nero. In un periodo della mia vita (durante la militanza al Tolosa ndr) mi sono reso conto di avere attorno persone che ritenevo importanti e a cui io davo tanto peso e che invece mi hanno danneggiato. In quel periodo mi sono colpevolizzato molto e sono caduto in una profonda depressione. Ho chiesto una mano a uno psicoterapeuta e da lì ho cercato di ritrovare la mia tranquillità. Il rugby in questo mi ha aiutato molto: il fatto di vivere in una squadra ti dà forza. Tra poco uscirà un libro che spiegherà questa parte della mia vita, diciamo che mi farò “la lavanda gastrica” da solo”.
Ha girato molte città. A quale è rimasto più legato?
”All’Aquila ho vissuto anni molto belli. Vederla devastata dal terremoto è stato un grande dolore. Da siciliano so cosa vuol dire quando la terra trema. Oltre alle vittime e ai danni, oggi mi dispiace vedere una città che aveva un centro storico bellissimo “traslocata” in periferia. Amo particolarmente anche Roma. E’ una città incantevole. Sono molto legato a Trastevere, dove vivevo”.
Com’è la sua vita da italiano all’estero?
”Guardo mille tg, mi informo, leggo notizie su internet. Tutti i giorni sono collegato in qualche modo con l’Italia. Ho un amore viscerale per il nostro Paese e la Sicilia. Per questo vivo con dolore i fatti che si verificano in questo periodo e che rovinano la nostra immagine internazionale”.
Meglio pensare al rugby allora. Dopo tanti progressi stiamo vivendo uno stallo?
”Il nostro sport è cambiato tanto in poco tempo. E l’Italia è un paese con una netta supremazia calcistica, non dobbiamo dimenticarlo. Il rugby ha avuto un grande exploit anche in concomitanza con eventi negativi nel calcio. Ci vuole solo tempo per avere risultati, anche in Celtic League dove le nostre squadre sono appena arrivate. Di voglia e ragazzi che fanno sport ce ne sono, bisogna soltanto avere pazienza”.

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