Christian Marchetti per Il Messaggero
Undici anni? Una vita fa. Il 5 febbraio 2000, giorno dell’Italia-Scozia che segna il debutto assoluto degli azzurri al Sei Nazioni, Giampiero “Ciccio” De Carli siede tra le riserve. È emozionato, soffre, ma sente il sapore dell’impresa. Ad un quarto d’ora dal termine l’allora ct Johnstone gli spalanca le porte della leggenda: entra in campo e al minuto 79 segna la meta del 34-13. È la prima meta italiana nel torneo, la segna un romano. De Carli ha 30 anni, gioca pilone nella Rugby Roma e all’80’ non crede a ciò che dice il tabellone: Italia-Scozia 34-20. «Se qualcuno volesse scrivere un libro dovrebbe iniziare da lì», sorride oggi “Ciccio” ricordando le emozioni provate al Flaminio. Sensazioni che sabato prossimo (5 febbraio…) vuole rivivere l’Italrugby di Nick Mallett affrontando la forte seppur rimaneggiata Irlanda per il primo turno del Sei Nazioni 2011. Come al solito si prevede il tutto esaurito. Non moltissimi i tifosi ospiti, colpa della crisi. De Carli oggi ha 41 anni ed ^assieme a Gianluca Gnidi è il tecnico dell’Italia “A”, il serbatoio della Nazionale maggiore. Quanto è difficile dimenticare il Flaminio? «Difficilissimo. È uno stadio particolare, hai il pubblico vicino e senti un calore incredibile. Ai nostri tempi non si registrava ancora il boom mediatico della pallovale e i sostenitori stranieri sembravano in maggioranza. Di lì a poco, però, sugli spalti sarebbe nata l’onda azzurra». E se le dicono Italia-Scozia, 5 febbraio 2000? «Per quanto mi riguarda in quella partita giocai 18 minuti, segnai sì la meta, ma fu merito di tutta la squadra e ci rendemmo conto che gli scozzesi non ci avrebbero più ripreso». Matteo Pratichetti degli Aironi e Valerio Bernabò della Benetton Treviso gli unici due romani che in questi giorni, al raduno della Borghesiana, stanno preparando il difficile debutto al Sei Nazioni 2011. Sono arrivati da poco, nelle convocazioni iniziali non c’erano giocatori della Capitale… «Non discuto le scelte di Mallett che trovo anzi oculate. Nella Nazionale “A” tutt’ora impegnata nel tour in Gran Bretagna (venerdì la sfida alla Scozia “A” dopo la dura battuta d’arresto con i Saxons inglesi per 45-17, ndc) abbiamo comunque molti romani che potranno essere chiamati per il Sei Nazioni». Saranno da traino per il rugby capitolino? «Forse lo sono già. Il problema è che la mia città ha un vivaio importante ma quasi tutti i talenti che esprime vanno a giocare in altre zone d’Italia. Ai miei tempi riuscivamo invece a restare». Cambiati anche gli spettatori? «Sono tantissimi al Flaminio, pochi nelle gare di campionato. Solito discorso: a livello sportivo Roma ha tanto da offrire ma sono convinto che anche il rugby riuscirà a ritagliarsi il suo spazio
