Roberto Rizzo per le pagine milanesi de Il Corriere della Sera di oggi
Il rugby non è (solo) uno sport, ma è soprattutto «uno stile di vita». I fratelli Mauro e Mirco Bergamasco non sono (solo) i rugbisti italiani più famosi, ma sono anche: sex symbol, icone gay (vedere il calendario «Dieux du Stade»), testimonial pubblicitari e di iniziative benefiche, imprenditori e ora filosofi. Della palla ovale s’intende. Filosofia applicata al vivere quotidiano e messa nero su bianco in «Andare avanti guardando indietro » (Ponte alle Grazie), libro che i due atleti padovani (Mauro, classe 1979, Mirco 1983) presentano oggi
alla Libreria del Viaggiatore, il bookstore interno a Cargo (via Meucd 39, ore 16.30, ingresso libero). Scritto con Matteo Rampin, psichiatra e psicoterapeuta, il volumetto
spiega come e perché dentro un campo da rugby «si riflettono la lotta che anima la vita e i nostri impulsi più ancestrali».
Tradotto, significa?
«Il rugby insegna alcuni concetti fondamentali che aiutano a vivere meglio la quotidianità», risponde Mauro Bergamasco da Parigi (dal 2003, i fratelli, nazionali azzurri, giocano in Francia: Mauro nello Stade Francais, Mirco nel Racing Metro, ndr). «Insegnamenti che
noi rugbisti diamo per scontati, ma che tali non sono».
Un esempio?
«Il rispetto delle regole, degli avversari e dei compagni di squadra. Un comportamento che dovrebbe valere per tutti, non solo nello sport».
Come è nato il libro?
«Abbiamo iniziato a pensarci un anno fa. L’idea nasce da un progetto che ci sta a cuore, una serie di seminari per giovani sportivi. Vogliamo mettere a disposizione di tutti la nostra esperienza».
Voi siete personaggi che esulano dai mondo dello sport: il rugby vi va stretto?
«No, dobbiamo tutto al rugby che ci ha dato un’immagine oggi consolidata e che ci permette di fare tante altre cose. Ma, se domani mattina smettessimo di giocare, molti dei nostri progetti non vedrebbero la luce».
Com’è l’Italia vista dalla Francia?
«In questi giorni è dura a causa della vicenda Ruby, i francesi ci prendono in giro, lasciamo perdere… A Parigi viviamo bene, ma l’Italia rimane il nostro Paese».
E Milano?
«Abbiamo tanti amici e siamo spesso a Milano per lavoro. Personalmente la trovo una città dai tanti volti, nel complesso mi piace. Ho consumato le scarpe facendo le “vasche” in Montenapoleone e per sei mesi ho vissuto in corso Como».
Nonostante gli sforzi il rugby a Milano stenta a fare il salto di qualità.
«Club come l’Amatori e Grande Milano ci provano, sarebbe importante perché questa città potrebbe diventare una bella vetrina per tutto il rugby italiano».
Mancano gli impianti, non solo per la palla ovale ma per tutti gli sport.
«Lo sappiamo e speriamo che l’Expo sia l’occasione per costruire gli impianti che Milano merita».
