La pazza voglia di rugby di Verona

Matteo Fontana per Il Corriere del Veneto

Un pensiero ovale per una filosofia comune. La crescita del rugby, a Verona e nella sua provincia, si spiega così. I numeri degli ultimi cinque anni dicono di un boom di nuovi praticanti, con incrementi persino vertiginosi nella fasce più giovani, nei bambini avviati ad uno sport che, per tradizione, aveva sempre rispecchiato una nicchia per cultori. Tanto più in una città che, nel Galles che è stato, per molti anni, il Veneto, per il rugby nazionale, ha avuto sempre la parte della parente povera. Ma Verona, ora, si fa sentire: gli iscritti sono praticamente raddoppiati. «Il traino principale viene dall’esposizione mediatica. L’Italia ha un seguito continuo, e l’interesse è aumentato, intorno al movimento. Si è aperta una breccia che è stato un polo di attrazione anche per Verona», spiega Stefano Marrella, delegato provinciale della Federugby e dirigente della West Verona Union, club impegnato in serie C. E aggiunge: «Ci sono due società di punta, come il Cus e il Valpolicella, la prima in Ai, la seconda in A2. Hanno seminato bene, investendo sul settore giovanile. L’intero contesto ne ha tratto giovamento: c’è progettualità». E, osserva Marrella, «i margini di miglioramento sono ancora ampi. Cosa serve per fare il salto di qualità definitivo? Gli impianti». Parole che sottoscriverebbe senza dubbio Giorgio Sandroni, da sette anni presidente del Cus, griffato da l 2006 da l marchi o Franklin&Marshall, prestigiosa ditta di abbigliamento a diffusione internazionale. L’evoluzione del rugby, ai piedi del castello di Montorio? Niente segreti: «Il vivaio è il punto di partenza. La palla ovale, grazie all’Italia, è entrata nelle case di tutti, e quelle diffidenze che c’erano un tempo sono state fugate. In molti si sono avvicinati al rugby, e noi abbiamo creato un organigramma completo per sviluppare le nostre idee». Un responsabile, Loris Renica, che si occupa non-stop delle giovanili. La scelta di investire 524 non più su giocatori affermati, ma costosi e di passaggio, bensì sul territorio. La forza di seguire una linea: «Siamo in Ai e stiamo disputando uno splendido campionato -continua Sandroni -, ma a farci altrettanto piacere è vedere i progressi delle formazioni dei nostri giovani. Abbiamo una seconda squadra in serie C, che è una under 23. L’under 16 che dimostra di avere sempre più valori. A cosa puntiamo adesso? A consolidarci come prima squadra, a evolvere sempre di più con il vivaio». Il rebus che non cambia, pure per Sandroni, è uno: «Le strutture. La nostra ambizione è quella di un ammodernamento del Gavagnin, che è la nostra casa. L’impianto in cui giochi vuol dire tanto, è il tuo biglietto da visita. Le istituzioni ci aiutano, adesso ci vorrebbe un altro passo in avanti. Noi stiamo dimostrando di non essere un fuoco di paglia». Lo stesso si può dire del Valpolicella Rugby: il presidente Sergio Ruzzenente, cervello e cuore del club, ci ha sempre creduto: «Da molti anni abbiamo impostato un programma fondato sui nostri gio-vani, sui ragazzi che vengono dalla nostra zona. Il sostentamento lo abbiamo sempre preso dal vivaio, e sarà così anche in futuro: il rispetto dei bilanci è fondamentale». In A2, il Valpo, da neo-promosso, sta galoppando: «Poco per volta, siamo riusciti nel nostro intento. Ovvero, tenere con noi quei giocatori che, prima, com’è legittimo che fosse, andavano altrove. In questa categoria, invece, possono rimanere». E il progetto giallorosso è improntato, anch’esso, sulle strutture: «Ci stiamo impegnando per averne a disposizione di più, e perché siano più efficienti», sottolinea Ruzzenente. Che precisa: «C’è il nostro campo di casa, a San Pietro In Cariano. Gestiamo, alla Spiana, i terreni dello Sporting Club, ex Glaxo. E presto ci sarà un altro spazio al Nassar». E, allora, l’orizzonte di Ruzzenente si allarga a un’ambizione di gloria: «Il sogno che ho è quello di vedere il rugby veronese nel Top Ten. Con il Valpolicella e con il Cus, perché no? Il nostro territorio ha la forza per farcela. Quantomeno, per avere una squadra al vertice, e l’altra sempre in Ai. Non è un’utopia: siamo arrivati fin qua, possiamo farne ancora, di strada».

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