Un 2011 con l’Irlanda in testa… ma siamo sicuri che facciamo bene?

Un articolo da me scritto per il bel blog “Sport minori a chi?” curato da Gianmario Bonzi

Dunedin, Nuova Zelanda, 2 ottobre 2011.  E’ quello il giorno più atteso dal rugby italico nell’anno appena iniziato.  Il giorno  – anzi, la sera australe e l’alba alle nostre latitudini – di Irlanda-Italia, ultima gara del primo girone dei mondiali. Partita probabilmente decisiva: a passare sono le prime due squadre di ogni girone e gli azzurri se la devono vedere con Australia, Stati Uniti, Russia e appunto Irlanda. Dato per scontato che il mancato approdo dei wallabies ai quarti di finale non è fantascienza ma quasi, a giocarsi l’ultimo posto disponibile saranno nel 99% dei casi proprio Italia e Irlanda, con i pronostici che dicono il XV in maglia verde, ma la gara potrebbe essere più equilibrata di quanto non possa sembrare sulla carta. Perché l’Irlanda post-2009 (vittoria al Sei Nazioni con tanto di Grande Slam e un bilancio complessivo di nove vittorie in nove partite) è la lontana parente di quella squadra. Perché, lasciatemelo dire, la nostra nazionale al suo meglio può davvero giocarsela.

Perché gli irlandesi hanno molto da perdere, l’Italia no (o comunque molto meno). E perché in una partita secca tutto può succedere, anche di giocare male e vincere. Certo, entrambe le formazioni dovranno arrivare a quell’appuntamento nelle migliori condizioni possibili. Di classifica innanzitutto. Che significa, sempre sulla carta, presentarsi sul campo di Dunedin con uno score di un ko (Australia) e due vittorie con russi e statunitensi. Una certa differenza la possono dare i bonus difensivi e offensivi:  quindi perdere “bene”, con uno scarto minimo con gli australiani e vincere con tante mete con gli altri. Ma vincere sarà fondamentale, esattamente come per Italia-Scozia a Francia 2007. Una specie di finale, che per gli azzurri potrebbe aprire le porte dei quarti per la prima volta nella nostra storia.

Un traguardo importante, di quelli che darebbero lustro e che cancellerebbero qualche anno non proprio esaltante.  Anche così si spiega il crescente nervosismo attorno alla panchina di Mallett. La situazione è nota: il ct degli azzurri ha il contratto in scadenza proprio dopo il termine dei Mondiali. Tra il sudafricano e la federazione non esistono grossi problemi, non insormontabili comunque, ma il matrimonio non sta passando una fase particolarmente felice. Capita. Però lo scorso novembre, subito dopo il termine di Italia-Fiji, il presidente Dondi è stato abbastanza chiaro: in caso di ko il presidente FIR ha fatto sapere che “sarebbe intervenuto”. Allo stesso tempo tra le due parti proseguono i contatti per un eventuale rinnovo, possibilità tutt’altro da escludere.

Mallett ha fatto sapere che si siederà al tavolo con Dondi dopo il Sei nazioni. In molti paventano una situazione come quella che ci portò quattro anni fa al mondiale francese, e cioè con un ct già con le valigie in mano con tutti i rischi “ambientali” che una situazione simile comporterebbe. Una possibilità, sicuramente, ma che non vede il sottoscritto d’accordo. Perché è vero che Pierre Berbizier (l’allenatore azzurro in quella spedizione) aveva già annunciato la fine della sua avventura con la nostra nazionale. Ma è anche vero che il francese allenava un gruppo giunto alla fine della sua corsa. In quella situazione la decisione dell’allenatore fece da detonatore ad alcune tensioni tra giocatori. E nonostante tutto quella nazionale giunse a un soffio dalla conquista dei quarti di finale: solo un calcio sbagliato a tre minuti dal termine nella decisiva partita con la Scozia ci tenne lontano da quel risultato. Oggi la situazione è molto diversa: il gruppo azzurro è compatto e i suoi cardini rimarranno gli stessi prima e dopo la spedizione neozelandese. La squadra quindi c’è oggi, ci sarà il 2 ottobre, ma anche il giorno dopo. Questo non si poteva certo dirlo della nazionale di Berbizier.  Potrebbe cambiare l’allenatore, d’accordo, ma non lo vedo come un evento catastrofico o tale da poter influire più di tanto su un gruppo che comunque vadano le cose proseguirà la sua corsa fino a Inghilterra 2015, almeno nei suoi 4-5 uomini chiave. Siamo così sicuri che la questione-allenatore sia così importante per una partita secca?

E in chiusura una riflessione di “approccio”.  Il mondiale è un appuntamento importantissimo, ma visto dalla prospettiva di un movimento che sta ancora cercando il suo salto di qualità, non rischia di essere fuorviante? Che Inghilterra, Francia, Australia, Nuova Zelanda e compagnia programmino i loro cicli da un torneo iridato all’altro è cosa giusta e naturale, ma noi non siamo a quel livello e non si può impostare una programmazione pluriennale su una partita secca. Io rimango dell’opinione che il nostro obiettivo principale si chiami Sei Nazioni. L’Italia deve tendere a un costante e continuo miglioramento in quel torneo, che è quello che può farci fare il vero salto di qualità di cui dicevamo prima. Soprattutto nell’anno dei Mondiali, quando la maggiore competizione continentale regala sempre delle edizioni un po’ “stravaganti”. Partiamo da lì, il resto – prima o poi – verrà da sé.
Dimenticavo: buon 2011 a tutti.