I primi 12 anni senza Ivan Francescato

Da solorugby

Sono stati duri questi dodici anni senza Ivan Francescato. Dodici anni da quella maledetta notte tra il 18 e il 19 gennaio 1999, quella in cui il furetto di Tarvisium (prima) e Benetton Treviso (poi) volò su una nuvola. Era celebre per la sua leggendaria finta, e spiazzò tutti anche nell’ultimo istante su questa terra.
Ivan Francescato contribuì non poco a quello che sarebbe diventato il “Rinascimento del Rugby italiano”, l’agognata promozione al Sei Nazioni. Da lì in poi tante sconfitte dell’Ovale azzurro nella disperata impresa di dare del “Tu” all’elite mondiale. Ma Ivan da lassù ha sempre sostenuto i suoi compagni di squadra. Piace pensare che ci sia stato anche il suo zampino in alcuni storici successi dell’Italia e che il suo sostegno non mancherà nemmeno in futuro. Non a caso, l’accademia federale che sforna talenti (o dovrebbe sfornare, ma questa è un altra storia) porta il suo nome.
La storia. Per entrare invece nella leggenda bisogna segnare mete belle e pesanti come quella che vi riportiamo di seguito. La meta di Francescato a Grenoble: quel giorno i francesi lessero soltanto il numero sulla maglia di quell’irriverente folletto con i capelli al vento. La maglia numero 12, quella di Ivan.

Una intervista a Mauro Bergamasco

Articolo che ho scritto e intervista che ho fatto per il sito di Radio R 101

Per qualche settimana è stato a Milano per la rieducazione dopo l’intervento chirurgico che gli impedirà di giocare il Sei Nazioni. Mauro Bergamasco ora è tornato nella “sua” Parigi. Sabato sarà di nuovo a Milano, ma per la presentazione del suo nuovo libro (scritto con il fratello e il professor Matteo Rampin). Quindi un salto a Roma per l’inizio del ritiro azzurro e poi la spola tra Italia e Francia.

Bergamauro ci ha rilasciato una intervista in cui affronta di petto varie questioni: il poco spazio dei giovani azzurri nelle due franchigie celtiche, le convocazioni, i rumors attorno alla panchina azzurra, il Sei Nazioni e il Mondiale. Sempre a viso aperto e senza mai tirarsi indietri, come se fosse in campo. Quello che segue è quello che ha detto ai nostri microfoni.

PER SENTIRE MAURO BERGAMASCO CLICCATE QUI

Castrogiovanni a ruota libera

Il premio come miglior giocatore italiano dell’anno, la nazionale, il ct azzurro, il suo futuro e molto altro. Ivan Malfatto, da Il Gazzettino

Le suocere placcano meglio degli avversari anche nel rugby. Nessuno stupore quindi per il
modo in cui Martin Leandro Castrogiovanni, ragazzone di 117 chili per quasi un metro e
novanta, ha saputo lunedì in Inghilterra di essere stato eletto giocatore italiano 2010 nel referendum promosso dal “Gazzettino”. «La mia fidanzata Giulia Candiago è trevigiana – racconta Castro al telefono da Leicester, dove gioca nel campionato inglese – Sua madre, Alessandra, mi ha chiamato appena visto il giornale. Ma io ero all’allenamento. Così ha chiamato Giulia e quando ho finito l’ho saputo. Bella soddisfazione».
Castrogiovanni, pilone destro italoargentino di 29 anni, da quasi un decennio colonna azzurra (71 presenze, 10 mete), ha vinto con 46 voti davanti a Mirco Bergamasco
35 e Alessandro Zanni 31. A sceglierlo è stata la giuria dei dodici allenatori delle squadre
italiane di Celtic League ed Eccellenza.  Chiamati a fare nell’ordine cinque nomi, Castro è stato votato da sette tecnici. Cinque l’hanno collocato al primo posto. Conoscendo il tuo senso dell’umorismo partiamo da una battuta: ti hanno scelto solo perchè quest’anno si è
infortunato Sergio Parisse, vincitore delle ultime tre edizioni? «Penso di sì. Lui è più carino, intelligente e fa più effetto sulla gente. È perfetto. Non sono contento che si sia infortunato, ma che si sia preso un po’ di riposo sì. Così ha lasciato spazio anche a noi normali».
Anche tu sei abituato ai premi: giocatore dell’anno nel 2007 al debutto in Premiership.
«Era stato l’unico finora. Perché quello della miglior meta segnata dal Leicester la scorsa stagione non lo conto. Questo del “Gazzettino” mi onora, mi fa più effetto, perchè assegnato da un gruppo di addetti ai lavori che ne capisce di rugby. Non da una giuria anonima di sportivi via internet».
Perché non conti quello della meta più bella? «Perché ne hanno segnate almeno cinquanta più belle della mia. I tifosi l’hanno scelta solo perché ho fatto un intercetto e fatto lo stupido festeggiando mentre correvo prima di schiacciare. Cinque metri di corsa, mica cento.
Altrimenti con un fisico del genere mi avrebbero ripreso».
Nel rugby pre-professionistico 29 anni era l’età della maturità per un pilone. Oggi è già l’età dell’usura? «Io sono uno che vorrebbe giocare sempre. Ma il primo anno in Inghilterra ho disputato tutte le partite e alla fine ho avuto il grave infortunio alla gamba. Lì ho imparato che il turn over in questo ruolo tutela anche il mio fisico, non dà solo gratificazione e possibilità di rubarmi il posto a chi mi sostituisce. Così non sono mai stato tanto in forma come nelle ultime due stagioni. Gioco con più esperienza che cattiveria»
La tua cinquina, se avessi votato? «Zanni migliore del 2010. Ha ricoperto bene un ruolo importante come il numero 8 in assenza di Parisse e cresce di anno in anno. Tommaso Benvenuti, perchè ha giocato solo la seconda parte di stagione, ma è il futuro. Totò Perugini, il grande lottatore che servirebbe in ogni squadra. Quintin Geldenhuys, ottima stagione, l’ha consacrato seconda linea di livello internazionale. Pablo Canavosio, frenato dagli
infortuni, ma decisivo per l’ultima parte del Sei Nazioni. Fuori concorso Edoardo Gori».
Perchè? «Perchè contro l’Australia ha dimostrato di avere due palle più grosse della mia testa».
Dove può arrivare l’Italia nel 2011? «Se giochiamo come contro l’Australia e il secondo tempo con le Figi lontano. Se giochiamo sbagliando come con l’Argentina da nessuna parte. Il girone dei Mondiali è difficile. Per avere una chance dobbiamo trovare una dimensione già nel Sei Nazioni».
L’addio di Nick Mallett dopo il Mondiale e il probabile arrivo di Jacques Brunel, a cui la Fir ha già inoltrato una proposta, turberà la squadra come è successo con Pierre Berbizier nel 2007?
«Sono scelte che competono alla federazione. A noi spetta solo dare il massimo, con Mallett,
Brunel o qualsiasi altro allenatore».
Anche tu potresti partite da Leicester direzione Parigi, Stade Francais. «Mi piacerebbe stare qui. La gente mi vuole bene. Apprezza il fatto che in campo gioco con il cuore e do tutto. Ma dopo cinque anni e tre scudetti avrei anche voglia di misurarmi con un altro
grande campionato. In Inghilterra c’è pure il problema del salary cap, ma non ne faccio solo
una questione di soldi. Non sarà facile decidere, lo farò a giorni».
Oltre allo Stade hai avuto altre offerte?
«Per fortuna non mi sono mancate. Clermont, Bayonne, Tolosa, Tolone. Anche Leinster in Celtic League, ma pretendevano rinunciassi all’Italia e ho detto no. La Nazionale non la mollerò mai».