Guido Alessandri su Tuttosport
L’Inghilterra del rugby sta completando la seconda rivoluzione in quindici anni. Alla fine degli Anni 90 ha ridisegnato organizzazione federale, struttura tecnica e formazione per andare a vincere – quattro anni dopo – il Mondiale d’Australia.
Stavolta Martin Johnson, lo skipper di allora, ha messo mano all’operazione ormai tre anni fa e ora ha costruito una corazzata. Sicuramente la fragile Italia vista sabato a Twickenham lo ha aiutato, ma uomini nuovi in mischia (il pilone Corbisiero, ad esempio), una mediana da paura puntata su Youngs e Flood e soprattutto il killer Ashton all’ala sono la virata europea verso il rugby dell’emisfero Sud, quello ispirato al più dinamico e rapido gioco a XIII. L’Inghilterra vista sabato è la migliore dell’ultimo decennio e raccoglie i frutti di un movimento che – stando a sondaggi e statistiche pubblicate nei giorni scorsi nel Regno
Unito – con un tesseramento balzato a oltre due milioni e mezzo di tesserati ha nuovamente
preso la supremazia intema nei confronti nientemeno che del calcio. E così passano anche i tuffi in meta di Ashton, laddove il rigore e la tradizione avrebbero fatto inorridire i puristi del secolo scorso. Anzi, quei tuffi piacciono e fanno godere come minimo tutti gli 80.810
di Twickenham. E’ anche un’Inghilterra capace di vincere a Cardiff, come non accadeva
dal 2003. Guardacaso, otto mesi dopo gli uomini in maglia bianca festeggiavano il loro primo titolo iridato.
Fra due settimane c’è il primo esime vero: la Francia arriva qui dentro ed è la Francia che nell’ultimo Sei Nazioni ha dominato realizzando il Grande Slam. Sarà questo il vero duello di quest’inverno, un confronto che anticiperà almeno in parte il futuro immediato ma che
probabilmente accenderà la luce sui destini del rugby internazionale.