Noi e gli altri: lo sport che non c’è nelle scuole è un gap, ma non può diventare un alibi

Le squadre anglosassoni ci battono (anche) perché loro hanno lo sport nelle scuole: un’affermazione ripetuta spesso come un mantra e che non si può contestare. Ma che va ben delineata

Uno dei gap strutturali che ci dividono dall’Inghilterra (ma sarebbe più corretto dire dall’intero mondo anglosassone di entrambi gli emisferi) è quello della presenza dello sport nelle scuole. Una presenza importante sotto l’aspetto quantitativo e qualitativo dove sventola un qualunque tipo di Union Jack tanto quanto carente invece dalle nostre parti.
E’ un po’ la scoperta dell’acqua calda, lo so bene, però questa cosa ha delle ricadute davvero importanti non solo sul rugby ma su tutto il movimento sportivo italiano, tanto più in un’epoca di professionismo sempre più dilagante e penetrante.
Considerare lo sport una materia con pari dignità (o quasi) di quelle più “nobili” non può non avere effetti benefici. Poterlo fare nelle scuole in presenza di strutture adeguate vuol dire poter creare una enorme massa di potenziali atleti per tante discipline, oltre al non secondario risultato di avere una popolazione che tendenzialmente starà meglio o avrà meno problemi di salute nel corso degli anni. E sorvolo sull’aspetto brutalmente educativo.
Da noi invece le cose sono messe molto diversamente, purtroppo: un’ora, massimo due, di educazione fisica alla settimana in palestre spesso anguste e male attrezzate, un momento che per quasi tutti gli studenti è una specie di ricreazione aggiunta.

Inevitabili le ricadute, dicevamo. Da una parte avremo giovani abituati sin da piccoli a correre, saltare, prendere confidenza con palloni di varia foggia e caratteristiche, dall’altro invece ragazzi che hanno problemi a fare anche solo le capriole. Si estremizza, ovviamente, ma solo fino a un certo punto. La verità è che dalle nostre parti il fare o meno uno sport è un qualcosa che ricade quasi interamente sulle famiglie, con tutte le difficoltà pratiche, organizzative e soprattutto economiche del caso.
Ne parlo perché dopo l’ennesimo ko della nazionale di rugby al Sei Nazioni uno dei motivi più ricorrenti era proprio questo. Detto in soldoni: gli inglesi sono più forti di noi per storia e tradizione, cose che nella palla ovale contano parecchio, in più il gap fisico e atletico è acuito da questa differenza di presenza/assenza dello sport nelle scuole.
E intendiamoci, è un ragionamento inattaccabile. E’ verissimo. Qualche anno fa l’aveva sottolineato anche l’allora ct Jacques Brunel, che pure è “latino” come noi e proveniente da un paese dove la situazione è un po’ migliore della nostra ma che certo non arriva agli standard anglosassoni (se non in qualche rara eccezione, ma quelle ci sono anche al di qua delle Alpi e non sono statisticamente probanti).

Va bene, direte voi ora dicci quale è il però. Perché tutto questo presuppone un però. E il “però” è che tutto quanto ho scritto finora è vero oggi ma era vero anche a fine dell’Ottocento. Era vero nel 1920, nel 1950 e nel 1980. Non siamo di fronte a una problematica nuova, alla quale non si sanno dare chissà quali risposte. Per tanti anni il nostro sport (nel suo complesso) ha risposto in maniera adeguata a questa assenza scolastica.
Le risposte sono possibili, e quelle principali sono due. C’è quella prettamente politica, ovvero fare pressioni (la FIR, nello specifico rugbistico e le federazioni tutte per il quadro generale) sul parlamento e sulle istituzioni preposte all’educazione affinché cambino in qualche modo questo panorama. E’ un cosa necessaria, anzi, la più necessaria, perché è quella che agirebbe più in profondità e in maniera più duratura ma allo stesso tempo è quella più lunga, sia perché è una battaglia culturale che per le inevitabili lungaggini di discussione/approvazione/concretizzazione. Si parla di decenni, non si scappa.

Poi c’è invece quella pragmatica: se ho un dato problema da affrontare cosa posso fare autonomamente per rendere almeno i suoi effetti meno pesanti, in attesa di una soluzione più generale sulla quale però non ho il controllo? Detto più facile: come metterci una pezza?
Ecco, io credo che qui il discorso “perdiamo perché non abbiamo lo sport nelle scuole” mostri i suoi limiti. Perché la FIR (nello specifico rugbistico, lo ripeto) può fare qualcosa, ovvero può strutturare il suo movimento in maniera tale da quantomeno anestetizzare o diminuire l’impatto della non presenza delle scuole. La domanda che dobbiamo farci è: la FIR ha fatto qualcosa del genere e se la risposta è sì (cosa che io penso, intendiamoci), i piani messi in atto hanno dato i risultati sperati in relazione anche alle risorse economiche investite? E ancora: si poteva investire di più? La mancanza di ritorno di risultati, che mi pare inequivocabile, ha spinto la federazione ad esaminare, modificare, rinnovare e/o cambiare i piani intrapresi e le persone che li hanno gestiti?

E’ chiaro che le iniziative delle federazioni non possono avere la forza, la profondità e l’impatto di una (oggi nemmeno lontanamente probabile) riforma politica generale dello sport nelle scuole, ma qualche risultato lo può dare anche nel medio periodo. Quella è la questione da porsi.
Anche perché vorrei mestamente ricordare che lo sport non era presente nelle scuole come nei paesi anglosassoni anche negli anni ’90, quando gli azzurri battendo più volte Irlanda, Scozia e Francia, giocandosela apertamente con la stessa Inghilterra, si sono conquistati il diritto di prendere parte al Sei Nazioni. Quindi quella differenza di sicuro non ci aiuta ma indicarla come uno dei motivi per cui abbiamo infilato 21 sconfitte consecutive mi sembra un po’ limitante. E pure un po’ comodo. Ma forse mi sbaglio eh.

10 pensieri su “Noi e gli altri: lo sport che non c’è nelle scuole è un gap, ma non può diventare un alibi”

  1. Mi è capitato per lavoro di avere a che fare con il ministero competente. Non mi pare ci sentano. I problemi al momento sono altri (e probabilmente è vero), e dello sport a scuola non mi sembra se ne parli affatto, anche perchè c’è un problema infrastrutturale enorme.
    Basterebbe iniziare anche dando ai prof. di educazione fisica un bel manualetto di “cosa insegnare ai bambini dai 6 ai 13 anni e come farlo” (appunto correre, saltare, ecc).
    Se poi a scuola si facessero le ore di educazione fisica “dedicate” ad alcuni sport (rugby touch per dire, ma anche alcune discipline dell’atletica leggera (che tanto indietro siamo in Italia) sarebbe fantastico, ma servirebbero appunto decenni per fare una cosa strutturata. Basterebbero anche iniziative di singole regioni/province. Ricordo che noi (illo tempore, si parla ovviamente del secolo scorso) fummo coinvolti alle medie in un programma che portava le scuole medie in piscina, non solo noi, ma in 8-10 scuole. E cosi con altri sport. Ma era un accordo tra scuole e strutture del territorio, una cosa molto estemporanea e data da iniziative quasi “personali”.
    In Francia credo che i club compensino molto. Hanno più soldi, risorse e organizzazione dei nostri, e un Clermont o Tolosa penso ti tirino su il bambino a 6-7 anni fino ai 18 con strutture che i nostri (Treviso compresa mi sa) non hanno. E ovvio che se è cosi, fai in modo di “tagliare” il programma in funzione del percorso del ragazzo. Passa molto dai coach in fondo, lo sappiamo. In Inghilterra mica ti insegnano ad andare a contatto a 12 anni. Prima ti insegnano a usare il tuo corpo come si deve, e i fondamentali. Poi il fisico.
    La Fir, ma la Fir, a parte portarci in Pro14 e dare soldi a Zebre (dopo aver fatto fuori gli Aironi) e Treviso, ha fatto qualcosa negli ultimi 15 anni che non si sia paurosamente ritorto contro? (qualcuno potrebbe avere da ridire anche sul Pro14, io personalmente no, ma vabbè).

  2. I progetti scuola FIR sono stati interessanti, purtroppo alle volte usati solamente a scopi personalistici, come gonfiare i numeri dei tesserati con gli studenti, oppure prendere i fondi progetti scuola ma non vedere gli stessi ragazzi tesserati per le varie società della zona.
    Purtroppo entrare nelle scuole non basta più, o quantomeno non basta inviare gente di buona volontà nelle scuole, i club dovrebbero avere nei propri organici figure specializzate proprio per lavorare nelle scuole, ma non tanto per il rugby, quanto per lo sviluppo della motricità. Il pallone è solamente un attrezzo che viene in un secondo momento. Se di 30, 40 ragazzini che partecipano al progetto, solamente 10 poi continuano con il club sarà cmq un buon risultato. Di questi 10 però devono essere bambini con capacità motorie sviluppate. La differenza con l Inghilterra, aldilà della storia, del contesto sociale ed economico, è la struttura insita in ogni realtà sportiva. Ogni club inglese di media fascia ha una struttura sportiva che la nostra federazione stessa non ha…
    Il lavoro da fare è veramente ancora tanto

  3. Secondo me un sistema scolastico del genere aiuta ma non lo si può indicare come principale causa dei nostri scarsi risultati… La maggior parte degli atleti di alto livello italiani semplicemente fanno altro perché il rugby è purtroppo poco conosciuto se non sconosciuto in molte zone d’italia..

  4. In effetti l’assenza di sport nelle scuole è una livella che mette sullo stesso piano tutte le discipline, persino quelle “da palestra” come basket o pallavolo (anche perché non tutte le scuole in Italia hanno una vera palestra).
    Sono attivo da decenni nello sport agonistico giovanile e quindi posso tranquillamente affermare che, negli anni, la capacità motoria media dei bimbi è lentamente ma inesorabilmente peggiorata perché, negli anni, hanno preso il sopravvento le PSP o similia. L’ozio fisico è diventato un male dilagante.
    So che il Rugby, al pari degli altri sport, propone a livello locale il c.d. “progetto scuola” ( principalmente si gioca a touch, per carità utilissimo, ma è pur sempre un’altra roba) e, finito il programma e disputato il torneo di fine anno sono pochi, a volte pochissimi, i ragazzi che proseguono con il Club.
    A volte mi è vento persino il sospetto che quel Progetto sia utile solo a pompare i tesserati f.i.r. (per fare le finali è necessario tesserarsi con un Club) per consentire ai Comitati locali di pavoneggiarsi un po’. Ai numeri di tesserati che FIR ci propina annualmente è necessario sottrarre una percentuale di scolaretti (non so quale possa essere ma certo non irrisoria).

    Il fatto è, come sottolinea Wilhelm, che il problema è trasversale e colpisce tutti gli sport, una livella appunto.

    La differenza fra Calcio, Basket o Pallavolo credo stia nel fatto che quelle sono discipline “famose” con i loro fuoriclasse da poster nella camera. Quelle sono discipline che mediamente offrono più alternative ed è più facile iniziare a praticarle perché vicino a casa c’è sicuramente un campo o una palestra dove andare mentre gli impianti di rugby, mediamente, sono molto meno capillari rispetto agli sport concorrenti.
    E’ statisticamente più facile trovare un amichetto che ti trascina in un club di quegli sport là.

    Concludendo, sostenere che il problema del rugby nasce dalle scuole vuol dire che conosce poco la realtà dello sport giovanile degli anni 2000.

  5. Una decina di anni addietro (o forse più) sollevai, sulla “List”, la necessità di diffondere il rugby nelle scuole di ogni ordine e grado, attraverso un programma da attuare per gradi che partiva dal touch, con formazioni composte dai due generi alle elementari, per poi evolversi fino ad arrivare al 15 nelle medie superiori con generi separati. Ricordo che suggerii pure di utilizzare, i più volonterosi fra i ragazzi delle giovanili delle varie società come istruttori (retribuiti) nei “campi solari” estivi come educatori della disciplina Rugby. Aumentando il numero dei praticanti, qualsiasi tipo di attività non solo sportiva, aumenta di riflesso anche la qualità del “prodotto”.

  6. Appartengo alla stessa classe di quelli che rugbisticamente hanno poi ottenuto i risultati degli anni ’90…
    al massimo a scuola avevamo i giuochi della gioventù…

    la nostra generazione però era fatta di polli ruspanti, dopo la scuola (che durava 4-5ore e non sei o otto) e fatti i compiti (massimo un’ora), macinavamo chilometri di argini e campi di corsa o in bici, ci si azzuffava, ci si arrampicava, si saltavano i fossi, si giocava a palla per ore ore ed ore, nei cortili se non nel campo parrocchiale… in ogni appartamento o casa vivevano minimo due ragazzini della nostra età…

    i nostri poveri figli, polli in batteria, devono essere accompagnati in macchina a scuola, al parco, allo sport, devi vigilarli persino in parrocchia…
    nello stesso appartamento in cui prima c’era una famiglia con due tre bambini ora abita una povera vedova over 70…
    se li lasci giocare in cortile viene indetta un’assemblea condominiale straordinaria perché si offende il decordo dell’immobile…
    paghiamo gente per far fare un’ora di movimento ai nostri figli, alla loro età ne facevamo 4 gratis…

    io ho l’impressione che molti ABs vengano da realtà rurali simili a quelle della mia infanzia, in cui il padre pianta anche due pali dietro alla fattoria per permettere al figlio di allenarsi a calciare (Dan Carter)…
    credo che lo stesso valga per molti boeri sudafricani ed australiani… in galles vengono giù dai monti e non per niente in Francia è ancora uno sport pirenaico…
    non so come sia la situazione in inghilterra, Scozia, Irlanda, che vissuto abbiano questi ragazzi…

    non mi aspetto nulla di buono dal MIUR, né dalla FIR…

    ho molta più fiducia nei doposcuola organizzati dai club, dove i giovani rugbisti possono trovare chi li segue nei compiti prima o dopo l’allenamento, ottimizzando tempi e trasferimenti anche per le famiglie…

    1. ciao fracasso,
      hai toccato un punto dolente della nostra società purtroppo. I bambini sono pochi, pigri (e aiutati dagli adulti ad esserlo) e con poco “coraggio”. Tanto per fare un esempio, io non ho figli (appunto!) quindi non mi permetto di giudicare come li educano i miei coetanei. Però osservo. Osservo che se nel mio paesello di 4000 abitanti, dove per attraversarlo a piedi da un capo all’altro ci puoi mettere al massimo 10-12 minuti e dove le scuole sono al centro del paese (quindi ovunque tu abiti sono meno di 10 min), ci sono genitori che accompagnano i ragazzi a scuola in auto, ecco, secondo me c’è qualcosa che non va.

    2. @fracasso ha detto bene. Mi va di aggiungere alcune cose. 1) Guardate tutto il resto dello sport italiano e ditemi se c’è qualcuno che sta bene. Dagli sport di squadra agli sport individuali. Dalle nazionali maggiori alle rassegne juniores. Ma per favore non fatevi abbindolare dai servizi della TV, che lodano Tamberi ma sorvolano sul risultato complessivo dell’atletica alla manifestazione. E guardate quanto siano praticati seriamente nel mondo alcuni sport in cui l’Italia continua ad essere al massimo livello (l’esempio maggiore è la pallavolo, ma poi si possono aggiungere pallanuoto e scherma). Nel 2018 agli europei di categoria U20 U18 U16 il basket italiano è uscito a pezzi. E gli anni prima era andato leggermente meglio. 2) In netta controtendenza, peraltro, sono i risultati delle selezioni femminili. i segni dei tempi non sono sempre e solo negativi: in questo caso, la crescita di partecipazione e di risultati è sensibile. E il rugby ne è una bella prova. Ecco perché andrebbero investite maggiori risorse sul rugby femminile. 3) Allo sport italiano, ma anche a tutto il Paese, farebbe bene che a scuola entrasse lo sport. E non è retorica. Ho nelle orecchie quello che mi dice mia moglie, insegnante in una scuola secondaria che è pure fra quelle scelte come “pilota” dal MIUR: gli studenti hanno pochissima disciplina e sono ben consci che non esistano serie conseguenze alla loro condotta. 4) Tanto premesso, PW hai ragione quando dici che questo non spiega le 21 sconfitte. E tuttavia. Metti tutto insieme – dai pochi praticanti, alla carenza di istruttori adeguati, alla struttura ancora dilettantesca (non dilettantistica) di tante attività, e tanto altro ancora – e francamente, per me, il rugby è ancora uno degli sport che esce meno peggio. In maniera insufficiente, certo. Ma per come è messo questo Paese, che altro c’è da aspettarsi?

  7. lasciando stare il rugby in particolare, perché vedo che già sono stati estrapolate le iniziative per avvicinare i bambini al nostro sport, con i lati positivi e negativi delle stesse, dico la mia sullo sport a scuola ed il confronto, avendo chiaccherato con qualcuno di questo, con il mondo anglosassone.
    intanto la cultura, da loro lo sport è materia di studio ed è anche un modo di elevarsi, quindi il ragazzino è stimolato non solo a provarlo, ma anche a riuscire (cosa che ha anche i suoi lati negativi, sia chiaro), da noi viene considerato un’attività supplettiva e, stà un po’ cambiando, quasi dannosa per la carriera scolastica; da ciò deriva che la maggior parte delle scuole anglosassoni ha la disponibilità o l’accesso a strutture sportive, in italia c’è da ringraziare, che poi è anche un problema oggettivo dato dal fatto che molte scuole insistono in centri urbani ed in strutture preesistenti riadattate o costruite ad hoc, ma magari all’inizio ‘800, se si ha a disposizione una palestra degna di questo nome, figuriamoci un campo per qualsivoglia altra attività all’aperto.
    l’attività giovanile anglosassone è basata sull’attività scolastica, quella italica sul club; l’unica soluzione parrebbe quella di legare i club alle scuole in un programma condiviso inserito nell’orario scolastico, dove ogni giorno gli studenti vengano portati al club a praticare… poco realizzabile.
    non è che i superatleti nascano automaticamente perché la gente fa sport a scuola, questo serve ad aumentare la scelta e, a parità di percentuale di talenti, ad avere più giocatori di qualità, ma la vera differenza la fanno gli staff tecnici (e forse anche medici vista la differenza fisica tra i ricchi ing e fra, al netto del DNA, e gli altri) dei club di appartenenza e delle varie scuole ed academy che ne seguono la crescita.
    faccio un esempio semplice: senza voler discutere i metodi, in U8, anche giustamente, si bada molto di più a far superare la ritrosia alla lotta ai ragazzini ed a farli giocare, che pensare a fare esercizi di coordinazione (pochi), di confidenza con l’attrezzo (pochi) o di tecnica di base, da cui deriva un gioco di mucchio rotolante o di caccia all’uomo più sfuggente che fa tutto da solo, con pochi pseudopassaggi che spesso sono stracci buttati più o meno verso un compagno che difficilmente ha le capacità di riceverlo e placcaggi fatti in piedi o aggrappandosi e tirando a terra l’uomo; lasciando stare quello che farebbero in partita, sono due anni persi, perlomeno, ad imparare a gestire un pallone o a placcare nella dinamica più corretta, e questi sono imprinting che puoi affinare, ma che ti porti dietro tutta la vita e la scuola c’entra poco

  8. Paolo discorso fatto tante volte e che senza dubbio e’ condivisibile, pero’ per me alla base c’e’ sempre un malinteso. Che scuole paragoniamo con il mondo anglosasone? Giusto per chiarire le ore da curriculum scolastico di educazione fisica in Irlanda son 2 a settimana come in Italia. Le scuole primarie pubbliche che coprono elementari e medie in Italia come fascia d’eta’ quelle fanno, molto spesso il resto sono club o federazioni che fanno lezioni nelle scuole non obbligatorie ed a pagamento tramite i loro development officers.

    Al limite spesso nelle scuole pubbliche il GAA magari viene spinto perche’ ci sono i “campionati scolastici” e perche’ di solito la scuola pubblica spesso e’ piu’ legata ai club di gAA locali che a quelli di altri sport, ma di solito a venir coinvolti sono i ragazzi degli ultimi 2 anni ed i migliori del terzultimo anno. Quelli piu’ piccoli non fanno quegli allenamenti extra e di nuovo non e’ obbligatorio, se tu non vuoi che tuo ffiglio partecipi non sei obbligato a farlo allenare e giocare per la scuola. Poi alcune scuole (quelle piu’ evolute) possono partecipare ad altri tornei studenteschi, dall’atletica (cross country) al cricket o al tennis ma di nuovo si tratta dei piu’ vecchi e senza obbligatorieta’.

    Diverso il discorso delle scuole private, quelle che paghi 5-6mila Euro all’anno, li’ allora si alle 2 ore di curriculum vengono spesso aggiunte altre ore di attivita’ sportiva piu’ o meno obbligatorie a seconda della scuola.

    A livello secondario non e’ molto diverso, anche se alcune scuole pubbliche tendono a spingere gli sport un po’ di piu’ ma di nuovo si tratta di attivita’ extra curriculare al di fuori delle 2 ore di curriculum.

    Infine un discorso strutturale: quante scuole in Italia hanno infrastrutture per poter fare sport a livello serio? Altra differenza non da poco, io posso aprlare di venezia son poche quelle che hanno una paestra come si deve, figurarsi campi in erba o sintetico veri e propri.

    Il sistema e’ diverso e dovrebbe funzionare tramite i clubs come funzionava tramite i clubs 20-30 anni fa oltre a quanto giustamente ricorda fracasso.

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